Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44329 del 16/09/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 44329 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MUSUMECI SALVATORE N. IL 07/09/1974
avverso l’ordinanza n. 271/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
21/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. fi ocit utz 64,,,dit)1,01 cf4.4

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Data Udienza: 16/09/2013

RITENUTO IN FATTO

1. In data 21.2.2013 il Tribunale di Catania, decidendo quale Tribunale del
riesame personale ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza
di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Catania in data 26.1.2013
nei confronti di Musumeci Salvatore. Costui risulta indagato per il reato di
omicidio volontario commesso in danno di Buda Salvatore il 23.1.2013 nonchè

A carico del Musumeci sussistono – a giudizio del TdL – i presupposti applicativi
della custodia cautelare in carcere, in ragione di una pluralità di dati indizianti
che contraddicono la versione dei fatti fornita dallo stesso indagato.
Va precisato, infatti, che è proprio il Musumeci, nelle prime ore del 24 gennaio
2013, a recarsi presso la compagnia dei carabinieri di Giarre affermando di aver
involontariamente cagionato, nel corso di una colluttazione, la morte di Buda
Salvatore . La versione dell’indagato è riassumibile nei seguenti termini.
Essendosi recato nel territorio di Caltabiano il giorno 23 gennaio allo scopo di
rintracciare dei vitelli di sua proprietà – che gli erano stati sottratti una settimana
prima nella zona di Macchia di Giarre – il Musumeci incontrava casualmente
Buda Salvatore, che conosceva solo di vista, cui chiedeva se avesse visto in zona
dei capi di bestiame non usualmente presenti .
Buda si sarebbe molto infastidito per tale richiesta, sentendosi evidentemente
accusato del furto, e ne sarebbe derivato un alterco, con reciproche offese e una
prima colluttazione. Mentre il Musumeci si stava allontanando, a suo dire,
avrebbe visto il Buda imbracciare un fucile e puntarlo verso di lui. Ne sarebbe
derivato un tentativo, da parte del Musumeci, di disarmare Buda, ed una
ulteriore colluttazione nel corso della quale inavvertitamente sarebbe partito il
colpo mortale, che ha attinto il Buda al volto, mentre entrambi, in piedi, si
contendevano il possesso dell’arma.
Musumeci si sarebbe immediatamente allontanato portando con sè il fucile e si
sarebbe poi disfatto dell’arma – appartenente al Buda – gettandola lungo il
percorso, in luogo non meglio precisato.
Ad avviso del Tribunale contrastano con tale versione – tesa artatamente ad
escludere la volontarietà dell’azione criminosa – una serie di elementi di fatto, il
che conduce a ritenere volontaria e non scriminata l’azione omicidiaria posta in
essere dal Musumeci.
In particolare, dalla verifica operata sul luogo del fatto risulta che vi era stata
copiosa fuoriuscita di sangue dal volto della vittima, colpita a distanza
ravvicinata da un colpo di fucile esploso con direzione dal basso verso l’alto.
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A

per la detenzione ed il porto del fucile utilizzato per commettere l’omicidio.

Da ciò un primo elemento che il TdL valorizza in chiave accusatoria, riprendendo
le considerazioni svolte dal GIP, e consistente nell’assenza di tracce di fango o
terra nè di sangue sugli abiti con cui il Musumeci si era poi presentato in
caserma, da lui stesso indicati come quelli indossati al momento del fatto.
Trattasi di dato già indicato dal GIP come stridente con la versione fornita
dall’indagato, apparendo anomala l’assenza di tali elementi in ipotesi di reale
colluttazione al momento della esplosione del colpo mortale.
Inoltre, il Tribunale valorizza come dati indizianti :

occultamento ;
– la scomparsa del telefono cellulare del Musumeci, che non ricorda il momento
ed il luogo dello smarrimento, tesa evidentemente ad ostacolare (sia pure nella
prima fase investigativa) la esatta ricostruzione dei suoi movimenti ;
– la stessa condotta tenuta, in ipotesi, dal Musumeci nel momento in cui si
sarebbe trovato sotto il tiro del fucile imbracciato dal Buda.
Tale ultimo aspetto viene particolarmente valorizzato, nel senso che la
narrazione dell’indagato viene ritenuta illogica perchè in una condizione di
pericolo, pur trovandosi già vicino alla sua autovettura quando scorge il Buda
con il fucile alzato, invece di allontanarsi gli va incontro nel tentativo di
disarmarlo, ma offrendo così il suo corpo come più facile bersaglio.
Inoltre la già segnalata scomparsa del fucile viene ritenuta un volontario ostacolo
alla corretta ricostruzione della dinamica del fatto.
Ed ancora viene ritenuta implausibile la versione difensiva in relazione alla
casualità dell’incontro, posto che Caltabiano dista diversi chilometri da Macchia di
Giarre e la descritta reazione del Buda ad una semplice richiesta di informazioni
circa la scomparsa dei vitelli appare anomala ed abnorme.
Dal complessivo esame delle risultanze di fatto deriva, pertanto, ad avviso del
TdI la considerazione di una versione del tutto illogica e tesa a dissimulare le
reali modalità dell’azione.
Vi è, inoltre, giudizio di sussistenza di esigenze cautelari sia di natura probatoria
(correlate al comportamento dell’indagato teso a rendere difficoltosa la
ricostruzione del fatto) che specialpreventive, in ragione della particolare gravità
dell’azione ascritta, per nulla attenuate dalla avvenuta presentazione spontanea,
tesa – nella ricostruzione del TdL – a fornire una versione di comodo e non
rispondente ai fatti. Da ciò anche deriva la condivisione della scelta della più
grave misura carceraria adottata dal GIP .

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– la scomparsa del fucile e l’assenza di memoria precisa sul luogo del suo

2. Ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – Musumeci
Salvatore, articolando un unico motivo con cui si deduce vizio di motivazione del
provvedimento impugnato sia sotto il profilo della contraddittorietà ed illogicità
che per avvenuto travisamento del valore indiziante delle circostanze di fatto
oggetto di valutazione. In sintesi il ricorrente evidenzia che nella ricostruzione
del fatto, sia pure sotto il profilo indiziario, si è del tutto omesso di considerare il
valore di una circostanza di prova generica favorevole al Musumeci,
rappresentata dalla direzione del colpo, dal basso verso l’alto. Ciò sarebbe

evidentemente, «interposto» tra i due contendenti. Inoltre le considerazioni circa
le pretese incongruenze della versione difensiva appaiono frutto di una non
corretta interpretazione dei dati sinora emersi o del tutto congetturali. Così si
ritiene che del tutto plausibile sia l’assenza di sangue sulla persona del Musumeci
perchè, evidentemente, il Buda cade sul fianco sinistro allontanandosi dal
Musumeci e il capo inizia a sanguinare solo in terra. Al contempo, si evidenzia
che la scelta di andare incontro al Buda armato – operata dal Musumeci – non
può essere ritenuta illogica perchè – vista la breve distanza che separava i due risponde ad un criterio istintivo di autodifesa cercare di disarmare il potenziale
aggressore. L’ipotesi alternativa di un allontanamento – sostenuta come logica
dal Tribunale – sarebbe invece stata ancor più pericolosa per il Musumeci data la
potenzialità offensiva dell’arma.
Si rappresenta inoltre che in modo del tutto erroneo sarebbe stato svalutato dal
Tribunale il significato della scelta di presentarsi spontaneamente ai carabinieri
ammettendo di aver provocato – sia pure involontariamente – la morte del Buda.
Tale comportamento viene ritenuto significativo non soltanto in virtù del
contributo fornito alla ricostruzione del fatto ma soprattutto quale indice
rivelatore di una assenza di pericolosità sociale tale da escludere le esigenze
cautelari, ritenute invece sussistenti con motivazione meramente apparente e del
tutto sganciata dalla dovuta analisi delle risultanze obiettive del fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto teso ad ottenere una
rivalutazione di aspetti ricostruttivi del fatto, non consentita in sede di
legittimità.
A fronte di una motivazione esauriente ed immune da evidenti vizi logici il
ricorrente propone, in effetti, una rilettura dell’incarto processuale tesa ad
evidenziare l’esistenza di elementi reputati idonei a confermare la tesi della

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elemento di conferma della versione dell’indagato, posto che il fucile si trovava,

legittima difesa o a contrastare le valutazioni compiute dai giudici del merito
cautelare.
Va in proposito ribadito che in sede di legittimità può dedursi il «travisamento
della prova» solo attraverso la verifica della erronea attribuzione di significato
dimostrativo agli elementi valorizzati nell’ambito della motivazione espressa dal
giudice di merito. Va verificata, in particolare, l’evidente incompatibilità di detto
significato con specifici atti del procedimento indicati ed allegati in sede di ricorso
lì dove tali atti siano dotati di una autonoma e particolare forza esplicativa, tale

multis , Sez. I n. 41738 del 19.10.2011, Rv 251516, ove si è precisato, sul
punto, che «.. non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal
ricorrente siano semplicemente

contrastanti con particolari accertamenti e

valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti
e delle responsabilità, nè che siano astrattamente idonei a fornire una
ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio,
infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e
l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più
significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in
grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento
del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili,
ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E’, invece,
necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere
l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza
esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di
disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo
interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente
incongrua o contraddittoria la motivazione..» ).
Al giudice di legittimità resta dunque preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di
merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa (si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv
252178); queste operazioni trasformerebbero, infatti, la corte nell’ennesimo
giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino
autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno

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standard di intrinseca

da “disarticolare” l’intero ragionamento svolto dal giudicante (in tal senso, ex

razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare

l’iter logico seguito dal

giudice per giungere alla decisione.
Ora, nel caso in esame, gli elementi indicati quali idonei a sostenere la tesi della
legittima difesa – o comunque della accidentalità del gesto posto in essere dal
Musumeci a fronte della aggressione subìta ad opera della vittima Buda – si
riducono ad una risultanza di prova generica (non ancora oggetto di verifica in
sede di autopsia) consistente nella presumibile direzione del colpo di fucile dal
basso verso l’alto. Tale elemento, al di là degli esiti delle necessarie verifiche

ragionamento seguito, posto che la povertà dei dati informativi circa le modalità
di consumazione del delitto lasciano spazio a più ipotesi, rispetto alle quali anche
la ipotizzata aderenza di tale dato alla versione difensiva suona come
congetturale.
A fronte di ciò, correttamente il TdL ed il Gip hanno evidenziato il contrasto
logico tra la versione fornita dall’indagato e altre risultanze investigative (tra cui
l’assenza di tracce ematiche sugli abiti indossati dal Musumeci al momento della
presentazione in caserma) nonchè l’avvenuto nascondimento dell’arma come
fatto teso ad impedire le opportune e doverose verifiche tecniche.
Trattandosi, in ipotesi, di una causa di giustificazione rappresentata dall’indagato
e tesa ad escludere il rilievo penale della condotta di omicidio, risulta peraltro
legittima la verifica della congruità della narrazione fornita dal Musumeci anche
in riferimento alla «inusuale» modalità che sarebbe stata posta in essere (andare
verso l’aggressore armato cercando di entrare in possesso dell’arma) e sul punto
le doglianze difensive si limitano a rappresentare una critica alla massima di
esperienza utilizzata che si risolve – non essendo illogico il ragionamento
probatorio – in una inammissibile richiesta di rivalutazione.
Parimenti inammissibili risultano essere le doglianze avverso la ritenuta
sussistenza delle esigenze cautelari, posto che il dato della presentazione
spontanea del Musumeci risulta esser stato preso in considerazione ma
legittimamente ritenuto non espressione di assenza di pericolosità, in rapporto
alle non convincenti spiegazioni di quanto accaduto fornite in tal sede.
Non si tratta, pertanto, di utilizzo non consentito di dichiarazioni rese
dall’indagato, in quanto – per generale principio – la versione difensiva non può
essere recepita in modo acritico ma va comparata agli esiti investigativi, potendo
essere utilizzata quale elemento a carico in ipotesi di ritenuta insincerità.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in
favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in euro
1.000,00.
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tecniche, non possiede tuttavia una particolare forza «disarticolante» il

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al pagamento di euro 1.000,00 a favore della cassa delle
ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p. comma 1

Così deciso il 16 settembre 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

ter.

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