Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44325 del 19/06/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 44325 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LA ROSA GIUSEPPE N. IL 16/02/1970
LA ROSA ROBERTO N. IL 28/03/1975
MAGRO GIUSEPPE N. IL 27/04/1949
LOMBARDO GIUSEPPE N. IL 24/05/1947
avverso la sentenza n. 1/2011 CORTE ASSISE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 18/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
,

Udito, per la parte civile, l’AvvVo n D. C,
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Uditi difensoli Avv£, ‘ti.

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Data Udienza: 19/06/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Gip del Tribunale di Enna il 4.3.2010, all’esito del giudizio abbreviato, per
quanto qui interessa, ritenuta la continuazione, condannava La Rosa Giuseppe alla
pena di anni 17 e mesi 8 di reclusione e La Rosa Roberto, con la recidiva reiterata
ed infraquinquennale, alla pena di anni 18, mesi 9 e giorni 28 di reclusione per il
concorso nell’omicidio di Avvenia Giuseppe, attinto da colpi di pistola, calibro 38
special, fornita da Cosoli Aldo, nonché, per le correlate violazioni in materia di armi e

Assolveva, invece, i coimputati Magro Giuseppe e Lombardo Giuseppe dalle
medesime imputazioni per non avere commesso il fatto.
La Corte di assise di appello di Caltanissetta, in data 18.4.2012, decidendo
sull’appello degli imputati condannati e del pubblico ministero relativamente al
Magro ed al Lombardo, dopo avere disposto la rinnovazione della istruttoria,
riformava la predetta decisione: assolveva La Rosa Roberto dai reati contestati
ai capi g) e h) rideterminando la pena allo stesso inflitta in anni 17, mesi 3 e
giorni 8 di reclusione; riduceva la pena inflitta a La Rosa Giuseppe ad anni 16,
mesi 6 e giorni 10 di reclusione; dichiarava la nullità della sentenza impugnata e
ritenuta la diversità del fatto rispetto a quello contestato a Magro Giuseppe e
Lombardo Giuseppe, disponeva la trasmissione degli atti al Procuratore della
Repubblica di Enna; confermava nel resto la sentenza di primo grado.

2.1. Magro Giuseppe e Lombardo Giuseppe hanno proposto ricorso per
cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, con atti separati.
Entrambi, con il primo motivo di ricorso, denunciano la violazione di norma
processuale con riferimento al rigetto della eccepita inammissibilità per
genericità dell’appello proposto dal pubblico ministero che conteneva
esclusivamente la richiesta di acquisizione di nuove prove sopravvenute ed, in
particolare, delle dichiarazioni rese dal coimputato Consoli.
Il Lombardo deduce la violazione di legge in ordine alla possibilità di disporre
l’acquisizione di nuove prove del giudizio abbreviato.
Con il secondo motivo di ricorso il Magro lamenta la mancanza di
motivazione dell’annullamento della sentenza di assoluzione di primo grado,
avendo la Corte territoriale omesso la necessaria valutazione delle dichiarazioni
accusatorie del Consoli e della loro idoneità a modificare l’assetto probatorio che
era stato ritenuto insufficiente dal primo giudice.

2.2. La Rosa Giuseppe, a mezzo del difensore di fiducia con il primo motivo
di ricorso, denuncia la violazione di norma processuale stabilita pena di
inutilizzabilità con riferimento all’art. 603 cod. proc. pen.. In particolare, deduce
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munizioni, fatti commessi il 3.10.2008.

che la scelta del giudizio abbreviato non consente al giudice di disporre ai sensi
della predetta norma la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, istituto di
carattere eccezionale, possibile esclusivamente nel caso in cui vi sia stato il
dibattimento in primo grado e che i dati acquisiti siano incerti ovvero la prova
nuova sia decisiva. Nel caso di specie, quindi, la Corte territoriale ha superato i
limiti posti al potere del giudice, essendo stata disposta la rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale in assenza di ragioni di assoluta necessità con
conseguente abnormità della decisione.

illogicità della motivazione in ordine alla responsabilità per i reati contestati,
attesa la necessità della prova di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio.

2.3. La Rosa Roberto, a mezzo del difensore di fiducia, in primo luogo,
denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla
configurabilità del concorso nel reato di omicidio, individuato dalla Corte
territoriale nella circostanza di avere assicurato in anticipo al fratello Giuseppe la
disponibilità ad accoglierlo una volta avvenuto il delitto ed aiutarlo a
nasconderne le tracce; rileva, di contro, che gli elementi valutati dal primo
giudice erano stati puntualmente contraddetti con l’atto di impugnazione
evidenziando come fossero suscettibili di interpretazione alternativa valida e
congrua, atteso che proprio l’estrema vicinanza tra il luogo di consumazione del
reato e l’abitazione del ricorrente logicamente dovrebbe escludere la
partecipazione all’organizzazione alla commissione dell’omicidio. Così pure l’aver
nascosto nel garage il sacchetto contenente gli indumenti e l’arma, cosa
realizzabile solo passando dal tetto che ricongiungeva l’immobile del ricorrente
con il garage, è elemento perfettamente compatibile con la fattispecie alternativa
di favoreggiamento anche sotto il profilo soggettivo. La Corte, quindi, sul punto
utilizza argomentazioni apodittiche in ordine alla prova dell’esistenza
dell’effettiva partecipazione del ricorrente alla fase attiva o preparatoria del
reato.
Denuncia, altresì, la violazione di legge ed il vizio di motivazione con
riferimento all’art.116 cod. pen. rilevando che nella specie non può affermarsi
neppure la prova in capo al ricorrente del dolo eventuale dell’omicidio come
prevedibile sviluppo del «pestaggio» fisico della vittima. La Corte territoriale
ha aprioristicamente escluso l’attendibilità del ricorrente ed ha violato il principio
costituzionale della personalità della responsabilità penale.
Con il terzo motivo di ricorso lamenta la carenza e la contraddittorietà della
motivazione in ordine alla quantificazione della pena con particolare riferimento
alla ritenuta recidiva contestata e al mero richiamo dell’art.133 cod. pen. anche
alta luce del contributo minimo fornito dal ricorrente.
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Con il secondo motivo di ricorso lamenta la contraddittorietà e manifesta

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E’ opportuno rilevare, in primo luogo, che la inammissibilità dell’appello
proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo
grado, dedotta dal Magro e dal Lombardo per genericità dell’atto di
impugnazione, è stata ritenuta infondata dalla Corte di appello con motivazione
compiuta. Invero, come si rileva in atti, l’impugnazione proposta dal pubblico

sopravvenute e sulla valutazione di quelle già assunte. Pertanto, tenuto conto di
quanto si dirà appresso in ordine alla ammissibilità della rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale nel giudizio abbreviato, il rilievo mosso sul punto
dai predetti ricorrenti è manifestamente infondato.
2. Deve essere esclusa, infatti, la fondatezza della violazione di legge,
denunciata dal Lombardo e da La Rosa Giuseppe, relativamente alla disposta
rinnovazione dell’istruttoria, ex art. 603 cod. proc. pen., nel rito abbreviato.
E’ stato, invero, ripetutamente affermato che nel processo celebrato con la
forma del rito abbreviato al giudice di appello è consentito, a differenza che al
giudice di primo grado, disporre d’ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente
necessari per l’accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione,
secondo il disposto dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., con la precisazione
che le parti, pur avendo acconsentito al giudizio abbreviato, hanno comunque la
possibilità di sollecitare i poteri suppletivi di iniziativa probatoria che spettano al
giudice di secondo grado (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, rv. 203427;
(Sez. 1, n. 13756 del 24/01/2008, Diana, rv. 239767).
Quindi, nel processo di appello con la forma del giudizio abbreviato la
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale può essere disposta anche se
l’assunzione delle prove è stata richiesta dal pubblico ministero, dovendo tale
istanza essere considerata come una sollecitazione al giudice per l’esercizio del
potere di ufficio di assumere gli elementi di prova necessari per l’accertamento
dei fatti che formano oggetto della decisione (Sez. 1, n. 36122 del 09/06/2004,
Campisi, rv. 229837).
La Corte di assise di appello di Caltanissetta ha, nella specie, correttamente
disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, su sollecitazione del
Procuratore generale che ne ha fatto richiesta, rilevando – come emerge dalla
ordinanza contenuta nel verbale dell’udienza in atti – che, ancorchè si sia
proceduto con le forme del rito abbreviato, si trattava di assumere prove nuove,
emerse dopo la decisione di primo grado, che ha ritenuto non evidentemente
inutili o ininfluenti ed, anzi, necessarie ai fini della decisione.
3. Tanto chiarito, la Corte territoriale ha dato atto degli elementi di prova
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91′

ministero è ampiamente argomentata sulla richiesta di acquisizione delle prove

acquisiti all’esito della rinnovazione dell’istruttoria ed, in specie, delle
circostanze riferite nel nuovo interrogatorio dal coimputato Consoli, che ha
ritenuto intrinsecamente attendibile, confermate da ulteriori elementi.
Ha, quindi, sottolineato che questi ha riferito che la decisione di uccidere
l’Avvenia era maturata a seguito di un contrasto con un altro suo conoscente,
occasionato da un acquisto di sostanza stupefacente, e che aveva coinvolto in
tale decisione i suoi amici Magro e Lombardo che pure avevano avuto in passato
contrasti con la vittima; che in un primo momento avevano dato all’Avvenia un

si erano determinati ad ucciderlo servendosi di una terza persona, La Rosa
Giuseppe, indicato dal Magro che lo aveva contattato, il quale aveva accettato
l’incarico per un compenso di 4.000 euro. Inoltre, il Consoli aveva dichiarato di
avere fornito la pistola usata per l’attentato.
Sono, quindi, infondate le doglianze del Magro avuto riguardo alla
motivazione della sentenza, avendo la Corte territoriale ampiamente motivato in
ordine alle dichiarazioni del Consoli (p.8-13 e p.26) argomentando, altresì, in
ordine alla attendibilità intrinseca ed estrinseca del predetto. Preso atto, quindi,
delle circostanze riferite dal Consoli in ordine al ruolo di ideatori dell’omicidio
avuto dal Magro e dal Lombardo e tenuto conto che ai predetti era stato
contestato al capo a) il concorso nell’omicidio di Avvenia Giuseppe mediante una
condotta materiale consistente nell’esplosione di più colpi d’arma da fuoco, la
Corte di appello ha correttamente annullato la sentenza impugnata sul punto dal
pubblico ministero al quale ha trasmesso gli atti, ai sensi dell’articolo 521 comma
2 cod. proc. pen., per procedere nei confronti del Magro e del Lombardo in
relazione alla diversa condotta.
4. E’ palesemente infondato il motivo di ricorso con il quale La Rosa
Giuseppe lamenta la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
ordine alla responsabilità per i reati contestati, avendo la Corte compiutamente
argomentato in ordine alla valutazione delle prove acquisite a carico del
ricorrente con motivazione immune dai dedotti vizi.
Quanto alla posizione di La Rosa Giuseppe ha fatto propria la valutazione del
giudice di prime cure che aveva fondato l’affermazione della responsabilità su
una pluralità di elementi di prova acquisiti.
Invero, l’imputato era stato chiamato in causa dal fratello Roberto, la cui
abitazione si trovava a poca distanza dal luogo dell’omicidio; questi aveva riferito
che, subito dopo avere udito i colpi di pistola, aveva ricevuto la visita inaspettata
del fratello Giuseppe che, visibilmente trafelato, si era disfatto degli indumenti
che indossava, dell’arma e delle cartucce rinvenute successivamente nel garage
del Brischetta. La Corte di merito ha, quindi, ricordato che le circostanze riferire
dal Roberto hanno trovato riscontro: in quanto dichiarato dalla convivente dello
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avvertimento, sparando colpi di pistola contro la porta della sua abitazione, poi

stesso e dai genitori di questa che hanno chiamato in causa Giuseppe quale
autore dell’omicidio; nell’accertata appartenenza del giubbotto al predetto;
nell’accertamento del profilo genetico dello stesso misto con quello della vittima
su un guanto di lattice; nell’esito delle indagini balistiche sul revolver rinvenuto
nel garage del Brischetta indicato come l’arma del delitto; nei tentativi ripetuti di
Giuseppe di far tacere il fratello Roberto.
A tali elementi di prova andava ad aggiungersi la chiamata in correità del
Consoli che ha indicato senza titubanze Giuseppe quale esecutore materiale

ritenuto intrinsecamente credibili e positivamente riscontrate da elementi
esterni.
Pertanto, con riferimento alla specifica posizione di La Rosa Giuseppe la
Corte territoriale ha confermato la valutazione delle prove già operata dal giudice
di primo grado e soltanto in via ulteriore ha preso in esame le dichiarazioni del
Consoli acquisite con la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Et sul punto
ha precisato, altresì, che le prove assunte a seguito della rinnovazione
dell’istruttoria in quanto legittimamente acquisite sono utilizzabili in relazione a
tutti i punti della decisione devoluti al giudice, senza alcuna limitazione ad una
determinata imputazione o ad un determinato imputato, facendo richiamo al
principio in tal senso affermato dal giudice di legittimità – condiviso dal Collegio
– secondo il quale le prove legittimamente acquisite in dibattimento sono
legittimamente utilizzabili dal giudice in relazione ai vari thema decídenda che gli
sono devoluti, senza alcuna limitazione derivante dall’astratto collegamento del
mezzo di prova a una determinata imputazione o a un determinato imputato.
Infatti le parti, in quanto regolarmente evocate in giudizio, sono in grado di
esercitare un pieno contraddittorio sulle emergenze dibattimentali,
eventualmente procedendo al controesame o richiedendo la prova contraria;
facoltà, queste, che ben possono implicare, per il loro concreto e soddisfacente
esercizio, la concessione di adeguati termini a difesa. (Sez. 6, n. 2315 del
21/11/1997, Guida, rv. 210319).
5. Non è fondato, ad avviso del Collegio, il motivo di ricorso con il quale La
Rosa Roberto denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine
alla configurabilità del concorso nel reato di omicidio.
Invero il ricorso sul punto, che in parte difetta di correlazione con la
motivazione della sentenza impugnata, ripropone doglianze oggetto dell’appello
che la Corte, dopo avere richiamato ampiamente gli elementi accertati sui quali il
primo giudice aveva ritenuto la configurabilità del concorso nel reato di omicidio,
ha esaminato sottolineando la sussistenza di una pluralità di circostanze che il
ricorrente non contesta indicandone una lettura alternativa.
In specie, la Corte ha dato atto che poche ore dopo l’omicidio Brischetta
6

k

dell’omicidio con dichiarazioni che, come si è evidenziato, la Corte di appello ha

Modestino aveva rinvenuto nel sottotetto del suo garage, a pochi metri dal luogo
del delitto, il sacchetto di plastica contente gli indumenti, la pistola e le cartucce
nascoste da qualcuno che – tenuto conto dello stato dei luoghi necessariamente doveva essere passato, attraverso i tetti, dalla casa di La Rosa
Roberto; che tale circostanza non poteva che condurre al predetto che, peraltro,
aveva reso versioni mendaci sulle cause del danneggiamento delle tegole e della
zanzariera della sua abitazione.
Quindi, ha valorizzato al riparo da incongruenze logiche ulteriori elementi

avevano appreso dallo stesso del coinvolgimento del genero nell’omicidio,
nonché, circostante emerse dalle conversazioni intercettate nelle quali il
ricorrente si sofferma sui dettagli dell’omicidio, sulle armi usate, sul numero e la
direzione dei colpi. Significativi, altresì, sono stati ritenuti i contatti telefonici tra i
due fratelli La Rosa qualche ora prima del fatto; l’eccesivo timore del ricorrente
per l’avvenuta convocazione del fratello da parte della polizia; l’inverosimiglianza
della tesi che il fratello Giuseppe potesse avere nascosto gli oggetti nel posto
dove sono stati trovati all’insaputa del ricorrente o potesse essersi recato dal
fratello senza un preventivo accordo.
Come è noto, ai fini della sussistenza del concorso di persone nel reato non
è necessaria la prova dell’effettiva partecipazione alla fase attiva o preparatoria
del reato, potendo avvenire in qualsiasi forma, mediante un contributo
volontario o un apporto causale anche ad alcune soltanto delle fasi di ideazione,
organizzazione ed esecuzione della condotta criminosa ed anche sotto il profilo
della determinazione o del rafforzamento del proposito criminoso. Ed è
penalmente rilevante non solo l’ausilio necessario ma anche quello che si limita
ad agevolare o facilitare il conseguimento dell’obiettivo finale.
La Corte di merito ha fatto corretta applicazione, altresì, dei principi di diritto
affermati dalla giurisprudenza di legittimità quanto alla disciplina di cui
all’art.116 cod.pen., ritenendo che nella fattispecie in esame dovesse escludersi
il cd. concorso anomalo, mancando qualsivoglia elemento di prova della
divergenza tra il reato commesso e quello previsto o voluto che secondo la testi
del ricorrente sarebbe stato il «pestaggio» della vittima. I giudici di merito
hanno, in specie, tenuto conto dell’assenza di segni di aggressione fisica sul
cadavere, del numero di colpi di pistola esplosi indicativi dell’intenzione di
uccidere e della distanza dei colpi che hanno attinto la vittima, oltre che delle
circostanze riferite dal Consoli in ordine alla programmazione dell’omicidio.
La configurazione del concorso anomalo di cui all’art. 116 cod. pen., infatti,
è soggetta a due limiti negativi: che l’evento diverso non sia stato voluto
neppure sotto il profilo del dolo alternativo od eventuale e che l’evento più
grave, concretamente realizzato, non sia conseguenza di fattori eccezionali,
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tratti da quanto riferito dai genitori della convivente del ricorrente i quali

sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla
condotta criminosa di base (Sez. 6, n. 6214 del 05/12/2011, Mazzarella, rv.
252405).
6. Infine, quanto alla ritenuta recidiva contestata la Corte di appello ha dato
atto che trattasi dell’ipotesi di cui all’art. 99 quinto comma cod.pen.
correttamente indicata tenuto conto della annotazioni del certificato penale. Ha
messo in evidenza, altresì, la gravità dei reati dai quali ha tratto la valutazione
negativa della personalità del ricorrente. Anche la dosimetria della pena è stata

base per il reato più grave in anni ventiquattro di reclusione ha valorizzato in
particolare il dolo di premeditazione, le modalità dell’esecuzione ed il numero
non indifferente di colpi esplosi, i motivi del delitto, la circostanza che fossero
stati coinvolti i fratelli La Rosa totalmente estranei alle ragioni del delitto,
l’accettazione di una ricompensa in danaro per il lavoro svolto.
7. Si deve, pertanto, concludere per il rigetto dei ricorsi cui consegue di
diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè,
alla refusione delle spese sostenute in questo giudizio dalla parte civile che,
tenuto conto del numero e dell’importanza delle questioni trattate, della tipologia
ed entità delle prestazioni difensive, avuto riguardo alla tariffa forense, si
liquidano in complessivi euro 3.500,00, oltre rimborso forfettario per spese
generali, IVA e CPA.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali,
nonché, alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in euro
3.500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso, il 19 giugno 2013.

adeguatamente motivata laddove la Corte nel confermare la entità della pena

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