Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44317 del 12/09/2013


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Penale Sent. Sez. F Num. 44317 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANNI PARIDE N. IL 19/01/1973
avverso la sentenza n. 1026/2012 CORTE APPELLO di LECCE, del
02/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/09/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO,
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. At,
che ha concluso per u- (2-kGJITD O1 S-tCoR.SD

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 12/09/2013

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 2 maggio 2013, la Corte d’appello di Lecce ha confermato
la sentenza del Tribunale di Lecce – sezione distaccata di Casarano, con la quale
l’imputato era stato condannato, per il reato di cui all’art. 648 cod. pen., per avere
ricevuto, al fine di trarne profitto, un assegno bancario intestato a Sonepar
dell’importo di euro 608,00 di provenienza illecita, perché denunciato come smarrito
dal correntista Acquaviva (il 17 settembre 2003).

Alessandro Manco aveva riferito di avere ricevuto il titolo postdatato dall’imputato in
pagamento di alcuni lavori agricoli e di averlo poi consegnato a Mauro Nuzzo in
pagamento di una fornitura di gasolio, escludendo di avere apposto la firma di girata e
aggiungendo di avere ricevuto dall’imputato una ulteriore somma in contanti;
l’imputato aveva negato di aver consegnato l’assegno a Manco, suo conoscente di
vecchia data, sostenendo che i lavori agricoli da lui effettuati erano stati pagati in altro
modo.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo: la nullità della sentenza di primo grado per violazione del
diritto di difesa, la violazione di legge e la mancanza e manifesta illogicità della
motivazione.
2.1. – Lamenta, in primo luogo, la difesa che nel giudizio di primo grado non
era mai stato acquisito il titolo in originale, nonostante vi fosse stata una formale
richiesta in tal senso, in presenza di una copia in atti illeggibile, secondo quanto
affermato dal Tribunale. Ciò avrebbe impedito – nella prospettazione difensiva – la
verifica di eventuali altre girate che avrebbe potuto chiarire i fatti di causa a favore
dell’imputato.
2.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si sostiene che non vi sarebbe
alcuna prova dalla quale evincere che l’assegno sia di provenienza illecita, in presenza
di una semplice denuncia di smarrimento.
2.3. – Si lamenta, in terzo luogo, che la Corte d’appello avrebbe erroneamente
ritenuto attendibile il teste Manco, il quale aveva ricordi vaghi o assenti circa il periodo
in cui l’assegno gli era stato consegnato.
2.4. – Si sostiene, infine, che la sentenza impugnata sarebbe carente di
motivazione quanto all’eccezione di prescrizione formulata con l’atto d’appello,
essendo comunque già decorso il termine massimo di otto anni.

Secondo quanto riportato dai giudici di primo e secondo grado, il teste

2.5. – Si denuncia, infine, una carenza di motivazione quanto al riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche e all’applicazione dell’ipotesi di minore gravità
di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen., in mancanza di un effettivo danno
subito dalla parte offesa, che nel caso di specie coinciderebbe con il semplice costo del
titolo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.

grado non era mai stato acquisito il titolo in originale e che ciò aveva impedito la
verifica di eventuali altre girate che avrebbe potuto chiarire i fatti di causa a favore
dell’imputato – è inammissibile, perché diretto ad ottenere da questa Corte la mera
rivalutazione di una censura in punto di fatto già ampiamente esaminata e disattesa in
grado d’appello. La sentenza impugnata risulta, del resto, adeguatamente motivata,
perché evidenzia che la copia in atti del titolo incriminato comunque consente la
lettura dei suoi elementi rilevanti, a fronte dell’impossibilità di un’acquisizione del
titolo in originale.
3.2. – Quanto alla motivazione circa la provenienza illecita dell’assegno, la
difesa trascura di considerare che sia Corte d’appello sia il Tribunale hanno individuato
il reato presupposto nel furto o nell’appropriazione di cosa smarrita, essendovi nel
caso di specie la certezza, quanto meno, del fatto che l’imputato aveva ricevuto il
titolo di credito da un soggetto che precedentemente se ne era appropriato senza
osservare le prescrizioni che regolano la circolazione degli assegni.
Ne deriva la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso.
3.3. – Inammissibile, perché sostanzialmente diretto a sollecitare a questa
Corte una rivalutazione del merito della responsabilità penale è il terzo motivo di
ricorso, con cui si lamenta che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto
attendibile il teste Manco, il quale aveva ricordi vaghi circa il periodo in cui l’assegno
gli era stato consegnato dalllimputato. Anche sotto tale profilo, comunque, la
motivazione della sentenza impugnata – che si colloca in piena continuità con quella
della sentenza di primo grado – risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente,
perché evidenzia che la testimonianza di Manco è risultata chiara su tutti gli elementi
essenziali (ricezione dell’assegno dall’imputato, motivo e modalità di tale ricezione),
essendovi state solo alcune giustificabili difficoltà mnemoniche relative a dati del tutto
secondari.

3.1. – Il primo motivo di censura – con cui si lamenta che nel giudizio di primo

3.4. – Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso, con cui si sostiene
che il reato sarebbe prescritto. Il reato è stato commesso, infatti, il 17 settembre
2003 e la prescrizione è stata interrotta con il decreto di citazione a giudizio del 4
dicembre 2007 (notificato I’ll dicembre 2007). Trattandosi di reato punito nel
massimo con la reclusione per 8 anni, trova, dunque, applicazione il termine
complessivo di 10 anni, ai sensi degli artt. 157, primo comma, e 161, secondo
comma, cod. pen.; termine non ancora decorso al momento della pronuncia della

3.5. – Manifestamente insussistente risulta, infine, la carenza di motivazione
quanto al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e all’applicazione
dell’ipotesi di minore gravità di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen. denunciata
con l’ultimo motivo di ricorso, sul presupposto della mancanza dì un effettivo danno
subito dalla parte offesa, che nel caso di specie coinciderebbe esclusivamente con il
costo del titolo.
Con motivazione pienamente sufficiente sul punto, la Corte d’appello riprendendo quanto già correttamente osservato dal giudice di primo grado evidenzia, del resto, che l’importo di euro 608,00 appare di una certa rilevanza e che
vi sono numerosi e recenti precedenti penali, tra i quali ben due per il reato di
ricettazione, che ostano alla concessione delle circostanze attenuanti generiche. Né
può sostenersi – come fa la difesa – che il danno cagionato coincide esclusivamente
con il costo del titolo, perché ciò che conta è il profitto che il ricettatore ha avuto con
la dazione dell’assegno al successivo prenditore, cui corrisponde il danno patrimoniale
per quest’ultimo, essendo del tutto irrilevante il fatto che l’assegno stesso è stato poi
bloccato e mai incassato.
4. – Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2013.

presente sentenza.

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