Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44310 del 15/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 44310 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PETILLANT SA “PETILLANT COMMERCIO E ALGUER
INTERNATIONAL DE MEIO DE TRANSPORTE AEREO S.A.”
avverso l’ordinanza n. 45/2012 TRIB. LIBERTA’ di PESCARA, del
24/09/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
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Uditi difensor Avv.; c .

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Data Udienza: 15/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Pescara, con ordinanza del 24.9.2012, ha rigettato l’appello
proposto dalla società PETILLANT S.A. avverso il decreto in data 17.7.2012 con
il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di quella città aveva
respinto l’istanza di dissequestro di beni diversi sottoposti a vincolo reale

concernente i reati di cui agli artt. 416, 648-bis cod. pen., 2, 5 e 8 d.lgs. 74\2000
Avverso tale pronuncia la predetta società propone ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso rileva che la transnazionalità dei reati
sarebbe stata contestata come mera aggravante di cui all’art. 4 legge 146\06 e
non anche come titolo autonomo del reato di cui all’art. 3 della stessa legge.
Ricorda, inoltre, che la possibilità di procedere alla confisca per equivalente
va esclusa per i reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge 244\2007
e rileva che i fatti contestati risultano temporalmente collocati tra il 2003 ed il
2006 e solo in minima parte nel 2007, cosicché la determinazione dell’ingiusto
profitto sulla quale stabilire l’oggetto del sequestro andava effettuata con
esclusivo riferimento ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge
suddetta.
A tale deduzione il Tribunale avrebbe fornito una risposta errata, ritenendo di
computare anche le somme relative alle annualità precedenti.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in ordine
alla contemporanea contestazione al principiale imputato di fatti concernenti
l’omessa presentazione in Italia delle dichiarazioni dei redditi ed IVA da parte di
alcune società portoghesi, rispetto alle quali è stata a costui attribuita la qualità
di amministratore di fatto e l’utilizzo, ai soli fini delle imposte sui redditi, di
fatture per operazioni inesistenti emesse all’estero dalle medesime società estere
e, con riferimento a queste ultime, l’evasione di imposte.
Tali ultime società, osserva, avendo svolto di fatto le funzioni di mere
«cartiere», non avrebbero determinato la produzione di redditi.
Tale questione, sottoposta all’esame del Tribunale, sarebbe stata oggetto di
errata valutazione da parte del giudici, i quali sarebbero incorsi in un palese
errore di diritto, ritenendo configurabile il reato di omessa presentazione dei
redditi di cui all’art. 5 d.lgs. 74\2000 in relazione a ricavi meramente fittizi
derivanti dalla emissione di fatture per operazioni inesistenti.

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finalizzato alla confisca per equivalente nell’ambito di procedimento penale

Tale circostanza avrebbe, inoltre, determinato una sostanziale duplicazione
dell’ammontare del profitto calcolato, che andrebbe pertanto rivisto.

4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge, affermando
che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che i beni sequestrati fossero
nella «disponibilità indiretta» del principale imputato (Giuseppe SPADACCINI),
essendo la «PETILLANT S.A.» un mero interposto, mentre dalla formulazione
dell’imputazione sarebbe attribuita alla società la piena titolarità dei beni e dei

Con motivazione ritenuta meramente apparente, il Tribunale si sarebbe poi
limitato ad affermare che la società non aveva assolto l’onere di dimostrare il
carattere non fittizio della sua intestazione dei beni oggetto di sequestro,
procedendo così ad un indebita inversione dell’onere della prova, dovendo
l’accusa dimostrare la natura simulata dell’acquisto dei beni da parte della
società ovvero che sia la società stessa ad essere simulata in senso assoluto.

5. Con un quarto motivo di ricorso deduce che il Tribunale avrebbe
erroneamente ritenuto non sindacabili le questioni concernenti la mancata
sostituzione del custode giudiziario dei beni che invece, costituendo esercizio del
potere cautelare, sarebbero espressione del vincolo di indisponibilità sul bene del
quale è titolare il giudice.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

6. Con memoria depositata il 19.9.2003 illustra nuovi motivi, rilevando che,
con sentenza n. 23641\13 , questa Sezione ha recepito le osservazioni formulate
nell’ambito di altro procedimento con riferimento al metodo di valutazione del
valore effettivo dei beni sequestrati ed alla liquidazione delle competenze del
custode giudiziario effettuata dal Pubblico Ministero.

CONSIDERATO IN DIRITTO

7. Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente osservare che il Tribunale, nel procedere all’esame
delle doglianze mosse con l’atto di appello, ha correttamente delimitato l’ambito
della propria competenza con opportuni richiami alla giurisprudenza di questa
Corte e, dopo aver sinteticamente esposto i contenuti dell’ipotesi accusatoria, ha
evidenziato che il complessivo quadro indiziario valorizzato ai fini dell’emissione

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relativi redditi.

della misura non aveva subito mutamenti per fatti sopravvenuti, fornendo quindi
risposta alle singole censure.

8. Ciò premesso, riguardo al primo motivo di ricorso, deve in primo luogo
ricordarsi come le Sezioni Unite di questa Corte abbiano stabilito che

«la

transnazionalità non è un elemento costitutivo di una autonoma fattispecie di
reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto a condizione che sia punito
con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia riferibile ad un

ricorra, in via alternativa, una delle seguenti situazioni: a) il reato sia commesso
in più di uno Stato; b) il reato sia commesso in uno Stato, ma con parte
sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un
altro Stato; c) il reato sia commesso in uno Stato, con implicazione di un gruppo
criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) il
reato sia commesso in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro
Stato. (In motivazione la Corte ha precisato che il riconoscimento del carattere
transnazionale non comporta alcun aggravamento di pena, ma produce gli effetti
sostanziali e processuali previsti dalla legge n. 146 del 2006 agli articoli 10, 11,
12 e 13)» (SS.UU. n. 18374, 23 aprile 2013).
Inoltre, il Tribunale ha chiaramente precisato che il G.I.P. aveva affrontato la
questione concernente l’ambito temporale di applicabilità della legge 146\2006
e, riportando testualmente il contenuto del provvedimento applicativo della
misura, ha chiarito come detto provvedimento fosse inequivocabilmente riferito
ai reati commessi in epoca successiva all’entrata in vigore della legge e
concernenti l’importo complessivo evaso nella misura in precedenza indicata
(euro 11.595.474,08).
Come emerge dalla lettura del ricorso e del provvedimento impugnato, la
misura cautelare attiene a reati aventi carattere transnazionale ed appare
pertanto corretto il riferimento all’entrata in vigore della legge 146\2006, che
costituisce il solo dato temporale significativo, non assumendo,
conseguentemente, rilievo la dedotta impossibilità di applicazione retroattiva
della confisca per equivalente per i reati tributari commessi prima dell’entrata in
vigore dell’art. 1, comma 143, legge 244 del 2007.
Del resto, si è già avuto modo di affermare che il sequestro preventivo
finalizzato alla confisca per equivalente, previsto dall’art. 11 della legge 16 marzo
2006, n. 146 per i reati transnazionali, è applicabile anche al profitto dei reati di
frode fiscale rientranti nel programma associativo di un’organizzazione criminale
transnazionale (Sez. III n. 11969, 24 marzo 2011).

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gruppo criminale organizzato, anche se operante solo in ambito nazionale e

9. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi come il Tribunale abbia
esplicitamente affermato che i fatti oggetto di contestazione non sono affatto tra
loro coincidenti, come emerge dalla loro descrizione e dall’analisi dei flussi di
denaro gestiti nelle singole annualità contabili con puntuali richiami a dati
fattuali il cui esame è sottratto al giudice di legittimità.
Viene infatti esclusa dai giudici ogni comunanza di elementi costitutivi tra le
diverse condotte descritte, osservando come la contestazione si riferisca a fatti
storici del tutto differenti.

fattuali acquisiti, emerga che le società italiane hanno utilizzato, al fine di
evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, le fatture emesse per
operazioni inesistenti dalle società estere, tra le quali figura la PETILLANT S.A.,
ponendo in essere una condotta collocabile nell’ambito dell’art. 8 d.lgs. 74\2000,
mentre gli amministratori delle società estere, sempre al fine dell’evasione
fiscale, hanno omesso di dichiarare le imposte sui redditi ed attività soggette ad
IVA derivanti dalla effettiva gestione ed amministrazione svolta in Italia.
Effettuando tale analisi, i giudici dell’appello hanno adeguatamente svolto il
ruolo di garanzia loro attribuito dalla legge e che richiede la verifica delle
condizioni di legittimità della misura cautelare e non anche la soluzione di
questioni di merito concernenti la responsabilità della persona sottoposta ad
indagini in ordine al reato oggetto di investigazione.
Va in ogni caso rilevato come, in linea generale, non possa comunque
sostenersi che il soggetto che emette fatture per operazioni inesistenti sia
sottratto ad ogni obbligo tributario in ragione della inesistenza degli elementi di
ricavo in quanto simulati, poiché, come già rilevato dalla giurisprudenza di
questa Sezione, il delitto di omessa dichiarazione a fini dell’I.V.A. è configurabile
anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in
quanto, secondo la normativa tributaria, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta
anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con
conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione, in quanto l’art. 21,
comma 7 del d.P.R. 633\72 stabilisce che «se viene emessa fattura per operazioni
inesistenti ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte
relative sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per
l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura» (Sez.
III n. 39177, 20 ottobre 2008); mentre la giurisprudenza civile ha ritenuto non
irragionevole l’assunto secondo cui fatturazione fittizia ingenera una presunzione
di corrispondente vantaggio economico dato che detti comportamenti non
verrebbero posti in essere se mancasse la prospettiva di un fine di lucro, tanto
più consistente in ragione del rischio corso (Sez. Trib. n. 22680, 9 settembre

4

A tale proposito il Tribunale rileva come, dalla complessiva disamina dei dati

2008).
In

considerazione

di

quanto

in

precedenza

rilevato,

risulta

conseguentemente infondata l’ulteriore deduzione concernente la supposta
duplicazione dell’ammontare del profitto calcolato.

10. È poi evidente l’infondatezza del terzo motivo di ricorso, avendo il
Tribunale ampiamente delineato i rapporti intercorrenti tra la «PETILLANT SA.» e
Giuseppe SPADACCINI attraverso il legittimo richiamo ai contenuti dell’ordinanza,

degli accertamenti eseguiti anche mediante rogatorie internazionali e sulla
documentazione cartacea ed informatica sequestrata.
I giudici dell’appello, inoltre, dopo aver considerato la solidità del compendio
indiziario, hanno evidenziato che, in merito alla questione esaminata, l’appellante
nulla aveva dedotto e che, comunque, non sussistevano ragioni per una diversa
valutazione.
Dunque il provvedimento impugnato non presenta, sul punto, una
motivazione meramente apparente, né emergono violazioni di regole in materia
di onere probatorio, avendo il Tribunale adeguatamente assolto, nell’ambito della
competenza propria della fase cautelare, all’onere motivazionale impostogli.

11. Per quanto riguarda, infine, il quarto motivo di ricorso, deve rilevarsi che
il Tribunale non è incorso in alcuna violazione di legge.
I giudici hanno infatti correttamente ricordato come l’appello proposto
riguardasse il rigetto di una istanza di revoca del sequestro preventivo ed hanno
rilevato, altresì, che le questioni inerenti la custodia dei beni erano state
opportunamente risolte dal G.I.P. previo parere del Pubblico Ministero,
richiamando l’attenzione sul fatto che esse attengono comunque all’esecuzione
della misura cautelare.
Tale assunto risulta perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa
Corte, richiamata anche in ricorso, secondo la quale nel corso delle indagini
preliminari la nomina del custode dei beni sequestrati e la soluzione delle
questioni concernenti la gestione dei beni in sequestro spetta al giudice che
dispone la misura reale, essendo egli funzionalmente competente in ordine alla
costituzione, alle vicende ed alla esecuzione della misura cautelare in base alla
disposizione dell’art. 665 cod. proc. pen. che individua anche il giudice
competente a provvedere sulle medesime questioni nel caso in cui la
permanenza del sequestro si protragga oltre la fase delle indagini preliminari
(Sez. V n. 13067, 11 aprile 2005. Il principio è stato successivamente ribadito da
Sez. V n. 30596, 23 luglio 2009).

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puntualmente indicati ed agli esiti delle operazioni di intercettazione telefonica e

Ciò nonostante, il Tribunale ha comunque evidenziato la assoluta genericità
della censura concernente la assenta cattiva gestione dei beni in sequestro da
parte del custode e l’assenza di validi motivi per procedere nuovamente alla
verifica dell’operato del custode, così confermando i provvedimenti emessi dal
Giudice per le indagini preliminari.

12. Va poi infine osservato che a nulla rileva, ai fini della questione in esame,
l’esito di altro giudizio nel quale è intervenuta la sentenza n. 23641\13 di questa

quell’occasione, le doglianze sulla quantificazione del profitto del reato erano
state ritenute fondate in ragione della inadeguatezza ed illogicità della
motivazione del provvedimento impugnato, avendo il Tribunale omesso di
specificare adeguatamente le ragioni del proprio convincimento, circostanza,
questa, non verificatasi, come si è detto, rispetto alla vicenda oggi esaminata.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni
indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso in data 15.10.2013

Sezione, richiamata nella memoria e nei motivi nuovi, atteso che, in

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