Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44262 del 26/09/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 44262 Anno 2013
Presidente: SERPICO FRANCESCO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SELVAGGIO GIUSEPPE N. IL 29/09/1971
avverso l’ordinanza n. 191/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
13/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
I t. F
7-7-4
-lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Q (..4 A_ N ; N’ E
r1/1-

p (AL fr‘fe.-4

UditgitdifensoriAvv. f iV7 -2) isr ;9
,A.A2A-4

fr,

4-0 p Utt

H.P E LA– i

e-Efiz:

a

Data Udienza: 26/09/2013

1. Con ordinanza del 13 febbraio 2013 il Tribunale del riesame di Catania ha
confermato l’ordinanza emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Catania in data 11
gennaio 2013, che applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti
di Selvaggio Giuseppe, indagato, in concorso con altre persone, dei delitti di
partecipazione all’associazione di stampo mafioso denominata “cosa nostra” (capo sub
A), ex art. 416-bis c.p.), in relazione al periodo intercorso fra il dicembre 1998 ed il
gennaio 1999, e di omicidio pluriaggravato dalla premeditazione, dal numero di autori
superiore a cinque, dal ricorso alla forza di intimidazione derivante dall’appartenenza
all’associazione mafiosa “cosa nostra” e dal fine di agevolarne le attività, ex artt. 110,
112, n. 1, 575, 577, n. 3, c.p. e 7 della I. n. 203/91 (capo sub B), commesso in danno
di Mirabella Angelo, Motta Claudio, Nobile Emanuele, Salerno Rosario ed Ottone
Salvatore, presso un rifornimento di carburante di Vittoria il 2 gennaio 1999.
2. Avverso la predetta ordinanza del Tribunale del riesame di Catania ha proposto
ricorso per cassazione il difensore di fiducia del Selvaggio, deducendo tre motivi di
doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto.
2.1. Violazioni di legge e carenze motivazionali ex art. 606, lett. c) ed e), c.p.p., in
relazione agli artt. 291, 309, commi 5 e 10, c.p.p., per quel che attiene al rigetto
dell’eccezione difensiva sollevata in merito all’omesso deposito di alcuni verbali di
interrogatorio resi dai collaboratori di giustizia ascoltati nel corso delle attività di
indagine (e posti a fondamento dell’ordinanza applicativa della misura cautelare),
nonché alla trasmissione di altri verbali privi di sottoscrizione.
Al riguardo si deduce, in particolare: a) che l’ordinanza “genetica” non riporta i brani
dei suddetti interrogatori, come invece affermato dal Tribunale, ma si limita a
commentarne il contenuto; b) che la stessa, inoltre, non si è pronunziata sul fatto che
alcuni verbali di interrogatorio trasmessi dall’autorità procedente (quelli dei
collaboratori Billizzi Carmelo e Gammino Gianluca, anch’essi richiamati ed utilizzati a
fondamento di entrambe le decisioni cautelari) erano privi di sottoscrizione,
circostanza, questa, che invalidava l’atto in radice, rendendolo nullo; c) che
l’incompleta trasmissione delle sentenze menzionate nel provvedimento cautelare ha
compromesso i diritti della difesa, trovatasi nell’impossibilità di poterne conoscere a
pieno le motivazioni.
2.2. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606,
lett. e), c.p.p., in relazione all’art. 273 c.p.p., avendo il Tribunale del riesame
acriticamente valorizzato le chiamate in correità diretta provenienti dai collaboranti
Billizzi e Gammino, laddove essi hanno attribuito al Selvaggio il ruolo di componente
del gruppo di fuoco incaricato di eliminare Angelo Mirabella, senza risolvere i dubbi
prospettati dalla difesa sul fatto che il Selvaggio non partecipò all’azione e restò nel
covo assieme al Billizzi ed al suo autista (benché fosse stato appositamente reclutato
per partecipare all’agguato quale “tiratore più esperto in appoggio”), ovvero sulla
ragione per cui proprio il ricorrente, che non aveva mai preso parte ad alcuna azione
omicidiaria, sarebbe stato messo a disposizione quale esperto tiratore da esponenti
della famiglia mafiosa di Mazzarino.
Ulteriore circostanza non valutata dal Tribunale del riesame attiene alla funzione ed al
ruolo della presenza del Selvaggio, che non fece parte di alcun gruppo di fuoco, né
funse da supporto a favore di coloro che invece parteciparono all’azione.
Non v’è, poi, alcun indizio di prova significativo che lo stesso abbia contribuito
all’organizzazione materiale del delitto, prendendo rte, per esempio, a sopralluoghi
o a riunioni.
i

RITENUTO IN FATTO

2.3. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606,
lett. e), c.p.p., in relazione all’art. 274 c.p.p., tenuto conto della risalente collocazione
temporale delle condotte e dell’assenza di indizi sull’attualità dei contatti con persone
appartenenti al sodalizio mafioso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e va conseguentemente rigettato.
4. Palesemente infondato deve ritenersi il primo motivo di ricorso, ove si consideri che
l’impugnato provvedimento ha puntualmente e dettagliatamente replicato ai rilievi
difensivi, precisando, sulla base delle correlative, specifiche e testuali indicazioni ivi
offerte, come il contenuto degli atti dalla difesa richiamati (verbali di interrogatorio di
Piscopo Alessandro, Trubia Rosario, Licata Nunzio, Smorta Crocifisso, Billizzi Massimo
Carmelo, Gammino Gianluca, Portelli Paolo, Terlati Emanuele, Cavaleri Simone,
Scicolone Giuseppe e Messina Leonardo; sentenze della Corte d’Assise di Siracusa e
della Corte d’Assise d’Appello di Catania) sia agevolmente rinvenibile, integralmente o
per sintesi, nella documentazione posta a sostegno del procedimento applicativo della
misura cautelare in essere nei confronti del ricorrente, sì da porlo in condizione di
averne piena e diretta cognizione anche per gli aspetti a lui favorevoli.
Al riguardo, peraltro, è noto, alla luce di una regula iuris pacificamente delineata
nell’insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte, che qualora l’indagato
si dolga della mancata trasmissione del verbale delle dichiarazioni rese dal coindagato
in sede di interrogatorio, assumendo la cessazione di efficacia della misura cautelare
ai sensi dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen, egli ha l’onere, nel caso di specie non
adeguatamente adempiuto, di indicare compiutamente gli elementi di qualificazione in
senso a lui favorevole presenti negli atti non trasmessi, non potendo sostenere
apoditticamente la rilevanza – per lui favorevole – del contenuto di tali verbali (Sez. 6,
n. 20527 del 28/03/2003, dep. 08/05/2003, Rv. 225451).
Sotto altro, ma connesso profilo, deve sul punto rammentarsi, ad ulteriore conforto
della correttezza della decisione impugnata, il consolidato insegnamento
giurisprudenziale tracciato da questa Suprema Corte, secondo cui in materia di nullità
vige il principio della tassatività di cui all’art. 177 c.p.p., con la conseguenza che solo i
vizi dell’atto per i quali la sanzione di nullità sia stabilita in via generale o in via
particolare, con carattere di assolutezza o relatività, possono essere dichiarati dal
giudice (Sez. 6, n. 936 del 31/03/1993, dep. 31/05/1993, Rv. 194379).
La nullità del verbale, in particolare, può ritenersi sussistente solo nelle situazioni, in
nessun modo dedotte dal ricorrente, nè ravvisabili nell’evenienza qui considerata, di
2

Su aspetti di rilievo non marginale della vicenda, peraltro, le dichiarazioni dei
collaboratori, oltre che non adeguatamente riscontrate dalle dichiarazioni dell’altro
collaboratore Piscopo Giovanni, mostrano significative divergenze e paiono
caratterizzate da dubbi ed incertezze sulla presenza del Selvaggio nelle diverse “fasi”
del delitto e sul contributo dallo stesso apportato alla realizzazione del piano criminale,
poiché il racconto del Gammino fa riferimento a circostanze inedite, non oggetto della
narrazione del Billizzi, nè appare a quest’ultima sovrapponibile per la presenza di
numerose discrasie nel nucleo centrale e costitutivo delle relative dichiarazioni (ad es.,
sulla presenza di Selvaggio nel covo il giorno del delitto, ovvero sul momento
successivo, relativo alla preparazione delle armi).
Anche per quel che attiene alla contestazione del delitto di associazione mafiosa,
infine, la motivazione appare carente, poiché il Tribunale non individua precise
responsabilità a carico del ricorrente con riferimento al periodo indicato
nell’imputazione (dicembre 1998 – gennaio 1999).

5. La gravità del panorama indiziario evocato a sostegno della misura, e scrutinato in
termini di adeguatezza dal Giudice del riesame cautelare, deve ritenersi congruamente
sostenuta dall’apparato motivazionale su cui si radica l’impugnato provvedimento, che
ha correttamente proceduto ad una valutazione analitica e globale degli elementi
indiziari emersi a carico del ricorrente, dando conto, in maniera logica ed adeguata,
delle ragioni che giustificano l’epilogo del relativo percorso decisorio.
Entro tale prospettiva, l’impugnata ordinanza ha fatto buon governo del quadro dei
principii che regolano la materia, ponendo in evidenza – sulla base delle specifiche e
convergenti dichiarazioni auto ed etero-accusatorie al riguardo rese da Billizzi Carmelo
e Gammino Gianluca, entrambi direttamente coinvolti nelle fasi, preparatoria ed
esecutiva, dell’omicidio in contestazione – il coinvolgimento di Selvaggio Giuseppe, da
entrambi definito esponente di una famiglia mafiosa di Mazzarino, quale componente il
gruppo di fuoco incaricato di eliminare Mirabella Angelo (facente parte della
contrapposta aggregazione della “stidda” di Vittoria), con funzioni di materiale
supporto al gruppo, già costituito da altri affiliati di Gela e di Vittoria, cui egli prese
parte sia in occasione di un primo tentativo, andato a vuoto a causa della mancata
segnalazione della presenza di Mirabella nel paese, sia del secondo, poi sfociato
nell’agguato mortale.
Il Tribunale del riesame ha quindi spiegato la ragione del coinvolgimento di persone
estranee allo specifico contesto territoriale, come appunto il Selvaggio, valorizzando in
particolare le dichiarazioni rese dal Billizzi Carmelo – organizzatore dell’azione
criminosa posta in essere e dunque pienamente a conoscenza dei particolari della
vicenda in esame – il quale ha sottolineato la necessità di disporre di un nutrito ed
esperto gruppo di fuoco a supporto del Gammino e del Piscopo Giovanni, che non
avevano mai sparato prima, pur avendo dimostrato “sangue freddo” in occasione di
altri omicidi.
Nell’illustrare i contenuti dell’ampia e dettagliata narrazione del Billizzi, il Tribunale ha
posto in rilievo come l’azione omicidiaria – decisa dai fratelli Emmanuello di Gela, che
avevano intrapreso un percorso di penetrazione criminale nel territorio di Vittoria,
tradizionale appannaggio della “stidda” – sia stata affidata appunto al Billizzi, il quale a
sua volta scelse come “killer” Piscopo Giovanni e Gammino Gianluca, ne stabilì gli
obiettivi (Mirabella e i sui sodali) ed il luogo (ossia, il rifornimento di carburante di
Vittoria frequentato dal Mirabella), recandosi inoltre, su consiglio di Davide
Emmanuello, da Siciliano Salvatore, esponente della famiglia mafiosa di Mazzarino,
che gli mise a disposizione il Selvaggio quale persona di fiducia da utilizzare
nell’azione (promettendogli anche di rivolgersi ai responsabili della famiglia di Riesi
per avere un ulteriore appoggio).
Pur considerandolo meno dettagliato, ma comunque sostanzialmente convergente sui
nuclei fondamentali dell’azione criminosa (ossia, il mandato conferito dai fratelli
Emanuello, l’articolazione in due momenti dell’azione criminosa – una intorno al Natale
del 1998, l’altra il 2 gennaio 1999 – l’attribuzione del ruolo di esecutori al Gammino ed
al Piscopo Giovanni e di autista a La Rocca Carmelo), il Tribunale del riesame ha poi
ritenuto di inquadrare il contributo narrativo proveniente dal Gammino, facendo
riferimento, tra l’altro, alla circostanza di fatto che, sulla ase delle sue dichiarazioni, il
3

incertezza assoluta sulle persone intervenute, ovvero di mancanza della sottoscrizione
del pubblico ufficiale che lo ha redatto (Sez. 5, n. 6399 del 06/11/2009, dep.
17/02/2010, Rv. 246057). Perché possa ritenersi sussistere un’incertezza assoluta
sulle persone intervenute è necessario, infatti, che l’identità del soggetto partecipante
all’atto non solo non sia documentata nella parte del verbale specificamente destinata
a tale attestazione, ma altresì che non sia neppure desumibile da altri dati contenuti
nello stesso, né da altri atti processuali in esso richiamati o ad esso comunque
riconducibili (Sez. Un., n. 41461 del 19/07/2012, dep. 24/10/2012, Rv. 253213).

6. Parimenti congrua deve altresì ritenersi, nell’iter motivazionale dell’impugnato
provvedimento, la giustificazione offerta riguardo alla sussistenza delle esigenze
cautelari, peraltro solo genericamente contestata dal ricorrente, e dal Tribunale, di
contro, motivatamente desunta attraverso la considerazione di una serie di elementi
adeguatamente rappresentati (estrema gravità dei fatti, anche in ragione delle loro
modalità di realizzazione, precedenti a carico, concrete possibilità di rinsaldare
pregressi vincoli con gli ambienti della criminalità organizza t) e ritenuti sintomatici
4

Selvaggio e coloro che lo accompagnavano “erano coinvolti nel progetto omicidiario e
videro le armi preparate”.
Entrambi i collaboratori, del resto, ne hanno effettuato una sicura individuazione
fotografica, dichiarando di aver avuto modo di relazionarsi con l’indagato sia in epoca
precedente che successiva all’episodio in oggetto.
Ulteriori, significativi, elementi di riscontro indiziario della cointeressenza dell’indagato
all’operazione criminosa descritta nel tema d’accusa sono stati ricavati
dall’apprezzamento degli esiti delle attività d’indagine, che hanno permesso di
appurare, tra la mattina ed il pomeriggio del 2 gennaio 1999, la presenza di numerosi
contatti telefonici tra il Billizzi, il Gammino, il Selvaggio ed altre persone, alcune delle
quali non identificate, propedeutici ad un comune incontro e coerentemente ritenuti
idonei, per il tenore delle conversazioni fra gli stessi intercorse, a dare conferma
dell’esistenza di pregresse intese, ed in particolare della fissazione dell’appuntamento
concordato fra il Billizzi ed il Selvaggio, al fine di aggregare quest’ultimo al gruppo
incaricato della realizzazione dell’azione omicidiaria oggetto dell’addebito cautelare.
Nella medesima prospettiva, inoltre, il Tribunale ha valorizzato anche il dato inerente
al consistente numero di armi predisposte e messe a disposizione nell’occasione,
costituite da quattro pistole ed un fucile, ossia tante quante le persone che vennero
effettivamente coinvolte (ossia, i due killer che entrarono in azione, le due persone
intervenute a supporto – Selvaggio con il suo accompagnatore – e l’autista).
Ininfluenti, in relazione alla complessiva solidità della su illustrata base indiziaria, sono
state ritenute, di contro, le obiezioni difensive circa la presenza di talune discrasie nel
raffronto delle dichiarazioni rispettivamente rese dal Billizzi e dal Gammino, avendone
il Tribunale motivatamente escluso una connotazione di decisività ai fini del vaglio
cautelare, per l’assenza di una reale incidenza sugli aspetti – concordemente
evidenziati dai predetti collaboratori – inerenti all’identità, all’effettiva presenza ed al
ruolo attribuito alla persona oggetto della loro chiamata in correità (il cui contenuto
ricostruttivo, peraltro, non viene in alcun modo inficiato dalle incertezze
apparentemente affioranti dalle dichiarazioni di contorno del Piscopo Giovanni, avuto
riguardo al fatto, puntualmente evidenziato nell’impugnata ordinanza, che egli,
diversamente dagli altri collaboratori, non aveva mai incontrato in precedenza il
Selvaggio, e che quest’ultimo, inoltre, non svolse un ruolo direttamente “operativo”
nella dinamica dell’azione criminosa).
Solo genericamente formulate, e dunque inammissibili in questa Sede, devono poi
ritenersi le censure dalla difesa prospettate in ordine a carenze motivazionali che
involgerebbero l’apprezzamento della contestata militanza del ricorrente
nell’associazione mafiosa di cui al capo sub a), ove si consideri la congrua ed
esaustiva giustificazione delle ragioni poste a sostegno dell’epilogo decisorio in parte
de qua delineato nell’impugnata ordinanza.
Né, infine, può costituire oggetto di valutazione in questa Sede, trattandosi di una
questione di merito per la prima volta dedotta nel giudizio di legittimità, ed il cui
apprezzamento, pertanto, deve eventualmente sollecitarsi dinanzi alla competente
autorità giudiziaria, la concreta incidenza che sul quadro indiziario delineato a carico
del ricorrente può esercitare la contestuale ordinanza di annullamento pronunziata dal
Tribunale del riesame riguardo alla posizione del coindagato Siciliano Salvatore.

7. A fronte di un coerente ed esaustivo apprezzamento delle emergenze
procedimentali, esposto attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e
prive di vizi logici, il ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione tali
da inficiare la complessiva tenuta del discorso argomentativo delineato dal Tribunale,
né ha soddisfatto l’esigenza di una critica puntuale e ragionata che deve informare
l’atto di impugnazione, ma ha sostanzialmente contrapposto una lettura alternativa
delle risultanze processuali, facendo leva sull’apprezzamento di profili di merito già
puntualmente vagliati in sede cautelare, e la cui “rivisitazione” non è, evidentemente,
sottoponibile al giudizio di questa Suprema Corte, cui spetta, come è noto, solo il
compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai
limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto
delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto
che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (da ultimo, v. Sez. 4, n.
26992 del 29/05/2013, dep. 20/06/2013, Rv. 255460).
8. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere rigettato, con la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616
c.p.p.
La Cancelleria provvederà all’espletamento degli incombenti di cui all’art. 94, comma
1 ter, disp. att., c.p.p.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda
alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p. .

Così deciso in Roma, lì, 26 settembre 2013

5

dell’evidenziato rischio di reiterazione delle gravi condotte oggetto di addebito
cautelare, nonostante il rilevante tempo trascorso dall’epoca della loro commissione.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA