Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44239 del 01/08/2013


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Penale Sent. Sez. F Num. 44239 Anno 2013
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
STILLITTANO DOMENICO N. IL 17/02/1962
avverso l’ordinanza n. 198/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 17/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
SANTALUCIA;
~sentite le conclusioni del PG Dott. S

Udit i difensor Avvl

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Data Udienza: 01/08/2013

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’appello cautelare, ha rigettato
l’impugnazione di Domenico Stillittano avverso l’ordinanza di ripristino della misura cautelare in
carcere, emessa ai sensi dell’art. 307 comma 2 lett. b) c.p.p. dal Tribunale di Reggio Calabria il
27 febbraio 2013, limitatamente al reato di concorso in detenzione illegale e porto in luogo
pubblico di una pistola cal. 7,65, allo scopo di eseguire il reato di lesioni personali rimasto poi
nella forma tentata.
Il Tribunale ha prima ricordato che in data 22 ottobre 2011 fu dichiarata l’inefficacia,

nei confronti di Domenico Stillittano anche per il reato di concorso in detenzione illegale e
posto in luogo pubblico di una pistola cal. 7,65, e ha così osservato che lo Stillittano rimase in
stato di restrizione cautelare soltanto per taluno degli addebiti di cui all’ordinanza del 4 aprile
2011 e per quelli di cui ad altra ordinanza, emessa il 19 luglio 2011. Ha poi evidenziato che
con sentenza del 16 ottobre 2012 Domenico Stillittano fu condannato anche per i sopra indicati
reati e che con provvedimento del 27 febbraio 2013, su richiesta del pubblico ministero, è
stata ripristinata la misura cautelare in relazione a detti reati in ragione di un concreto pericolo
di fuga. Nel merito delle doglianze d’appello, il Tribunale ha precisato che, nel valutare
concretamente il pericolo di fuga, occorre aver riguardo alla pena complessiva irrogata con la
sentenza di condanna, nel caso di specie pari ad anni nove e mesi otto di reclusione, e non
soltanto alla pena relativa alla condanna per il reato interessato dal ripristino della misura
cautelare; ha poi evidenziato che non possa effettuarsi alcun giudizio prognostico circa la
tenuta o meno in appello della pena comminata in primo grado. Ha quindi apprezzato la
sussistenza di un concreto pericolo di fuga in ragione dell’elevata caratura criminale dello
Stillittano, desunta dai numerosi precedenti penali, uno per fatto associativo che comprova
l’inserimento nell’associazione di tipo mafioso quale è la cosca Rosmini, e della considerazione
che in più occasioni lo Stillittano ha dimostrato una concreta tendenza a sottrarsi alle
prescrizioni dell’autorità (violazioni delle prescrizioni imposte con la misura di prevenzione della
sorveglianza speciale).
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso, per mezzo del difensore avv.to Pitasi,

per decorrenza dei termini di custodia cautelare, della misura cautelare emessa il 4 aprile 2011

Domenico Stillittano, deducendo:
violazione di legge. Il Tribunale avrebbe dovuto fare applicazione della disposizione
di cui all’art. 307 comma 1 c.p.p., e non già di quella di cui all’art. 307 comma 2
lett. b) c.p.p., che opera solo quando si accerti che la scarcerazione per decorrenza
dei termini è avvenuta (o sarebbe dovuta avvenire) prima della sentenza di
condanna. Nel caso di specie, invece, si è verificato il caso opposto. Lo Stillittano, a
cui erano stati contestati plurimi reati, doveva essere scarcerato dopo la sentenza di
condanna e invece fu scarcerato per taluni di essi, e precisamente per quelli per i
quali era previsto un termine di fase di mesi sei, nella fase delle indagini preliminari.

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E pertanto, poiché lo Stillittano doveva essere scarcerato dopo la sentenza di
condanna, doveva operare la disposizione di cui all’art. 307 comma 1 c.p.p.
violazione di legge, perché, in ragione di quanto prima dedotto, l’ordinanza era da
qualificarsi come nuova ordinanza e non già quale ripristino di altra dichiarata
cessata. L’impugnazione contro la stessa doveva essere il riesame e non l’appello, e
si sarebbe dunque dovuto rispettare il termine di cui all’art. 309 comma 9 c.p.p.. Ne
consegue la perdita di efficacia della misura cautelare, previo annullamento senza
rinvio dell’ordinanza impugnata.

permangano le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare, sia in
riferimento ai gravi indizi che alle ritenute esigenze cautelari. Nel caso di specie, con
nessuna delle due ordinanze di custodia cautelare era stato paventato il pericolo di
fuga: in particolare, le misure cautelari erano state adottate per pericolo di
inquinamento probatorio e per pericolo di reiterazione delle condotte. Non poteva
quindi essere adottato ig provvedimento di ripristino della misura cautelare per
pericolo di fuga.
Violazione di legge e difetto di motivazione, perché l’ordinanza impugnata avrebbe
dovuto fare riferimento alla pena inflitta con la sentenza di condanna per il reato per
il quale è stato disposto il ripristino della misura, e non già all’entità complessiva
della pena, irrogata anche per altri reati. Avrebbe poi dovuto valutare l’entità della
pena con riferimento al periodo di custodia cautelare già patito, pari ad anni due, e
avrebbe dovuto tener conto di quella che poteva essere la prognosi circa l’esito
finale del procedimento. Nel caso di specie, la non eccesiva gravità della pena, del
tipo di reati contestati, della durata della custodia già patita, della prognosi di esito
finale del procedimento, la motivazione dell’ordinanza in punto di pericolo di fuga è
assolutamente carente e del tutto ingiustificata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato solo in parte, per le ragioni di seguito esposte.
Innanzitutto deve rilevarsi che la doglianza proposta con il primo motivo di ricorso, e
conseguentemente anche la connessa di cui al secondo motivo, non risultano essere state
poste alla valutazione del giudice d’appello, il quale, nel riassumere le censure difensive prima
di procedere all’illustrazione delle ragioni della decisione (fl. 3), di esse non ha fatto menzione.
Deve comunque essere precisato, in relazione ai primi due motivi, che, come affermato
dall’ordinanza impugnata, il ripristino della misura della custodia cautelare fu disposto, con
provvedimento del 27 febbraio 2013, in riferimento soltanto all’addebito di cui al capo E) del
provvedimento applicativo adottato in data 4 aprile 2011, rispetto al quale era stata dichiarata,
con atto del 22 ottobre 2011 e quindi ancor prima dell’emissione della sentenza di condanna,
l’inefficacia della misura per decorrenza dei termini di custodia cautelare. È pur vero che,
nonostante la dichiarazione di inefficacia della misura in relazione all’addebito di cui al capo E),

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Violazione di legge, perché il ripristino della misura cautelare implica che

il ricorrente non fu rimesso in libertà, perché la misura carceraria rimase operante in relazione
ad altri addebiti cautelari; ma non può essere trascurato che, contestualmente al
provvedimento di ripristino della custodia, fu disposta la cessazione dell’efficacia della misura
cautelare carceraria applicata in relazione alle imputazioni di cui ai capi F) e G), le sole per le
quali era proseguito lo stato di restrizione cautelare. Si ha così che al momento della decisione
di ripristino il ricorrente era stato formalmente scarcerato in riferimento alle imputazioni per le
quali sino a quel momento sussisteva il titolo cautelare.
Né può dirsi, evocando l’orientamento interpretativo fatto proprio anche dalle Sezioni

decorrenza dei termini massimi di fase in riferimento all’addebito di cui al capo E), per il quale
fu poi disposto il ripristino, perché a quel momento il ricorrente rimase in stato di restrizione in
riguardo ad altri addebiti cautelari.
La pur corretta affermazione che nega rilevanza ad un provvedimento di scarcerazione,
per così dire parziale in quanto non riguardante tutti gli addebiti del provvedimento cautelare Sez. U, n. 26350 del 24/4/2002 (dep. 10/7/2002), Fiorenti, Rv. 221657 -, non significa che il
giudice non debba comunque dare atto della perenzione parziale – per decorso del termine del provvedimento cautelare e che a questo provvedimento, diverso da quello formale di
scarcerazione, l’indagato in stato di restrizione non abbia interesse.
Una volta intervenuta la dichiarazione di inefficacia, pur senza provvedimento di
scarcerazione, quel che rileva ai fini del ripristino della custodia cautelare ai sensi dell’art. 307
comma 2 lett. b) c.p.p. è che il condannato abbia riacquistato la libertà personale, presupposto
necessario per l’apprezzamento del pericolo di fuga: e nel caso di specie, al momento del
ripristino della custodia per il titolo per il quale era stata dichiarata la perenzione per
decorrenza dei termini massimi, il condannato fu contestualmente scarcerato in riferimento alle
imputazioni per le quali era sino ad allora rimasto in vinculis.
Come è stato già affermato da questa Corte, per il ripristino della custodia cautelare
nell’ipotesi disciplinata dall’articolo 307 comma 2 c.p.p., è richiesto un previo formale
provvedimento di scarcerazione, attestante l’avvenuto decorso del termine di custodia, prima
dell’emissione di altra ordinanza cautelare – Sez. 4, n. 46600 del 26/10/2005 (dep.
21/12/2005), Keci, Rv. 232913 -.
La disposizione di riferimento è stata dunque correttamente individuata in quella di cui
all’art. 307 comma 2 lett. b) c.p.p.
Il terzo motivo di ricorso non ha pregio, posto che il ripristino della custodia cautelare
dopo la condanna del soggetto precedentemente scarcerato per decorrenza dei termini,
secondo la previsione di cui all’art. 307 comma 2 lett. b) c.p.p., può essere disposto in
presenza soltanto del pericolo di fuga, che abbia a manifestarsi contestualmente o
successivamente alla condanna, sempre che la custodia si riveli necessaria ai sensi dell’art.
375 c.p.p., ossia si prospetti come unica misura adeguata al soddisfacimento di quella
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unite di questa Corte, che non andava dichiarata l’inefficacia del provvedimento cautelare per

esigenza cautelare, che ben può non essere tra quelle ritenute al momento in cui fu applicato
la misura poi perenta.
È stato già affermato, coerentemente a quanto ora statuito, che «ai fini del ripristino
della custodia cautelare in carcere per sopravvenuta condanna, ex art. 307, comma 2 c.p.p., il
giudice della cautela – oltre ad avere riguardo alle esigenze connesse al pericolo di fuga che
deve profilarsi con ragionevole probabilità, e non solo come mera possibilità, in ragione di
attuali e concreti profili comportamentali – deve accertare, ex art. 275, comma 3 c.p.p., se
ogni altra misura risulti inadeguata esplorando la possibilità di misure alternative…» – Sez. 5,

Resta comunque fermo che «ai fini del ripristino, determinato da sopravvenuta
condanna, della custodia cautelare nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei
termini, la sussistenza del pericolo di fuga non può essere ritenuta né sulla base della
presunzione, ove configurabile, di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall’art. 275,
comma 3 c.p.p., né per la sola gravità della pena inflitta con la sentenza, che è soltanto uno
degli elementi sintomatici per la prognosi da formulare al riguardo, la quale va condotta non in
astratto, e quindi in relazione a parametri di carattere generale, bensì in concreto, e perciò con
riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire, nel caso specifico,
non la certezza, ma la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce (personalità,
tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, pregresso comportamento, abitudini di
vita, frequentazioni, natura delle imputazioni, entità della pena presumibile o concretamente
inflitta), senza che sia necessaria l’attualità di suoi specifici comportamenti indirizzati alla fuga
o a anche solo a un tentativo iniziale di fuga» – Sez. U, n. 34537 dell’11/7/2001 (dep.
24/9/2001), Litteri e altri, Rv. 219600 -.
Ma, nel riferimento anche alla pena inflitta con la sentenza di condanna, non può farsi
riferimento alla complessiva pena irrogata anche per imputazioni diverse ed ulteriori rispetto a
quella che è posta a fondamento del ripristino della misura cautelare carceraria. L’autonomia
del titolo cautelare rispetto alla sentenza di condanna non consente di trasporre nell’ambito
delle valutazioni incidentali decisioni del merito principale in relazione a fatti che all’intervento
cautelare restino estranei.
In tale errore è incorso il Tribunale che, pur correttamente valutando la pena irrogata
unitamente ad altri indici di rilievo per l’apprezzamento del pericolo di fuga, ha assunto a
riferimento la pena complessivamente inflitta per tutte le imputazioni per le quali è intervenuta
condanna, e quindi anche per quelle non interessate dal titolo cautelare.
Si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza, con rinvio al Tribunale di Reggio
Calabria, in modo che possa provvedere ad un nuovo esame della vicenda e verificare la
sussistenza dei presupposti per il ripristino della misura alla luce del mutamento quantitativo
del parametro relativo alla pena irrogata, secondo il principio di diritto appena formulato.
La cancelleria è tenuta a provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94, comma

1-ter,

disp. att. c.p.p.

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n. 13080 del 2/2/2011 (dep. 29/3/2011), Tanzi, Rv. 249954 –

trasmessa copia ex irf.01
n. i ter L. luiffte 332
Rwria, ;ì
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore
dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.
agosto 2013

Così deciso,

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