Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44227 del 18/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 44227 Anno 2013
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Santeramo Maria Michelina, nata a Foggia il 13.2.1970,
avverso la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila in data 12.12.2012.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Piercamillo Davigo.
Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, dott. Mario Fraticelli, il
quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Data Udienza: 18/10/2013

ritenuto in fatto

Con sentenza del 17.3.2008, il Tribunale di Teramo, fra l’altro, dichiarò
Santeramo Maria Michelina responsabile del reato di truffa e — concesse le
attenuanti generiche — la condannò alla pena di mesi 10 di reclusione ed €
200,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputata (insieme ad altro imputato) propose

gravame ma la Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza del 12.12.2012,
confermò la decisione di primo grado nei confronti della predetta imputata.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputata deducendo:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione
di responsabilità, trascurando ipotesi alternative; l’imputata avrebbe
potuto credere che l’assegno fosse coperto e comunque non avrebbe
posto in essere artifizi o raggiri assicurando la persona offesa della
copertura dell’assegno, non vi sarebbe motivazione sull’elemento
soggettivo del reato e non sarebbe stato superato il dubbio
ragionevole;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’entità della
pena inflitta.

Considerato in diritto

Il primo motivo di ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606
comma 1 cod. proc. pen., perché manifestamente infondato e perché
propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente
giustificata.
La Corte territoriale da un lato ha ritenuto che l’imputata avesse
compilato l’assegno e rassicurato sulla serietà degli acquirenti con il
comunicare il numero di telefono. Inoltre l’imputata non aveva fornito alcuna
indicazione circa le ragioni del possesso dell’assegno utilizzato per pagare
gioielli.
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la
renda sindacabile in questa sede.

2

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass.

Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez.

2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di
motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti
dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla
verità degli enunciati che la compongono.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una
valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti
dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice
dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in
relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata
l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla
adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia
pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod.
pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass.
Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass.
N. 155508; n. 148766; n. 117242).
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.

3

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in data 18.10.2013.

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