Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44226 del 18/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 44226 Anno 2013
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Zangari Antonio, nato a Cinquefrondi il 23.10.1948;
avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria, sezione
penale, in data 4.10.2012.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Piercamillo Davigo.
Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, dott. Mario Fraticelli, il
quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.

Data Udienza: 18/10/2013

ritenuto in fatto

Con sentenza del 27.6.2011, il Tribunale di Palmi dichiarò Zangari
Antonio responsabile del reato di usura aggravata e continuata e — con la
diminuente per il rito abbreviato — lo condannò alla pena di anni 3 mesi 8 di
reclusione ed € 16.000,00 di multa, pene accessorie.
L’imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni (da liquidarsi

in separato giudizio) ed alla rifusione delle spese a favore delle parti civili
Luccisano Antonio, Luccisano Michele e Verdania S.r.l.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame e la Corte d’appello
di Reggio Calabria, con sentenza del 4.10.2012, in parziale riforma della
decisione di primo grado, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 644
comma 5 n. 3 cod. pen. e concesse le attenuanti generiche equivalenti
all’aggravante di cui all’ad, 644 comma 5 n. 4 cod. pen., rideterminò la pena
in anni 3 di reclusione ed € 8.000,00 di multa, confermando nel resto la prima
pronunzia e condannando l’imputato alla rifusione a favore delle parti civili
delle ulteriori spese di giudizio.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo:
1. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione
al rigetto del motivo di appello afferente l’inutilizzabilità delle
intercettazioni provenienti da altro procedimento; tali intercettazioni (di
cui sono allegati i decreti ed una nota di polizia giudiziaria) erano state
acquisite essendo stato il procedimento inizialmente iscritto anche per
ipotesi di estorsione a carico di ignoti, poi naufragata, tanto che il
giudizio immediato fu richiesto solo per usura, reato che non prevede
l’arresto obbligatorio in flagranza; la Corte territoriale ha ritenuto
corretto in un primo momento la qualificazione dei fatti; tuttavia le
intercettazioni sono transitate dal procedimento n. 2739, nel quale era
persona offesa Morano Francesco, a quello n. 2953/10 Mod. 44
R.G.N.R., nel quale erano persone offese i fratelli Luccisano per i reati
di estorsione ed usura, a quello n. 3713/10 Mod. 21 in cui sono
persone offese i fratelli Luccisano solo per usura; sarebbe illogico
sostenere che l’intercettazione sia stata solo notizia di reato perché il
contenuto della stessa è stato usato per motivare la colpevolezza;
2

sarebbe un aggiramento della legge l’uso dell’intercettazione per
l’usura una volta esclusa l’esistenza di un reato per il quale è previsto
l’arresto obbligatorio in flagranza; il motivo di censura si estende alle
intercettazioni conseguenti;
2. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione
all’affermazione di responsabilità per il delitto di usura in quanto, posto
che lo Zangari non ebbe diretti contatti con Luccisano Michele, ma che

il prestito a Luccisano fu effettuato da Calia Pasquale, si afferma con
denaro di Zangari, la Corte territoriale ha considerato riscontro alle
dichiarazioni di Luccisano la ritenuta esatta allocazione dell’abitazione
di Zangari, trascurando la consulenza tecnica del geom. Angelo
Napoli (in parte allegata) dove si afferma che tale abitazione non
sarebbe una villetta isolata; il giudizio di attendibilità avrebbe dovuto
essere esteso a Calia; l’unico elemento sulla scorta del quale la Corte
territoriale ha ritenuto la sussistenza del reato contestato sarebbero
due conversazioni telefoniche tra Zangari e Calia in data 28.9.2010 e
1.10.2010 dalle quali si intuirebbe al massimo un rapporto di debito
credito fra i due; quanto alla telefonata 28.9.2010 l’uso del termine
“passa” alla terza persona singolare era stato ritenuto dal primo
giudice elemento di prova che una terza persona, presumibilmente
Luccisano, sarebbe passato da Calia e che dopo tale incontro
quest’ultimo si sarebbe recato sa Zangari; peraltro nel giudizio
celebrato con rito ordinario nei confronti di coimputati sarebbe stata
disposta perizia di trascrizione della intercettazione citata e dalla
stessa (allegata al ricorso) risulta l’uso del verbo “passo” alla prima
persona singolare; a fronte di ciò la Corte territoriale ha sminuito la
rilevanza dell’intercettazione affermando che ciò che contava era che
Calia tenesse informato Zangari delle trattative, riconducendolo
necessariamente al rapporto usurario pur in difetto di prova
dell’oggetto dell’incontro; peraltro Zangari aveva affermato di aver
elargito un prestito a Calia di € 10.000,00 a titolo di cortesia; di ciò che
Calia possa aver fatto di tale denaro non vi sarebbe prova di
consapevolezza in capo a Zangari; Luccisano Michele ha riferito che
la somma da restituire a Calia era di € 32.470,00, ma della quale non
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sapeva indicare la quota capitale e gli interessi; non sarebbe perciò
individuabile un tasso usurario, come risulta dalle dichiarazioni
dibattimentali dello stesso in parte trascritte nel ricorso;
3. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione
alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’esercizio di
attività imprenditoriale da parte della persona offesa; la Corte
territoriale ha ritenuto che Zangari si fosse informato dell’attività della

persona offesa al fine di valutare la capacità di restituzione del denaro,
ma ciò non risulterebbe da alcune elemento;
4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato
giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche nonostante
l’incensuratezza di Zangari.

Considerato in diritto

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In tema di intercettazioni, qualora il mezzo di ricerca della prova sia
legittimamente autorizzato all’interno di un determinato procedimento
concernente uno dei reati di cui all’art. 266 cod. proc. pen., i suoi esiti sono
utilizzabili anche per tutti gli altri reati relativi al medesimo procedimento,
mentre nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso “ab
origine”, l’utilizzazione è subordinata alla sussistenza dei parametri indicati

espressamente dall’art. 270 cod. proc. pen., e, cioè, l’indispensabilità e
l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 49745 del
04/10/2012 dep. 20/12/2012 Rv. 254056).
La sentenza impugnata, richiamando anche quella di primo grado,
evidenzia come, a seguito di atti intimidatori perpetrati in danno di Morano
Francesco, era stata intercettata una conversazione nella quale Luccisano
Michele riferiva di aver ricevuto richieste di denaro accompagnate da
minacce, di talché non può considerarsi pretestuosa l’iscrizione di
procedimento penale anche per estorsione e conseguentemente la legittimità
dell’acquisizione delle intercettazioni.
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Una volta acquisite al procedimento per estorsione ed usura,
validamente le intercettazioni sono state utilizzate per il reato di usura,
irrilevante essendo l’esito, ignoto alla Corte, dell’iscrizione relativa al reato di
usura.
Infatti, in tema di intercettazioni, qualora il mezzo di ricerca della prova
sia legittimamente autorizzato all’interno di un determinato procedimento
concernente uno dei reati di cui all’art. 266 cod. proc. pen., i suoi esiti sono

utilizzabili anche per tutti gli altri reati relativi al medesimo procedimento,
mentre nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso “ab
origine”, l’utilizzazione è subordinata alla sussistenza dei parametri indicati

espressamente dall’art. 270 cod. proc. pen., e, cioè, l’indispensabilità e
l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza. (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 49745 del
04/10/2012 dep. 20/12/2012 Rv. 254056).
Il procedimento per il reato di usura oggetto del presente giudizio non
può infatti essere considerato diverso da quello per usura ed estorsione,
giacché, in tema di intercettazioni di conversazioni, ai fini del divieto di
utilizzazione previsto dall’art. 270, comma primo, cod. proc. pen., il concetto
di “diverso procedimento” va collegato al dato della alterità o non
uguaglianza del procedimento, in quanto instaurato in relazione ad una
notizia di reato che deriva da un fatto storicamente diverso da quello oggetto
di indagine nell’ambito di altro, differente, anche se connesso, procedimento
(Cass. Sez. 2, Sentenza n. 49930 del 11/12/2012 dep. 28/12/2012 Rv.
253916).
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso svolgono censure di merito non
consentite in questa sede.
La Corte territoriale ha ritenuto che fosse irrilevante l’uso del verbo
“passa” o “passo” dal momento che ciò che contava era il fatto che Calia
tenesse informato Zangari dei rapporti con Luccisano, mentre Zangari ha
ammesso di aver effettuato una erogazione di denaro a Calia, il che si
inserirebbe nel quadro complessivo riferito da Luccisano Michele.
In siffatta valutazione non vi è manifesta illogicità che la renda
sindacabile in questa sede, mentre non può essere qui dedotta una diversa
interpretazione delle intercettazioni.

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Valutazione di merito è anche quella relativa alla natura usuraria del
tasso di interesse a fronte di erogazione di 10.000,00 euro con restituzione di
oltre 30.000,00, nonché quella della conoscenza minima dell’attività del
creditore.
È irrilevante l’argomento relativo al fatto secondo il quale l’abitazione di
Zangari non sarebbe una villetta, giacché, a fronte delle incertezze
mnemoniche di Luccisano Michele tale dato non è stato considerato

comunque una smentita dalla Corte d’appello (p. 8 sentenza impugnata),
mentre, quanto alle dichiarazioni della persona offesa non sono
indispensabili i riscontri.
Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure
di merito.
Infatti, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio,
per il corretto adempimento dell’obbligo della motivazione in tema di
bilanciamento di circostanze eterogenee è sufficiente che il giudice dimostri
di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella
norma dell’art. 133 cod. pen. E gli altri dati significativi, apprezzati come
assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto, essendo sottratto al
sindacato di legittimità, in quanto espressione del potere discrezionale nella
valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena demandato
al detto giudice, il supporto motivazionale sul punto quando sia aderente ad
elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì,
logicamente corretto. (Cass. Sez. 1^ sent. n. 3163 del 28.11.1988 dep.
25.2.1989 rv 180654).
Ciò la Corte territoriale hriatto effettuando il giudizio di comparazione in
rapporto alla valutazione complessiva del fatto.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
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P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in data 18.10.2013.
Piercamillo Davi

Il Presidente
Dolnenico
sz.V20

Il Consigliere estensore

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