Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44202 del 10/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 44202 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MENDITTO GENNARO N. IL 13/09/1975
avverso la sentenza n. 1470/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
04/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
___ 2-1-Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.2 -”
e
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv. N’ok-asl-c_o>

Data Udienza: 10/10/2013

21297/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 4 dicembre 2012 la Corte d’appello di Napoli respingeva l’appello
proposto da Menditto Gennaro avverso sentenza del 1 aprile 2010 con cui il Tribunale di Napoli
lo aveva condannato alla pena di giorni sei di arresto ed euro 2600 di ammenda per avere
abusivamente realizzato in zona sismica, in assenza del deposito degli atti e della preventiva

terrazzo a livello di pertinenza di un manufatto preesistente, fatto accertato il 24 ottobre 2008.
2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo illogicità della motivazione “perché dà per
certe le premesse dell’assunto difensivo, ma perviene alla conferma della sentenza di primo
grado in maniera apodittica”. Vengono dati per certi “la prevalente residenza di fatto a Roma, il
viaggio di un mese e l’indisponibilità a sostenere esborsi” non proporzionati all’età e alla
condizione economica dell’appellante, che “di quell’appartamento era proprietario e, perciò,
persona direttamente interessata”; ma non viene considerato che la qualità di proprietario
dell’area ove vengono compiute opere abusive, pur essendo un indizio grave, non è sufficiente
per affermare la responsabilità penale, e che comunque il proprietario non patisce
un’autonoma forma di responsabilità colposa per omesso impedimento. La stessa sentenza,
poi, ammette che l’imputato “di fatto non ha eseguito i lavori, tant’è che sul posto fu trovata la
madre, nominata custode”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato.
La sentenza d’appello dà atto che l’appellante aveva chiesto in primo luogo di essere assolto
per non aver commesso il fatto, riproponendo gli elementi difensivi addotti in primo grado (il
fatto che egli lavorava a Roma e tornava a Napoli mediamente una volta al mese, il fatto che
era stato in viaggio di nozze per l’intero mese di ottobre, l’affermazione di nulla sapere della
modifica di una preesistente veranda in alluminio che sarebbe stata iniziativa del padre il quale
gli aveva donato l’appartamento nel luglio 2008; si noti che la corte territoriale dà anche atto
che un teste, collega dell’imputato, aveva confermato che questi “lavora e vive a Roma ed è
solito rientrare a Napoli solo una volta al mese”), e sostenendo “di essersi affidato al padre per
l’esecuzione dei lavori che, secondo gli accordi intercorsi, avrebbero dovuto essere di sola
manutenzione”; egli dunque avrebbe appreso della trasformazione al ritorno dal viaggio di
nozze; aveva altresì “rimarcato la sua indisponibilità economica” sempre a supporto della sua
estraneità. La corte territoriale non ha dunque negato la veridicità della “prevalente residenza”

autorizzazione normativamente previsti, un manufatto in muratura adibito a cucina sul

a Roma, del viaggio di un mese e della impossibilità o grave difficoltà per il Menditto quanto a
sostenere un simile esborso per la sua età e la sua condizione economica. Ha ritenuto però, nel
suo ragionamento motivazionale, tutto questo irrilevante a fronte di due dati: “di
quell’appartamento egli era il proprietario e perciò persona direttamente interessata a renderlo
idoneo al soddisfacimento delle sue personali esigenze, a maggior ragione in virtù della recente
formazione di un suo autonomo nucleo familiare”, e, “seppure di fatto non ha seguito i lavori,
tant’è che sul posto fu trovata la madre, nominata custode, era di certo consapevole della

corte desume così ogni altro elemento: il suo interesse ad adeguare l’appartamento, anche per
le recenti nozze (senza peraltro considerare la sua residenza altrove e il fatto che l'”autonomo
nucleo familiare” non risulta che fosse composto da altri che dalla coppia marito e moglie, e
quindi fosse “minimo”), e la sua consapevolezza della natura dei lavori che venivano eseguiti.
Il fatto che il Menditto non fosse presente mentre i lavori venivano effettuati, secondo la corte,
non incide minimamente sulla conoscenza, da parte dell’imputato, che i lavori venivano
eseguiti e di quali lavori si trattava, perché tutto ciò, secondo la corte territoriale, è insito
nell’interesse del proprietario. L’impostazione del ragionamento è chiaramente apodittica, nel
senso che configura una sorta di responsabilità oggettiva del proprietario per le opere abusive,
pur riconoscendo la sussistenza di elementi fattuali non insignificanti sulla lontananza abituale
del proprietario, oltre che sulle sue risorse economiche. E d’altronde, come rileva il ricorrente,
la giurisprudenza di questa Suprema Corte sviluppatasi sugli effetti della qualità di proprietario
in tema di reati edilizi non ha configurato una siffatta responsabilità oggettiva: pur
valorizzando intensamente detta qualità, ne esige la contestualizzazione in ulteriori dati,
peraltro anche indiziari (da ultimo Cass. sez. III, 30 maggio 2012 n. 25669 chiede per il
proprietario che non sia formalmente il committente delle opere abusive, per dedurne la
responsabilità in tema di reati edilizi, la sussistenza di indizi per sostenere la
compartecipazione anche morale al reato, quali appunto “la piena disponibilità della superficie
edificata, l’interesse alla trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinità con
l’esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il
deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria, la fruizione dell’immobile secondo le
norme civilistiche sull’accessione nonché tutti quei comportamenti (positivi o negativi) da cui
possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale
alla realizzazione del fabbricato”;

a sua volta Cass. sez.III, 22 novembre 2007 n. 47083

pretende che del proprietario, qualora non sia il titolare del permesso di costruire, il
committente o il direttore dei lavori, “risulti un suo contributo soggettivo all’altrui abusiva
edificazione da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non
essendo sufficiente la semplice connivenza, attesa l’inapplicabilità dell’art. 40, comma secondo,
c.p., in quanto non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di controllo
sui beni finalizzato ad impedire il reato”;

ancora, Cass. sez.III, 12 gennaio 2007 n. 8667

afferma che il proprietario non formalmente committente risponde del reato edilizio ex articolo

natura degli stessi”. Ma è dalla qualità di proprietario dell’imputato, a ben guardare, che la

44 d.p.r. 380/2001 se, trovandosi

“a conoscenza dell’assenza del preventivo rilascio del

permesso di costruire, abbia fornito un contributo causale che abbia agevolato la edificazione
abusiva”, occorrendo comunque che il giudice verifichi

“l’esistenza di comportamenti, che

possono assumere sia forma positiva che negativa, dai quali si possa ricavare una
compartecipazione anche solo morale”

al reato; e non si discostano da una siffatta

impostazione Cass. sez.III, 5 luglio 2006 n. 33487 – per cui la responsabilità del proprietario,
non formalmente committente, “può dedursi da indizi quali la avvenuta presentazione di una
denunzia di inizio di opere di manutenzione ordinaria e la successiva domanda di sanatoria
delle opere realizzate” – e Cass. sez.III, 13 luglio 2005 n. 32856 – per cui la responsabilità del
proprietario del manufatto nel quale l’abuso è stato effettuato può “dedursi da indizi precisi e
concordanti quali la qualità di coniuge del committente, la presentazione di istanze per la
realizzazione di opere edilizie di portata di gran lunga minori di quelle realizzate, la presenza in
loco all’atto dell’accertamento” -).
Alla luce della suddetta giurisprudenza, concorde nel ritenere non sufficiente di per sé la
qualità di proprietario del bene su cui viene eseguita l’opera abusiva per assumere la
responsabilità del relativo reato edilizio, non si può non osservare che, se è indubbiamente
significativo essere proprietario, occorre d’altronde riconoscere che la sussistenza dell’interesse
all’opera abusiva è insita nella qualità di proprietario, per cui a ben guardare tale dato non
aggiunge alcunché a quella che, se discende esclusivamente dalla qualità di proprietario, si
converte, in difformità dall’appena evidenziata corretta interpretazione, in una responsabilità
oggettiva o comunque in una responsabilità omissiva per difetto di vigilanza. Anche la
parentela con chi realizza il lavoro, se il proprietario è stabilmente residente altrove, non può
fungere da automatica fonte di responsabilità per il proprietario, occorrendo invece indizi gravi
precisi e concordanti di una compartecipazione effettiva all’attività illecita che, come si è visto,
sono comunque necessari per inibire una erronea conformazione della responsabilità del
proprietario quale responsabilità in re ipsa. Nel caso di specie, allora, sono stati apportati dalla
difesa elementi specifici contrari (la residenza stabile altrove, in viaggio di nozze per tutta la
durata del mese d’ottobre in cui risulta essere stata effettuata l’opera, gli aspetti economici di
difficile compatibilità con una simile iniziativa) alla prospettazione d’accusa, che rimangono nel
ragionamento motivazionale della corte non fronteggiati realmente da indizi gravi, precisi e
concordanti nel senso della compartecipazione anche morale dell’imputato, pur assente in loco,
all’intervento illecito; e non vi è spazio, ovviamente, per una inversione dell’onere probatorio,
non dovendo l’imputato dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio di non avere avuto nulla
a che fare con l’abuso edilizio. È dunque illogico il percorso motivazionale scelto dalla sentenza
impugnata, per avere tratto, in effetti, una certezza da una premessa (la qualità di proprietario
del Menditto) intesa irragionevolmente come omnicomprensiva fonte d’ogni ulteriore elemento
probatorio a discapito dell’imputato nonché idonea a neutralizzare ogni elemento a suo favore
addotto dalla difesa.

In conclusione, la sentenza, risultando sussistente il vizio motivazionale denunciato nel
ricorso, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della corte territoriale.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

Il Presidente

Così deciso in Roma il 10 ottobre 2013

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