Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44183 del 01/10/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44183 Anno 2015
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PIPITONE VINCENZO N. IL 01/10/1950
avverso il decreto n. 36/2014 CORTE APPELLO di PALERMO, del
09/01/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;
lette/se,e le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 01/10/2015

Ritenuto in fatto
1. Con decreto del 09 – 23/01/2015 la Corte d’appello di Palermo, in parziale
riforma della decisione di primo grado, che l’aveva ritenuta inammissibile, ha
rigettato l’istanza con la quale Vincenzo Pipitone aveva richiesto la revoca delle
misure di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno e
della confisca, applicate nei suoi confronti con decreto del Tribunale di Palermo
del 20/11/1998.
La Corte territoriale ha rilevato: a) che, successivamente ad una precedente

delle coordinate di riferimento normativo, sia per effetto della sentenza n. 113
del 2011 della Corte costituzionale, sia a seguito dell’orientamento della
giurisprudenza di legittimità, in tema di obbligo di immediato adeguamento del
giudice interno alla decisioni assunte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; b)
che, tuttavia, nel caso di specie, non era praticabile la cd. revisione europea, in
mancanza di una decisione della Corte europea avente ad oggetto la posizione
dell’istante; c) che, in ogni caso, non era ravvisabile alcuna violazione della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; d) che il
Tribunale aveva sottolineato come il giudizio di pericolosità, espresso al
momento dell’applicazione delle misure di prevenzione, aveva tenuto conto
dell’assoluzione nel frattempo intervenuta in sede di cognizione, in relazione al
reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., ed era stato fondato su una serie di profili
fattuali ulteriori, idonei a dimostrare le relazioni intrattenute dal proposto con la
famiglia mafiosa di Marsala.
2. Nell’interesse del Pipitone è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai
seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamentano mancanza ed illogicità della motivazione,
per avere la Corte territoriale prima riconosciuto l’ammissibilità della richiesta, in
relazione anche alla citata sentenza n. 113 del 2011, e poi escluso la praticabilità
della cd. revisione europea, in mancanza di una condanna della Corte europea
con riferimento specifico alla posizione del Pipitone, che era perfettamente
sovrapponibile al caso Labita, già deciso dalla Corte europea con sentenza del
06/04/2000. Del resto altre decisioni giudiziarie aveva ritenuto che la revisione
europea potesse riguardare anche vicende non esaminate direttamente dalla
Corte europea, ma sovrapponibili a casi decisi da quest’ultima autorità.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge, per non avere
considerato: a) che le decisioni assunte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
divengono esse stesse parte della Convenzione europea, acquisendo natura
normativa; b) che altre autorità avevano applicato i principi affermati nella
sentenza Labita cit. anche in difetto di una specifica pronuncia della Corte
1

istanza di revoca formulata nel 2002, erano intervenute significative modifiche

europea; c) che, nel caso di specie, sussistevano i presupposti richiesti dall’art.
630 cod. proc. pen.
Considerato in diritto
1. I due motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente per la loro stretta
connessione logica, sono inammissibili.
In particolare, si osserva che la Corte costituzionale, con la sentenza
07/04/2011, n. 113, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod.
proc. pen., nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della

processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti
dell’uomo.
La portata della decisione non lascia adito a dubbi quanto al fatto che essa
attribuisce uno specifico rimedio processuale all’interessato, il quale, avendo
adito la Corte europea, abbia conseguito una sentenza, contenente
l’accertamento della non equità del processo celebrato a suo carico.
E, infatti, si è precisato che la nuova ipotesi di revisione, introdotta a seguito
dalla citata sentenza additiva della Corte costituzionale, presuppone, come
condizione ineliminabile, che sia intervenuta una sentenza definitiva della Corte
Edu sulla medesima vicenda oggetto del processo alla quale sia necessario
conformarsi (Sez. 3, n. 8358 del 23/09/2014 – dep. 25/02/2015, Guarino, Rv.
262639; Sez. 6, n. 46067 del 23/09/2014, Scandurra, Rv. 261689)
Questa Corte ha, inoltre, precisato che le previsioni dell’art. 630 cod. proc. pen.,
quale risultante a seguito della citata sentenza n. 113 del 2011 della Corte
costituzionale, debbono ritenersi estese anche all’istituto della revoca della
misura di prevenzione di cui all’art. 7 della legge n. 1423 del 1956, stante la sua
assimilazione agli strumenti revocatori (Sez. 5, n. 4463 del 15/11/2011 – dep.
02/02/2012, Labita, Rv. 252939).
In tale contesto di riferimento, la conclusione della Corte territoriale, secondo
cui, in assenza dì una decisione della Corte europea sulla vicenda specifica, non
v’è spazio per il rimedio della cd. revisione europea, è esatta e, poiché attiene
alla verifica di un presupposto processuale, non è censurabile sotto il profilo della
sussistenza di un vizio motivazionale.
Va, infatti, ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, qualora sia sottoposta
al vaglio del giudice di legittimità la correttezza di una decisione in rito, la Corte
stessa è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio
controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla (Sez. 5, n. 17979
del 05/03/2013, Iamonte, Rv. 255515).
2

sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del

Per completezza argomentativa, può aggiungersi che, dalla lettura integrale del
provvedimento impugnato, appare evidente che la Corte d’appello, ritenendo
astrattamente rilevanti le questioni prospettate dal ricorrente, intendeva solo
escludere che l’istanza rappresentasse una mera reiterazione della precedente
richiesta del 2002.
Ciò posto, le ulteriori critiche svolte nell’impugnazione sono prive di ogni
specificità.
La sentenza 06/04/2000 resa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ha

particolare della sorveglianza speciale “nei confronti di individui sospettati di
appartenere alla mafia anche prima della loro condanna poiché tendono ad
impedire il compimento di atti criminali. Peraltro il proscioglimento
eventualmente sopravvenuto non le priva necessariamente di ogni ragion
d’essere: infatti, elementi concreti raccolti durante un processo, anche se
insufficienti per giungere ad una condanna, possono tuttavia giustificare dei
ragionevoli dubbi che l’individuo in questione possa in futuro commettere dei
reati penali”.
A fronte di tale puntualizzazione, il Tribunale prima e la Corte d’appello poi
hanno chiaramente indicato le ragioni per le quali l’intervenuta assoluzione del
Pipitone nel processo di cognizione non elideva la significatività dei profili di
contiguità dello stesso con la famiglia mafiosa di Marsala, ossia la base obiettiva
del giudizio di pericolosità espresso in sede di prevenzione, con carattere di
autonomia (si vedano, ad es., i principi affermati da Sez. 6, n. 50946 del
18/09/2014, Catalano, Rv. 261591).
Tale apparato argomentativo, come si diceva in principio, non è contrastato in
modo specifico dal ricorrente, il quale, del tutto assertivamente, deduce la
sovrapponibilità della vicenda in esame a quella concernente il Labita o
genericamente indica altri provvedimenti di merito, certamente non vincolanti
nel caso di specie.
2. Alla pronuncia di inammissibilità consegue,

ex art. 616 cod. proc. pen., la

condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione
delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende. Così deciso in Roma il 01/10/2015

concluso per la legittimità dell’applicazione delle misure di prevenzione e in

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