Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44166 del 01/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 44166 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PANTO’ ROBERTO GIUSEPPE N. IL 10/11/1965
CONSOLO DOMENICO SALVATORE N. IL 04/03/1970
avverso la sentenza n. 3184/2012 TRIBUNALE di CATANIA, del
24/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 01/07/2013

;

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p., fu
applicata a Pantò Roberto Giuseppe e Consolo Domenico Salvatore, per il reato di
furto di materiale ferroso, aggravato dalla violenza sulle cose e dall’aver cagionato
alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità, con la recidiva

anni uno di reclusione più € 300 di multa, previa concessione delle attenuanti
generiche equivalenti alle contestate aggravanti ed alla recidiva;
– che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso separatamente entrambi gli
imputati;
-in particolare il difensore di Pantò Roberto Giuseppe, avv. Giovanni Marano, ha
denunciato erronea applicazione di legge penale, con riferimento alla qualificazione
giuridica del fatto, che andava rubricato come tentativo di furto e non come furto
consumato;
– Consolo Domenico Salvatore, con ricorso redatto personalmente, ha denunciato
violazione di legge con riferimento alla sussistenza dell’aggravante dall’aver
cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità, che
andava esclusa in considerazione di un danno di alcune centinaia di euro, che
poteva semmai giustificare il riconoscimento della circostanza attenuante del danno
di lieve entità;
– che è pervenuta dichiarazione di rinuncia al ricorso resa all’ufficio matricola della
casa circondariale di Mistretta dal ricorrente Consolo Domenico Salvatore;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che entrambi i ricorsi vanno dichiarati inammissibili, avendo entrambi ad oggetto
la corretta qualificazione giuridica della fattispecie, poiché nel procedimento di
applicazione della pena su richiesta delle parti (artt. 444 e seg. c.p.p.), (queste)
non possono prospettare con il ricorso per cassazione questioni incompatibili con la
richiesta di patteggiamento formulata per il fatto contestato e per la relativa
qualificazione giuridica risultante dalla contestazione, in quanto l’accusa, come
giuridicamente qualificata, non può essere rimessa in discussione. L’applicazione
concordata della pena, infatti, presuppone la rinuncia a far valere qualunque
eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di
patteggiamento e al consenso a essa prestato. Cosicché, in questa prospettiva,
2

specifica per entrambi, la pena concordata con la pubblica accusa nella misura di

l’obbligo di motivazione del giudice è assolto con la semplice affermazione
dell’effettuata verifica e positiva valutazione dei termini dell’accordo intervenuto tra
le parti e dell’effettuato controllo degli elementi di cui all’art. 129 c.p.p.
conformemente ai criteri di legge (Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv.
214637; Sez. 5, n. 21287 del 25/03/2010, Legari, Rv. 247539);
– che peraltro deve riconoscersi la correttezza del controllo operato dal giudice del

stato degli atti del procedimento al momento dell’accordo tra le parti come
risultante dalla stessa sentenza impugnata. In sede di legittimità la verifica
dell’osservanza della previsione contenuta nell’art. 444 comma 2 c.p.p. avviene
esclusivamente sulla base dei capi di imputazione, della succinta motivazione della
sentenza e dei motivi dedotti nel ricorso, non potendo certo spingersi la Corte ad
esaminare gli atti del procedimento o i documenti estranei ad esso e le censure
proposte dai ricorrenti, sul punto, non offrono elementi critici, attesa la loro
assoluta genericità;
– che quanto al ricorso proposto nell’interesse di Pantò Roberto Giuseppe non risulta
adeguatamente argomentata, se non con l’asserzione che l’imputato fu sorpreso
“all’interno di un’area recintata”, la tesi secondo cui sarebbe stato da considerare
tentato e non consumato, come invece risultante dal capo d’imputazione, il furto
che aveva avuto ad oggetto materiale edile di natura ferrosa, avvalendosi di un
camion munito di gru;
– che in ordine al ricorso presentato da Consolo Domenico Salvatore, poi, la
dichiarazione di rinuncia comporta la sua inammissibilità, a norma dell’art. 591 cod.
proc. pen., comma 1, lett. d);
– che la ritenuta inammissibilità dei ricorsi comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni
profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui
importo stimasi equo fissare in euro millecinquecento per Pantò Roberto Giuseppe
ed euro mille per Consolo Domenico Salvatore;
P. Q. M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento
delle processuali nonché al versamento della somma di €1.000 per Consolo e
€1.500 per Pantò in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 1 luglio 2013
Il consigliere estensore

patteggiamento, controllo che in questa sede deve essere valutato in rapporto allo

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