Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44156 del 11/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 44156 Anno 2015
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
Giglio Antonino, nato a Palermo il 19/11/1983
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Palermo in data 19/03/2014
all’esito del processo penale celebrato nei confronti di
Lo Iacono Cristoforo, nato a San Vito lo Capo il 12/10/1962
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Aurelio Galasso, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
udito per la parte civile ricorrente l’Avv. Antonella Faietta, la quale ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO
1. Con la pronuncia indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo
riformava la sentenza emessa dal Tribunale di Trapani il 16/11/2012, in forza
i
Ade

Data Udienza: 11/05/2015

della quale Cristoforo Lo Iacono era stato condannato a pena ritenuta di giustizia
per il delitto di tentata violenza privata, in ipotesi commesso in danno di
Antonino Giglio; l’imputato, cui si addebitava di avere rivolto al Giglio frasi
minacciose, al fine di costringerlo a non proseguire i lavori di riapertura di un bar
per la stagione estiva, aveva impugnato la sentenza di primo grado sostenendo
la non attendibilità della controparte, costituitasi parte civile, e veniva assolto
dalla Corte territoriale per insussistenza del fatto.
I giudici di appello ponevano l’accento su alcuni aspetti emersi nel corso

Giglio nei confronti del Lo Iacono: in particolare, era risultato che due giorni
prima rispetto alla presentazione della querela la società esercente l’attività
commerciale (facente capo al padre del querelante, e di cui egli stesso era socio)
aveva ricevuto un’intimazione di sfratto dai proprietari dell’immobile (parenti
dell’imputato), e quegli stessi congiunti del Lo Iacono avevano sia notificato alla
suddetta società un decreto ingiuntivo per il pagamento di canoni non versati,
sia avanzato istanza di fallimento. Ne derivava che, in assenza di elementi di
riscontro al narrato del Giglio, ed avendo il Lo Iacono smentito di essere entrato
all’interno del bar nel giorno delle presunte minacce, risultava impossibile
affermare la penale responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole
dubbio.

2. Propone ricorso per cassazione il difensore della parte civile Antonino
Giglio, che deduce tre motivi.
2.1 Con il primo, si lamenta violazione di legge processuale, e si fa presente
che la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile, per tardività, il
gravame proposto dall’imputato avverso la sentenza di primo grado. Il Lo
Iacono, inizialmente contumace, si era infatti presentato dinanzi al Tribunale nel
prosieguo del giudizio, rendendo financo esame (espressamente menzionato dai
giudici di merito in entrambe le decisioni), perciò non avrebbe dovuto spettargli
la notificazione per estratto dell’avviso di deposito della pronuncia: tale
adempimento era stato poi concretamente curato, ma senza che ve ne fossero
gli estremi, perché la dichiarazione di contumacia del Lo Iacono era stata
espressamente revocata, con la conseguenza che sarebbe stato necessario
avanzare l’atto di appello entro la scadenza del termine fissato ex art. 544,
comma 3, del codice di rito.
2.2 Con il secondo motivo di doglianza, il difensore della parte civile censura
la sentenza impugnata per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 56 e
610 cod. pen.

2

dell’istruttoria, che deponevano per l’esistenza di ragioni di astio da parte del

Ad avviso del ricorrente, l’istruttoria dibattimentale aveva chiarito come tra i
due protagonisti della vicenda non fossero mai intercorsi rapporti, né personali
né commerciali, perciò la documentazione prodotta dalla controparte risultava
non conferente: Antonino Giglio era socio, e non legale rappresentante, della
società conduttrice, rimanendo pertanto estraneo alle questioni intervenute tra
suo padre e parenti od affini dell’imputato. Nel contempo, era chiaro l’intento
perseguito dal Lo Iacono, vale a dire il proposito di «reimpadronirsi del locale,
senza dovere attendere i tempi lunghi di scadenza naturale, previsti dalla legge,
del contratto di locazione di immobili adibiti ad uso commerciale».

contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, non risultando
elementi di sorta dai quali inferire che il Giglio avesse astio o rancore verso
l’imputato. Come già rilevato, i rapporti sottesi alla locazione dell’immobile
erano intercorsi solo tra il padre del ricorrente ed i proprietari del bene (tra i
quali non vi era il Lo Iacono), perciò l’iniziativa dell’imputato si era risolta in un
ingiustificato esercizio arbitrario di ragioni altrui: semmai, era il Lo Iacono a
nutrire risentimento verso i soggetti coinvolti nella società locataria, viste le
iniziative assunte dai suoi parenti ed affini per tornare in possesso del bene,
mentre non era stato in alcun modo dimostrato che Antonino Giglio fosse stato
informato dal padre in ordine a quelle controversie. Inoltre, le azioni civilistiche
delle controparti erano state successive, e non anteriori, rispetto al fatto
contestato in rubrica (risalente al 26/07/2008); quanto all’intimazione di sfratto,
era stato altresì documentato come il padre del Giglio avesse provveduto già ad
aprile a saldare i canoni di affitto maturati, mentre un diverso assegno
menzionato dalla Corte territoriale si riferiva invece al pagamento del dovuto per
l’anno precedente. In ogni caso, l’eventuale inadempimento del conduttore non
avrebbe potuto comunque giustificare la condotta intimidatoria posta in essere
dall’imputato, il quale era stato correttamente considerato non credibile dal
giudice di primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, con riguardo alla assorbente questione processuale di
cui al primo motivo.
1.1 Dall’esame degli atti emerge che la sentenza di primo grado venne
emessa il 16/11/2012, ed il Tribunale si assegnò termine di 90 giorni per il
deposito della relativa motivazione (termine rispettato, atteso che il deposito
avvenne in data 09/02/2013); considerando come dies a quo per l’impugnazione
la scadenza del suddetto termine, l’appello avrebbe dovuto essere presentato

2.3 Il terzo motivo di ricorso si riferisce a profili di manifesta illogicità e

entro i successivi 45 giorni, vale a dire non oltre il 31/03/2013.

L’imputato,

tuttavia, risulta indicato nell’epigrafe di quella pronuncia come “libero
contumace”, e gli venne effettivamente notificato per estratto l’avviso di deposito
– ex art. 548, comma 3, del codice di rito – in data 16/04/2013, presso il
domicilio eletto; l’impugnazione fu poi presentata il 15 maggio.
Occorre dunque valutare se al Lo Iacono spettasse la ricordata notifica
dell’estratto contumaciale (e non fosse invece semplicemente assente), giacché
solo in tal caso il gravame avrebbe potuto intendersi tempestivo: la

non spetta alcuna notifica della sentenza ed essa, laddove venga effettuata, non
produce alcun effetto sulla decorrenza del termine per impugnare» (Cass., Sez.
III, n. 4855 del 29/11/2012, Rhazouani, Rv 254427).
1.2 In vero, come sostenuto dalla parte civile (e come rappresentato dal
difensore del Giglio già in sede di giudizio di appello, quando venne depositata
una memoria per l’udienza del 19/03/2014, senza che poi la Corte territoriale
abbia inteso affrontare la questione sollevata), il Lo Iacono non avrebbe potuto
intendersi contumace: egli – dichiarato inizialmente tale – fu presente
all’udienza del 09/12/2011, rendendo financo esame. In quella occasione,
l’ordinanza dichiarativa della sua contumacia venne formalmente ed
espressamente revocata, e solo per errore i verbali successivi non recarono
l’indicazione che l’imputato, non comparso, risultava assente, piuttosto che “già
contumace”. All’imputato, pertanto, non poteva spettare alcuna notifica ai sensi
del ricordato art. 548, comma 3, cod. proc. pen., analogamente a quanto si è
ritenuto nei riguardi di un detenuto rinunciante a comparire (Cass., Sez. VI, n.
4318 del 13/05/2014, Laricchio), e come già più volte affermato anche nella
vigenza dell’abrogato codice di rito (v. Cass., Sez. I, n. 392 dell’08/03/1968,
Pau, Rv 107914, secondo cui «per l’imputato assente, che a tutti gli effetti è
rappresentato dal difensore, il termine per impugnare decorre dalla pronuncia
della sentenza onde, decorso il relativo termine, ne decade; conseguentemente,
non gli può giovare la successiva notificazione dell’estratto della sentenza
contumaciale, dovuta all’errata ma irrilevante declaratoria della sua contumacia,
giacché tale notificazione, non essendogli dovuta, é improduttiva di effetti
giuridici»).
Anche la risalente giurisprudenza di questa Corte, in definitiva, impone di
considerare prevalente la sostanza sulla forma, così come – per converso – deve
ritenersi non necessaria una formale dichiarazione di contumacia per rendere
obbligatoria la notifica dell’estratto, qualora l’imputato sia comunque da ritenere
contumace. Si è infatti più volte affermato che «la formale omissione della
dichiarazione di contumacia non è causa della nullità della sentenza in quanto si

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giurisprudenza di questa Corte ha infatti già affermato che «all’imputato assente

tratta di situazione che non è prevista come ragione di invalidità
dall’ordinamento processuale, né può essere compresa nell’ambito delle nullità di
ordine generale, non comportando alcun effetto pregiudizievole ai fini
dell’intervento e dell’assistenza dell’imputato, cui competono comunque i diritti
processuali connessi alla situazione di contumacia» (Cass., Sez. I, n. 6114
dell’11/12/2013, Di Pietra, Rv 258741).

2. Si impongono pertanto le determinazioni di cui al dispositivo. L’imputato

spese sostenute sia nel presente grado di legittimità sia in quello di appello, che
il collegio reputa congruo liquidare complessivamente – avuto riguardo
all’impegno professionale richiesto nelle diverse fasi – nella misura appresso
indicata.

P. Q. M.
Rilevata la inammissibilità dell’appello, annulla senza rinvio la sentenza
impugnata; condanna l’imputato al rimborso delle spese sostenute dalla parte
civile nel presente grado ed in quello di appello, che liquida in complessivi euro
4.000,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso l’11/05/2015.

soccombente deve essere condannato a rifondere alla parte civile ricorrente le

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