Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44125 del 01/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 44125 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ANASTASIO DARIO N. IL 03/06/1982
avverso la sentenza n. 9352/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di NAPOLI, del 04/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 01/07/2013

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe il Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Napoli applicava
ad ANASTASIO Dario, a norma degli artt. 444 e 448 C.P.P., la pena concordata con il Pubblico
Ministero in ordine al delitto di minaccia pluriaggravata in concorso, commesso il 10 settembre
2009.
Propone ricorso per cassazione l’imputato che deduce difetto di motivazione per non esser stato
applicato il disposto dell’art. 129 cod. proc. pen. anche con riferimento al ricorrere di un’ipotesi
di precedente giudicato sul medesimo fatto di minacce nei confronti del MOCERINO
Osserva il Collegio che i motivi di ricorso sono destituiti di specificità e comunque manifestamente infondati o per altro verso inammissibili, atteso che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato a quanto contenuto nell’accordo tra le parti, e dall’altro ha escluso che ricorressero i presupposti dell’art. 129 C.P.P., facendo riferimento al contenuto degli
atti delle indagini preliminari ed in particolare al verbale di arresto, a quelli di perquisizione e
sequestro, alla denuncia ed all’identificazione.
E tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione
della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le altre, Sez. un., u.p.
27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. un., u.p. 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un., u.p. 25 novembre 1998, Messina). Né può avere rilievo il precedente giudicato su di un fatto che, seppure
genericamente, lo stesso ricorrente ammette essere intervenuto nei confronti della medesima persona ma in tempi diversi ed anteriori rispetto a quelli dei fatti di causa.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.500,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di €. 1.500,00# in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 1° luglio 2013.

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