Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44016 del 02/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44016 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DOGARIU IONUT GABRIEL N. IL 14/02/1982
avverso la sentenza n. 16128/2012 GIP TRIBUNALE di ROMA, del
08/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
lette/semite le conclusioni del PG Dott. /4 o 1,1),
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“1/1 k C.43,

Uditi dif sor Avv.;

Data Udienza: 02/10/2013

Ritenuto in fatto
1. Dogariu Ionut Gabriel ha proposto ricorso per cassazione avverso la
sentenza del G.i.p. presso il Tribunale di Roma in data 8.01.2013, con la quale, ai
sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti,
in ordine al reato di furto aggravato. Il ricorrente denuncia la violazione di legge in
ordine alla contestata recidiva: al riguardo osserva che, in riferimento alla
condanna relativa al precedente reato, era stata concessa la sospensione

non si debba tenere conto delle condanne per le quali è intervenuta una causa di
estinzione del reato.
2.

Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che la

Suprema Corte rigetti il ricorso, atteso che la giurisprudenza di legittimità ha
chiarito che l’estinzione del reato ex art. 167 cod. pen. non comporta l’estinzione
degli effetti penali diversi da quelli espressamente previsti.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è inammissibile.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio in
base al quale l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere
conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo
sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza
dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti
dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di
una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (Cass. Sez. U, sentenza n. 5777 del
27.03.1992, dep. 15.05.1992, Di Benedetto, Rv. 191135; Cass. Sez. U, sentenza
n. 10372 del 27.09.1995, dep. 18.10.1995, Serafino, Rv. 202270). Tale
orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano
precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la
comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la
costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni
unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura
enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né
l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola
2

condizionale della pena; e ritiene che, conseguentemente, agli effetti della recidiva

come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la
statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice

era stata legittimamente calcolata, in riferimento ai termini della contestazione, ha
effettuato considerazioni che si collocano nell’alveo della consolidata giurisprudenza
di legittimità. La Corte regolatrice, invero, ha da tempo chiarito che l’estinzione del
reato a norma dell’art. 167 cod. pen. non comporta anche l’estinzione degli effetti
penali diversi da quelli espressamente previsti, sicché del reato deve tenersi conto
ai fini della recidiva (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 5855 del 29/11/2011,
dep. 14/02/2012, Rv. 252068). Occorre poi considerare che l’esame degli atti, al
quale questa Corte procede a fronte della natura dell’eccezione di cui si tratta,
evidenzia che nei confronti dell’imputato era stata emessa sentenza ex art. 444
cod. proc. pen. dal Tribunale di Brescia in data 13.02.2012 (fatto commesso in
data 17.01.2012) divenuta irrevocabile il 26.02.2012, di applicazione della pena,
condizionalmente sospesa, di mesi quattro di reclusione ed € 200,00 di multa.
Pertanto, neppure risulta essersi verificato l’effetto estintivo del reato, invocato
dall’esponente, non essendo decorso il relativo termine ex art. 163 cod. pen. Deve
quindi osservarsi che del tutto legittimamente al prevenuto è stata contestata la
recidiva specifica ed infraquinquennale.
4. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro
1.500,00 a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 2 ottobre 2013.

nel rilevare che la qualificazione giuridica dei fatti risultava corretta e che la pena

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