Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 44013 del 24/09/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 44013 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FREZZA MAURIZIO N. IL 16/11/1950
avverso la sentenza n. 237/2013 CORTE APPELLO di ANCONA, del
26/04/2013
se ta la relazione fatta dal Consigliere D tt. PATRIZIA P CC1c112
tte/sentite le conclusioni del PG Dott.
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upg.

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A A: -1400-0″

Data Udienza: 24/09/2013

Udit i difensor Avv.

4.

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Ancona, a seguito della
sentenza di annullamento di questa Corte, rigettava la dichiarazione di ricusazione
nei confronti dei giudici Falco ed Ausili del Tribunale della stessa città, proposta da
FREZZA Maurizio, imputato nel procedimento n. 399/09 per i reati p.e p. dagli
articoli 416 c.p., 216 e 223, in relazione al 219 L.F., commessi dal 1995 al 2005.

circostanza che i predetti giudici, quali componenti del Collegio giudicante, avevano
concorso a pronunciare in data 2 marzo 2011 la sentenza n. 217/11, riguardante un
delitto associativo finalizzato alla violazione del d.Lgs. n. 74 del 2000, nel quale era
pure coinvolto il Frezza.
La Corte territoriale rilevava che, pur essendo la figura astratta di reato la stessa
(associazione a delinquere finalizzata alla emissione di fatture per operazioni
inesistenti), i fatti materiali erano diversi: nel processo già definito le fatture erano
state emesse da tale Tirini, nella qualità di titolare della ditta TRS Import- Export,
nei confronti della AUTODELTA di Hebracker Birgit Maria ( di cui il Frezza è stato
ritenuto l’amministratore di fatto), mentre, nel nuovo giudizio, destinataria delle
fatture era la società ALCOT di Hudelka Maria (amministrata di fatto sempre dal
Frezza) e che, pertanto, la dichiarazione di colpevolezza era tutta da verificare
dovendo accertarsi l’inesistenza delle operazioni indicate nelle diverse fatture. In
conclusione, non poteva essere dedotta quale causa di ricusazione dei giudici Falco
ed Ausili, sotto il profilo del difetto di imparzialità, la già intervenuta valutazione da
parte di detti magistrati, non avendo, i giudici ricusati espresso il proprio giudizio di
merito in una precedente decisione sullo stesso fatto reato, relativamente al
medesimo imputato, essendosi limitati a valutare, in altro e diverso procedimento
penale, sia pure a carico dello stesso imputato, le stesse fonti di prova, in relazione
ad un diverso reato seppure previsto dalle stesse disposizioni di legge.

Avverso l’anzidetta ordinanza hanno proposto due distinti ricorsi per cassazione i
difensori dell’imputato, chiedendone l’annullamento.
Entrambi i ricorsi deducono la violazione degli articoli 36 e 37 c.p.p., sul rilievo che
i giudici Falco ed Ausili per l’accertamento della sussistenza del delitto associativo a
carico del Frezza, oggetto del presente procedimento, hanno valutato, quali fonti di
prova, le fatture emesse da quest’ultimo dall’anno 2003 al 2004, periodo comune
anche all’altro processo, già definito, in cui l’arco temporale di riferimento va dal
1998 al 2006. Si sostiene, in particolare, che nei capi d’imputazione 35, 37, 38 e 41,
che descrivono le operazioni effettuate, coinvolgenti anche le società Autodelta e la
Tirini s.r.I.,si richiamano le medesime fattispecie di reato, sulle quali era già
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Il proponente aveva indicato, a motivo .della dichiarazione di ricusazione,la

intervenuta la sentenza 271/11, costituenti i singoli delitti fine, la cui valutazione è
premessa indispensabile per l’accertamento del reato associativo a carico del Frezza.
Si rileva, inoltre, l’esistenza di “altre gravi ragioni di convenienza”, che avrebbero
imposto ai giudici, ai sensi dell’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. h), di astenersi, nelle
quali, secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte Costituzionale con la sentenza
113 del 2000, rientrerebbe l’ipotesi ricorrente nel caso in esame, in cui i predetti
magistrati, avendo già pronunciato sentenza di merito in ordine alla responsabilità

ritenuti imparziali e terzi rispetto al procedimento de quo.

Sono state depositate memorie difensive a sostegno di quanto già illustrato nel
ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è manifestamente infondato.

Come evidenziato dal ricorrente, la Corte Costituzionale, con sentenza 14.7.2000 n.
283, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 37, comma 1,c.p.p., dettato in
tema di ricusazione, nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle
parti il giudice che, chiamato a decidere in ordine alla responsabilità di un imputato,
abbia espresso in un altro procedimento, anche non penale, una valutazione di
merito “sullo stesso fatto” e nei confronti del medesimo soggetto.
Occorre pertanto accertare se le valutazioni compiute nell’altro processo dai
magistrati ricusati riguardino lo stesso fatto e, in caso negativo, se possa farsi luogo
ad una interpretazione analogica delle norme sulla ricusazione
Nel compiere tale valutazione va tenuto conto del carattere di eccezionalità
costantemente riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte alle norme sulla
ricusazione, tale da escludere la possibilità di far luogo ad interpretazioni estensive
od analogiche delle relative norme, atteso che in tal modo verrebbe ad attenuarsi il
principio costituzionale del giudice naturale
Va, pertanto, ribadito il principio (v. da ultimo Sez. III, 19 febbraio 2013, n. 11546,
pronunciata nei confronti del medesimo Frezza) secondo il quale la funzione
pregiudicante può essere ravvisata non già in qualsiasi attività processuale
precedentemente svolta dallo stesso giudice nel medesimo o in altro procedimento
penale, a carico dello stesso imputato bensì soltanto in una valutazione di merito
espressa dal giudice, sia sulla sussistenza del medesimo fatto-reato, sia sulla
colpevolezza dello stesso imputato.

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del Frezza per fatti rientranti nella medesima fattispecie penale, non possono essere

Ora, nel caso in esame non è dato ravvisare una situazione di pregiudizio del tipo di
quella delineata dalla Corte Costituzionale con la sentenza anzidetta.
Invero l’ordinanza impugnata ha correttamente rilevato la sostanziale diversità dei
procedimenti in questione: anche se la figura astratta di reato è la stessa
(associazione a delinquere finalizzata alla emissione di fatture per operazioni
inesistenti) i fatti materiali sono diversi: infatti, nel processo già definito (n.
1015/2009 deciso con sentenza 2.3.2011) le fatture, relative a determinate

Maria (di cui il Frezza era l’amministratore di fatto) dal Tirini nella qualità di titolare
della ditta TRS Import Export; nel caso in esame, invece, è quest’ultima ditta la
destinataria delle fatture (diverse per importo e per operazione) emesse da una
diversa società, la Alcot di Hudelka Maria e C sas (rappresentata di fatto sempre di
Frezza) e quindi la dichiarazione di colpevolezza è tutta da verificare dovendo
accertarsi appunto l’inesistenza delle operazioni indicate nelle diverse fatture.
Alla luce dei principi sopra indicati, non può, pertanto, essere dedotta quale causa di
ricusazione dei giudice Falco ed Ausilio, sotto il profilo del difetto di imparzialità, la
già intervenuta valutazione da parte di detti magistrati, non avendo il giudice
ricusato espresso il proprio giudizio contenutistico di merito in una precedente
decisione sullo stesso fatto-reato, relativamente al medesimo imputato, essendosi
limitati a valutare, in altro e diverso procedimento penale, sia pure a carico dello
stesso imputato, le stesse fonti di prova, ma in relazione ad un diverso reato
seppure previsto dalle stesse disposizioni di legge.
Quanto al problema della ritenuta identità delle fonti di prova esaminate, e alla
sussistenza, in tal caso, di una ipotesi di ricusazione, va rilevato che alla stregua
della giurisprudenza di legittimità, neppure costituisce valido motivo di ricusazione la
pretesa identità delle fonti probatorie valutate nel precedente procedimento e da
valutare nell’ambito di quello, per il quale è stata proposta istanza di ricusazione,
atteso che una medesima fonte probatoria, considerata importante ed attendibile in
un processo, ben potrebbe non esserlo altrettanto in un diverso procedimento.

Quanto alle “altre gravi ragioni di convenienza” per le quali l’art. 36, comma 1, lett.
h), c.p.p. imporrebbero al giudice il dovere di astenersi, è sufficiente richiamare la
conforme giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale è inammissibile la
ricusazione del giudice fondata sulla norma sopra indicata in quanto tale
disposizione non è richiamata nel successivo art. 37, che detta la disciplina dei casi
di ricusazione, né può essere ad essa estesa, data la natura di norme eccezionali che
la regolano ( v. da ultimo, Sez. I, 11 marzo 2009, n. 12467, Cariolo, rv. 243562).

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operazioni, erano state emesse nei confronti della Autodelta di Hebracker Birgit

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent.
7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al
pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina
in mille euro, in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso nella camera di consiglio del 24 settembre 2013

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