Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4398 del 13/01/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4398 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso il Tribunale di Reggio
Calabria avverso l’ordinanza del 24/07/2014 pronunciata dal Tribunale
del Riesame di Reggio Calabria nei confronti di VARDE’ CARMELO nato il
17/04/1986;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Mario Fraticelli che ha
concluso per l’annullamento con rinvio;
FATTO e DIRITTO
1. Con ordinanza del 24/07/2014, il Tribunale del Riesame di
Reggio Calabria annullava l’ordinanza con la quale, in data 28/05/2014,
il giudice per le indagini preliminari del medesimo tribunale aveva
applicato la custodia cautelare in carcere nei confronti di VARDE’
Carmelo perché indagato del delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen.
Il Tribunale adduceva la seguente testuale motivazione (pag. 17
ss): «[…] la condotta del Varde’ si è estrinsecata nel ritrovamento e

Data Udienza: 13/01/2015

nella distruzione della microspia sulla vettura Ford a lui data in uso dal
Favara e rientrante tra le vetture di proprietà della Makeall s.p.a. Tale
gesto provoca il forte disappunto del Favara che, venutone a
conoscenza, esorta il cugino a ritrovarla e farla rimontare
sull’autovettura, spiegandogli che sarebbe invece opportuno lasciarla in

r

Tegano. Orbene, appare evidente che tale condotta di per sé non possa
fondare da sola la dimostrazione della partecipazione del Varde’ alla
associazione in contestazione [.,.] la condotta in esame posta in essere
dal Varde’ (ritrovamento e distruzione della microspia, unica condotta
rilevante ai fini della partecipazione all’associazione, stante quanto già
detto in ordine al reato contestato al capo c) n. 1) non dimostra un
contributo, apprezzabile e concreto, all’esistenza o al rafforzamento
dell’associazione, ovvero una disponibilità in favore del sodalizio
dell’indagato. Non può, quindi, ritenersi che quest’ultimo si sia
stabilmente messo a disposizione dell’associazione per ogni esigenza
diretta alla realizzazione del programma criminoso. Peraltro, occorre
evidenziare sul punto che il Favara — che avrebbe dovuto essere la
persona bene fidata dalla condotta in esame — dimostra di essere in
disaccordo con il Vardé, tanto da raccontare al Tegano di averlo
rimproverato esortandolo a ritrovare l’apparecchiatura per rimontarla
sull’autovettura».

2. Avverso la suddetta ordinanza, il Pubblico Ministero ha proposto
ricorso per cassazione deducendo la VIOLAZIONE DELL’ART. 273 COD. PROC.
PEN. e, in particolare, per non avere il tribunale correttamente valutato il

compendio indiziario a carico dell’indagato alla stregua dei principi
enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
Il ricorrente, infatti, dopo avere illustrato i requisiti del reato di
partecipazione all’associazione di tipo mafioso (pag. 7-11 del ricorso), e
dopo avere precisato che il contributo rilevante ed effettivo del
partecipe

«può essere costituito anche dalla dichiarata adesione

all’associazione e dalla disponibilità ad agire come «uomo d’onore», ai
fini anzidetti (v. Cass., sez. 21 dicembre 2004, imp. Papalia),

funzione e limitarsi a non conversare. Della vicenda il Favara parla con il

disponibilità che deve essere accertata in concreto alla stregua di quegli
indicatori fattuali che, in via alternativa, connotano dal punto di vista
probatorio il contenuto del “far parte” (v. Cass. 11 dicembre 2007 Cass.
2007, Addante)», rileva che «in relazione alla posizione del Varde’, la
partecipazione del medesimo all’associazione mafiosa, «deriva dalla

intercettazione (si veda quanto raccontato da Favara Gianluca a Tegano
Bruno nel corso del colloquio intercettato in data 29 ottobre 2009,
quale straordinario elemento di riscontro al dichiarato del collaboratore
di giustizia Augusto Agostino: si noti che i riferimenti al Vardè non sono
semplicemente legati al rinvenimento di una microspia all’interno di
un’autovettura in uso agli appartenenti al sodalizio criminale, ma
denotano la piena adesione, materiale e psicologica, del Varde’ nel
momento in cui ci si riferisce allo stesso quale soggetto a cui ordinare
di riprendere la microspia, rimontarla in auto ed utilizzarla al fine di
depistare le indagini tecniche in corso»

3. Il ricorso è infondato.
Come risulta dall’ordinanza impugnata e, come confermato dallo
stesso ricorso del Pubblico Ministero, l’unico elemento emerso a carico
del Vardè è costituito dalla distruzione di una microspia che costui
aveva rinvenuto sull’auto che aveva in uso.
Tutta la doglianza del ricorrente è racchiusa nel brano testualmente
succitato.
Il ricorrente, infatti, sostiene che il comportamento tenuto dal
Vardè sarebbe un grave indizio di appartenenza all’associazione
criminosa: il che è come dire che costituisce grave indizio di
colpevolezza la semplice circostanza che l’indagato eluda o tenti di
eludere i mezzi posti in essere dagli organi inquirenti finalizzati alla
ricerca della prova a carico dell’indagato.
In altri termini, ove si accogliesse la tesi del ricorrente, la prova
sarebbe costituita proprio, paradossalmente, dalla mancanza di prova
non raggiunta a causa del comportamento dell’indagato che, resosi

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corretta intesa dei contenuti eteroaccusa tori provenienti dalla attività di

conto di essere sottoposto ad intercettazione, eluda il suddetto mezzo
di prova.
Peraltro, come bene ha rilevato il tribunale e come si desume dallo
stesso tenore del colloquio intercettato, le modalità adoperate dal
Vardè furono così grossolane che permisero agli inquirenti di rendersi
subito conto che la microspia era stata scoperta: il che contrariò il più

dicendogli «la lasciavi là dentro e non parlavi! Che volevi fare! [..] le

persone ce l’hanno nella stanza da letto! Le persone ne hanno
cinquanta davanti alla porta di casa; e più intelligente tu sei, che la
prendi, la togli e la butti? Gli altri non potevano fare lo stesso, le
persone sanno che ce l’hanno!».
Orbene, se il Vardè si fosse comportato come aveva suggerito il
Favara – e cioè non avesse rimosso la microspia, limitandosi a tacere o
parlare solo di argomenti irrilevanti – di certo non sarebbe stato
imputabile di alcunché proprio perché il comportamento dell’indagato
che tenta di eludere le indagini, non è sanzionato in alcun modo dal
nostro ordinamento.
Di conseguenza, essendo indifferente la modalità con la quale un
indagato elude le indagini (nella specie, distruggendo la microspia,
invece che rimanere silenzioso e non parlare di argomenti
compromettenti), quel comportamento, di per sé solo, non può essere
ritenuto indizio di partecipazione all’associazione mafiosa.
P.Q.M.
RIGETTA
il ricorso.
Roma 13/01/2015

IL CONSIGLIER EST.
(Dott. G. Rago

furbo ed esperto Favara che ingiunse al Vardè di ricollocare la microspia

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