Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43963 del 30/09/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 43963 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: CITTERIO CARLO

Data Udienza: 30/09/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ELIA SALVATORE N. IL 04/10/1946
nei confronti di:
BONAVENTURA SALVATORE N. IL 02/01/1948
inoltre:
BASILE ANTONIO N. IL 11/04/1972
BASTA NICOLA N. IL 29/01/1977
BONAVENTURA SALVATORE N. IL 02/01/1948
CAVALLO FABIO N. IL 21/11/1981
CAZZATO EGIDIO N. IL 27/07/1945
CORIGLIANO TIZIANA N. IL 26/05/1979
FRISENDA GIUSEPPE N. IL 21/12/1954
MACRI’ ANTONIO N. IL 20/02/1969
MACRI’ SALVATORE N. IL 24/07/1972
MELLINO FRANCESCO N. IL 28/12/1959
MELLINO GIOVANNI ALDO N. IL 08/11/1950
MERCURIO GIUSEPPE N. IL 19/06/1969
MONTI FRANCESCO N. IL 05/10/1985
MURGERI FRANCESCO N. IL 09/04/1971
PAGLIA MICHELE N. IL 26/04/1961
PENNISI GIANLUCA N. IL 12/06/1975
VALLONE FRANCESCO N. IL 22/02/1967
VRENNA GIUSEPPE N. IL 10/04/1951
ELIA ANTONIO N. IL 08/02/1954
avverso la sentenza n. 1783/2011 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 03/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/09/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLO CITTERIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. t” Aa-ro 7111
che ha concluso per A- c ,e, ut,’ h_ 1,2 u,d222,4 tik v a4uI–Q_
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Udito, per la parte civile, l’Avv

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1

1. Con sentenza 3.4-28.6.12 la Corte distrettuale di Catanzaro ha definito
processo di secondo grado nei confronti di 29 imputati (tra i quali gli odierni 19
imputati ricorrenti), che avevano appellato la deliberazione 7.6.2011 del Tribunale
di Crotone. La Corte d’appello ha confermato tutte le affermazioni di responsabilità
e per alcuni ha rideterminato il trattamento sanzionatorio; per il solo imputato
PAGLIA vi è stata riqualificazione della condotta originariamente ascrittagli al capo 1
(partecipazione a reato associativo) ai sensi dell’art. 378 c.p., con conseguente
dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione.
Le imputazioni (estese anche ad altri soggetti nei cui confronti si è proceduto
separatamente) afferivano a reati associativi di tipo mafioso (la cd cosca crotonese,
capo 1, dagli anni ’90 “ad oggi”; la cd cosca Megna, capo 1.A, dal 2004 ad oggi) e
relativi il traffico di sostanze stupefacenti (capo associativo 79, con sottocapi di
imputazione afferenti i ruoli dei diversi imputati); reati in materia di stupefacenti;
reati di estorsione, tentata rapina e danneggiamento aggravato, lesioni personali
aggravate; reati in materia di armi; reato in materia elettorale.
1.2 Avverso tale sentenza hanno proposto ricorsi la parte civile ELIA
SALVATORE, in relazione all’assoluzione di BONAVENTURA SALVATORE quanto al
capo F del procedimento originariamente numerato 2960/07 RGNR, nonché gli
imputati BASILE ANTONIO, BASTA NICOLA, BONAVENTURA SALVATORE, CAVALLO
FABIO, CAZZATO EGIDIO, CORIGLIANO TIZIANA, ELIA ANTONIO, FRISENDA
GIUSEPPE, MACRI’ ANTONIO, MACRI’ SALVATORE, MELLINO FRANCESCO, MELLINO
GIOVANNI ALDO, MERCURIO GIUSEPPE, MONTI FRANCESCO, MURGERI
FRANCESCO, PAGLIA MICHELE, PENNISI GIANLUCA, VALLONE FRANCESCO,
VRENNA GIUSEPPE.

2. Le singole posizioni, con i rispettivi motivi di ricorso e le relative
deliberazioni di questa Corte.

2.1 BASILE ANTONIO (avv. Carnuccio)
1.- Violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento del legittimo
impedimento per le condizioni di salute che avrebbero impedito la traduzione del
ricorrente per l’udienza del 14.7.2010 (nella quale era stato esaminato il
collaboratore BONAVENTURA LUIGI, indicato come fondamentale dalla difesa). Il
Tribunale avrebbe giudicato presente un’inesistente rinuncia a comparire, mai
formalizzata da BASILE, sulla base di un nulla osta sanitario che contrastava con la
indicazione di traduzione con ambulanza, risultata prescritta sul diario clinico nel
giorno precedente, copia del quale era stato prodotto dalla difesa ai giudici
d’appello. Dalle indagini difensive espletate e offerte alla Corte distrettuale sarebbe
risultato, in sintesi, che l’attestazione del sanitario circa l’assenza di impedimenti
alla traduzione ordinaria di BASILE per quell’udienza (mero nulla osta e non
autonoma certificazione, secondo la difesa) sarebbe stata esito di un equivoco sulle
sue condizioni e comunque di una mancata visita, nella non conoscenza da parte di
quel sanitario dell’annotazione sulla necessità di un trasporto con ambulanza,
indicata il giorno prima da altro sanitario nel diario clinico (ma non pure sul
‘movimento di traduzione dei detenuti’ predisposto la sera prima). Secondo il
ricorrente il Tribunale avrebbe dovuto d’ufficio approfondire il contesto, avendo

RAGIONI DELLA DECISIONE

)1

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2

2.- vizi della motivazione per l’inosservanza dei criteri legali di valutazione
della prova ex art. 192.3 c.p.p.. Dopo aver dato atto delle dichiarazioni dei
collaboratori BONAVENTURA, MARINO, BUMBACA, ELIA e VRENNA su BASILE, il
ricorrente enuncia doglianze di mancata convergenza ed assenza di riscontri, con
censure della loro genericità, del carattere indiretto di talune delle stesse, ovvero di
mancanza di significatività (come sarebbe per il ‘battesimo’ di BASILE o per la
gestione dello stupefacente, rispetto ai due reati associativi) e, comunque, di
“insufficienza” del ragionamento, anche in relazione all’assoluzione del ricorrente in
altro processo da accusa di omicidio proveniente da MARINO ed alla doglianza
d’appello sull’accordo preventivo che sarebbe intervenuto tra MARINO E LUIGI
BONAVENTURA. Le deduzioni del motivo proseguono quindi con riferimento a singoli
reati per i quali è intervenuta condanna (capo 79, 79S, delitto associativo in
materia di stupefacenti aggravato ex art. 7 legge 203/91, dove non sarebbero state
argomentate le numerose contraddizioni tra i collaboratori sulle condotte di BASILE
valorizzando convergenze su aspetti generali per ritenere provati i singoli fatti; capo
30, estorsione aggravata Ceraso, per la mancanza di convergenza e il travisamento
del senso probatorio del diniego della persona offesa di aver subito estorsione
alcuna, nonché per la ‘non sufficiente’ argomentazione dell’aggravante ex art. 7
legge 203/91);
3-. ‘carenza della motivazione’ sul diniego delle attenuanti generiche.
2.2
Il ricorso deve essere rigettato.
2.2.1
Il primo motivo è infondato.
La dettagliata risposta della Corte distrettuale all’eccezione difensiva (p. 29 e
30 della sentenza d’appello) risulta immune da censure.
Non è in discussione che il Tribunale all’udienza del 14 luglio 2010 abbia
deliberato in ordine all’assenza di BASILE alla stregua dell’obiettivo contenuto della
documentazione proveniente dal carcere. Lo stesso ricorso allega, correttamente,
tale documentazione, dalla quale risulta che il sanitario certifica che BASILE
ANTONIO è in buono stato di salute e che nulla osta alla di lui traduzione. Il
documento è sottoscritto dal medico e da un sottufficiale della polizia penitenziaria.
Il Tribunale, decidendo sul punto, prende atto del contenuto inequivoco del
documento ed argomenta che pertanto l’assenza dell’imputato deve giudicarsi
conseguente a rinuncia alla partecipazione.
Neppure è in discussione, alla luce dei verbali delle udienze successive cui
BASILE ha partecipato, che nessuna deduzione sul punto è stata più svolta
dall’imputato e dai suoi difensori sull’assenza all’udienza del 14 luglio (né alcun
documento è stato prodotto), né alcuna richiesta di riesaminare il collaboratore
LUIGI BONAVENTURA – anche solo per domande integrative o a chiarimento delle
dichiarazioni rese dal medesimo il 14 luglio 2010 alla presenza dei difensori del

separato la posizione di BASILE all’udienza della settimana precedente (giorno 8
luglio), in ragione dell’intervento chirurgico di laparoplastica (ernia epigastrica) del
6 luglio (con dimissione e ritorno al carcere dopo tre giorni). In definitiva: il
Tribunale avrebbe deliberato sulla base di contesto documentale non
corrispondente alla realtà ed avrebbe omesso di espletare anche d’ufficio i possibili
accertamenti; l’assenza sarebbe stata determinante essendo stato esaminato in tale
udienza il collaboratore LUIGI BONAVENTURA; tutti gli atti successivi, compresa la
sentenza, sarebbero nulli e, da ciò, dovrebbe conseguire anche la scarcerazione
dell’imputato.

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3

Da ultimo, dalla documentazione integrativa prodotta dalla difesa con l’atto di
appello, se risulta l’annotazione nel diario clinico, prima dell’udienza del 14 luglio,
della locuzione “presenta difficoltà a mantenere la posizione eretta per lungo
tempo. In caso di traduzione necessita di ambulanza con barelliere”, tuttavia
emerge altresì anche il dubbio espresso dal dott. Gullà (il sanitario che non
conoscendo il contenuto del diario clinico sottoscrisse il documento poi in effetti
prodotto dal personale della scorta in udienza) sull’effettiva necessità
dell’ambulanza, in relazione a tempo di durata e distanza da percorrere per quella
effettiva e specifica traduzione (Casa circondariale e Tribunale essendo nella
medesima sede). Il che, per sé, inficia la univocità della deduzione difensiva
complessiva.
La considerazione integrata di questi tre rilievi conduce ad escludere alcuna
violazione del diritto di difesa, in relazione all’assenza di BASILE all’udienza del 14
luglio 2012, rilevante la decisione.
Invero:
– il Tribunale ha deliberato in modo coerente alla documentazione disponibile
(e, sul punto, va anche osservato che le proteste dei difensori, che risultando dal
verbale, si riferirono al fatto in sé della disposta traduzione nonostante la recente
operazione, senza alcun rilievo specifico sulla documentazione proveniente dalla
Casa circondariale e sottoscritta da sanitario e personale della polizia penitenziaria).
Infatti, la decisione del Giudice in ordine alla sussistenza di un legittimo
impedimento non può che essere apprezzata in relazione all’evidenza disponibile nel
momento in cui essa deve intervenire (arg. dalla giurisprudenza che argomenta sia
l’obbligo di valutare le istanze tempestivamente pervenute, a pena di nullità
assoluta della sentenza: per tutte Sez.3, sent. 10637/2010; sia la legittimità della
reiezione della richiesta di rinvio quando le informazioni concretamente fornite non
consentano l’espletamento della visita medica per il controllo d’ufficio: Sez.6, sent.
39284/11);
– la documentazione allegata al ricorso attesta comunque la non univocità
della situazione di effettiva impossibilità di traduzione ordinaria del BASILE dedotta
in ricorso;
– la deduzione difensiva del grave pregiudizio per la decisione, che l’assenza in
quell’udienza avrebbe determinato per la posizione di BASILE, è, allo stato, solo
assertiva: come rilevato, nonostante plurime presenze successive nella trattazione
del dibattimento di primo grado, dopo l’udienza del 14 luglio e prima della sentenza
di primo grado (intervenuta quasi un anno dopo), nessuna richiesta in proposito è
stata prospettata pur essendo disponibili i verbali anche stenotipici di quell’udienza,
né gli atti di impugnazione deducono specificamente – tenuto conto del contenuto
concreto delle dichiarazioni del collaboratore LUIGI BONAVENTURA relative a
BASILE – i punti determinanti che avrebbero potuto essere oggetto di contestazioni
specifiche da parte dell’imputato personalmente. La stessa deduzione di decisività
di quelle dichiarazioni è, allo stato, sostanzialmente generica, laddove sia le
sentenze di merito che gli stessi atti di impugnazione (ricorso, p. 13 e 14)
argomentano anche di una pluralità di altre prove.

BASILE – è stata prospettata. Né, sul punto, i motivi d’appello (oltre che quelli di
ricorso) lamentano l’impossibilità di interlocuzione con il collaboratore su temi
specifici e determinanti per la decisione, anche a fronte della conoscenza della
trascrizione stenotipica delle sue affermazioni, prima della conclusione del
dibattimento di primo grado (la sentenza è stata deliberata undici mesi dopo, il 7
giugno del 2011) ed in occasione delle successive partecipazioni effettive
dell’imputato.

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2.2.2.1
Con rilievo che ha carattere generale nel processo (riguardando anche altre
posizioni degli odierni ricorrenti ma, in definitiva, la stessa prassi dell’enunciazione
di questo peculiare vizio) deve preliminarmente osservarsi che l’unico vizio in
concreto enunciato è l’erronea applicazione dell’art. 192.3 c.p.p., motivo pertanto di
violazione di legge, che tuttavia viene poi sostenuto da deduzioni che diffusamente
si confrontano con il contenuto ed il valore significante dell’intero materiale
probatorio afferente questo imputato. Confronto argomentativo che, pertanto, ed
ecco il punto, non evidenzia singoli e determinanti vizi logici riconducibili alla lettera
E dell’art. 606.1 c.p.p. (tra i quali non vi è quello della motivazione “insufficiente”,
rilevando solo la motivazione omessa o apparente), ma si risolve inevitabilmente
nella prospettazione di una diversa lettura di tutto il materiale probatorio,
sollecitandone una rivalutazione che non è proponibile in questa sede di legittimità.
Ciò, oltretutto (e come pure spesso accade nell’esperienza quotidiana di
questa Corte suprema), dopo aver svolto su quei punti censure d’appello
sostanzialmente generiche, che vengono integrate, chiarite, approfondite con l’atto
di ricorso: metodo che conduce il motivo all’inammissibilità, rendendolo diverso da
quelli consentiti, perché intrinsecamente, strutturalmente, renderebbe necessario
un preventivo apprezzamento di merito sul significato probatorio (singolo e
complessivo) degli elementi di fatto indicati, da operare oltretutto con attenzione
anche al quadro generale delle risultanze probatorie in atti sul pertinente punto
della decisione.
Così è, nel caso di specie, in particolare nella trattazione del reato associativo
in materia di stupefacenti, ove si leggano le pagine 11-14 dell’originario atto
d’appello e si tenga conto dell’articolata motivazione della sentenza impugnata (p.
68-78).
Anche le censure in ricorso sul reato di estorsione aggravata (capo 30) sono
del tutto generiche ed assertive, a fronte della pertinente e specifica motivazione
della Corte distrettuale (p.78 s.).
2.2.2.2
In definitiva, va affermato il principio di diritto che la censura di erronea
applicazione dell’art. 192.3 c.p.p. è inammissibile quando sia sostenuta da
argomentazione che si pone in confronto diretto con H materiale probatorio e non
dalla denuncia di singoli, specifici e determinanti vizi logici (tra quelli
tassativamente indicati dalla lettera E dell’art. 606.1 c.p.p.) rispetto a ricostruzioni
sorrette da deduzioni in fatto puntualmente ed esaustivamente prospettate al
giudice del merito, unico competente a conoscere ogni aspetto della ricostruzione
del fatto.
2.2.3
Anche il terzo motivo è inammissibile, risolvendosi in censura di merito a
fronte di motivazione specifica sul punto (p. 79 sent.).

3.1 BASTA NICOLA (avv. Mario Nigro).

2.2.2
Il secondo motivo è invece inammissibile, perché al tempo stesso generico e
con doglianze di merito.
La Corte distrettuale ha ampiamente argomentato sulla posizione del BASILE
con riferimento ai singoli reati per i quali, confermando il conforme apprezzamento
probatorio del Tribunale, ha giudicato sussistere prove sufficienti ad imporre
l’affermazione di colpevolezza (pp. 22-79).

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5

1-. Il primo motivo ‘attacca’ lo stile della sentenza d’appello, censurandola di
omessa motivazione sui motivi delle impugnazioni devolute alla Corte distrettuale.
Il ricorrente lamenta in particolare la ripetizione nella sentenza d’appello di brani
dall’identico contenuto, alcuni anche tratti dal testo della prima sentenza di merito,
sicchè, sostiene, la sentenza d’appello sarebbe mera reimpaginazione di quella di
primo grado, perché alla valutazione dei motivi sarebbero state volta per volta
dedicate poche righe inidonee a giustificare autonomamente la necessaria verifica
dei ragionamenti probatori operati dai primi Giudici;
Contraddittorietà
e
‘illogicità’
della
motivazione
sul
punto
2-.
dell’inattendibilità dei collaboratori MARINO e BONAVENTURA, in ragione delle
deduzioni d’appello sulla non convergenza delle loro dichiarazioni, sull’intrinseca
non credibilità, sulla carenza o assenza dei riscontri esterni, in presenza di plurimi
elementi di dubbio; in particolare: per MARINO, lo stato di tossicodipendenza,
l’assenza di legami parentali con CAVALLO, le vicende giudiziarie indicative della
sua non ritenuta credibilità, rispetto ai quali elementi la risposta della Corte
distrettuale sarebbe caratterizzata da ‘estrema superficialità’ e mera ‘apparenza’,
essendosi risolta nel riscontrare i collaboratori tra sé a prescindere dal confronto
con le censure anche in ordine alla preordinazione strumentale della comune
collaborazione; né le dichiarazioni del teste ARCURI avrebbero potuto esser
considerate riscontro di MARINO sul reato associativo in materia di stupefacenti;
3-. Manifesta illogicità della motivazione (p. 16 ric.), perché come indicato
nell’atto di appello (p. 10-13) BONAVENTURA avrebbe escluso qualsiasi attività
criminale di BASTA nell’associazione e ‘fraudolentemente’ i Giudici del merito
avrebbero considerato le ‘inverosimili’ dichiarazioni di BUMBACA e di MARINO (che
sostenevano la vicinanza associativa di BASTA a BONAVENTURA) riscontro del
ruolo associativo di BASTA. Precisa il ricorrente che a suo parere ‘più opportuna e
probatoriamente corretta’ sarebbe stata un’assoluzione ex art. 530.2 c.p.p.’
3.2
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile per la sua insuperabile genericità.
Ancorché talune delle critiche svolte dal ricorrente all’impostazione grafica ed
allo stile della sentenza d’appello possano essere condivise (come la reiterazione, in
occasione della trattazione delle singole posizioni, delle parti che riportano le
dichiarazioni dei vari collaboratori o le risposte alle comuni eccezioni difensive
rivolte alle stesse sul punto dell’attendibilità soggettiva, metodo espositivo che ha
appesantito notevolmente la lettura e l’efficacia dell’argomentare), tuttavia è
preliminarmente assorbente la constatazione che la censura risulta sostanzialmente
solo assertiva laddove, dopo aver criticato impostazione e stile della motivazione
d’appello, non indica specificamente, come avrebbe dovuto in ragione dell’obbligo di
specificità dei motivi di cui comunque il ricorrente è onerato ex art. 581 c.p.p., i
punti determinati e determinanti in cui, a fronte di specifiche deduzioni d’appello, la
risposta della Corte distrettuale sarebbe mancata: specificità tanto più necessaria
laddove lo stesso ricorrente riconosce che comunque risposte ai motivi d’appello vi
sono state, ancorché “di poche righe”, con ciò consegnando al merito l’essenza della
doglianza.

[Va premesso che per l’imputato BASTA è stato proposto sia l’appello che il
ricorso per cassazione con unico atto del medesimo difensore riguardante anche
diversi coimputati: l’atto di appello relativo anche alle posizioni CAVALLO,
CAZZATO, PENNISI e VALLONE; l’atto di ricorso afferente pure le posizioni dei
suddetti coimputati e di MURGERI. Taluni motivi sono trattati solo con
argomentazioni svolte in termini generali per tutte le posizioni].

6

Il secondo motivo è manifestamente infondato e, al tempo stesso, diverso da
quelli consentiti. Sul punto dell’attendibilità dei collaboratori MARINO e LUIGI
BONAVENTURA la Corte d’appello ha motivato in modo articolato, tenendo conto
delle censure contenute negli atti d’appello (e comuni a più atti di impugnazione),
in particolare sugli aspetti afferenti gli stati di tossicodipendenza e di disagio
psichico nonché il presunto accordo strumentale e le vicende giudiziarie, fornendo
risposte specifiche, in sé immuni dai soli residui vizi logici rilevanti nel giudizio di
cassazione (contraddittorietà e manifesta illogicità): p. 90, 95, 96, 106-108. E’ del
resto emblematica della natura sostanzialmente di merito delle doglianze in ricorso
(in concreto volte ad ottenere una diversa valutazione del materiale probatorio più
che a denunciare specifici vizi) la constatazione che proprio al merito attengono le
doglianze di “estrema superficialità” e “mera apparenza” delle risposte (la seconda
da apprezzare nella sua obiettiva inconsistenza tecnica, laddove la Corte
distrettuale ha in realtà, come detto, risposto specificamente esprimendo proprie
valutazioni argomentate e non ricorrendo a mere clausole di stile o locuzioni
paralogiche o assertive).
Anche il terzo motivo è inammissibile perché diverso da quelli consentiti.
Enunciata una ammissibile censura di manifesta illogicità della motivazione (p.
16 ric.), tuttavia le argomentazioni a sostegno del motivo si concludono
significativamente con la deduzione (prima ricordata sub 3.1.3) dell’auspicata
maggior adeguatezza dell’apprezzamento del materiale probatorio nel senso della
sua riconduzione all’ipotesi del capoverso dell’art. 530 capoverso c.p.p.. Ed in effetti
la censura sostanzialmente tocca il tema del ruolo da attribuire a BASTA, se
partecipe dell’associazione (come giudicato in modo conforme tra loro dal Tribunale,
p. 330 sent. con indicazione delle ragioni in diritto che impongono la conclusione, e
dalla Corte d’appello, p. 108) o estraneo (come dedotto dalla difesa nell’interpretare
le parole di LUIGI BONAVENTURA). Ma si tratta proprio di controverso
apprezzamento di merito, a fronte di specifiche conformi e articolate
argomentazioni dei Giudici dei due primi gradi del giudizio sul punto, ed ancora una
volta proprio talune espressioni del motivo di ricorso (il ‘fraudolentemente’
attribuito, con termine oggettivamente quantomeno infelice, ai criteri interpretativi
seguiti dai Giudici del merito; 1″inverosimile’ attribuito alle dichiarazioni di
Bumbaca e Marino, che è termine non afferente un vizio logico bensì proprio di un
apprezzamento della valenza probatoria del contenuto) comprovano l’effettiva
natura delle doglianze, non quindi ammissibili in questa sede di legittimità.

4.1 BONAVENTURA SALVATORE (avv. Truncé)
1.- Erronea applicazione dell’art. 74.1 dPR 309/90 (capo 79) perché le
mansioni di ‘cassiere’ e ‘custode dello stupefacente’, che per il ricorrente sarebbero
state attribuite all’imputato dai Giudici del merito, non sarebbero idonee a
configurare un ruolo propulsivo di tipo organizzativo/direttivo;
2.- medesimo vizio in relazione all’art. 416 bis c.p. (capo 1), in relazione
all’attribuito ruolo di ‘armiere’ inteso quale mero custode delle armi, mancando
indicazioni di condotte di una loro gestione;
3.- motivazione contraddittoria e illogica per tutti gli altri reati, in ragione
della ritenuta credibilità del collaboratore e figlio LUIGI, pieno di risentimento verso
il padre, soggetto eroinomane e cocainomane e con seri problemi psichici in epoca
prossima all’inizio della collaborazione, essendo inesistente il riscontro sul ruolo di
sicario autoassegnatosi da LUIGI e non riscontrato da altri; inoltre, la risposta della
Corte distrettuale alla censura dell’intervenuto preventivo accordo tra

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7

4.2
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
I primi due motivi sono diversi da quelli consentiti, risolvendosi in censure di
merito volte a riproporre già disattese letture alternative dei fatti. Entrambi i Giudici
dei primi due gradi di giudizio, la Corte distrettuale anche con specifica motivazione
di confronto con la doglianza d’appello sul punto (in realtà solo riproposta con il
ricorso), hanno spiegato (in termini immuni dai vizi logici soli rilevanti ex art. 606.1
lett. E c.p.p.) che il ruolo di SALVATORE BONAVENTURA era quello della gestione
del denaro dello stupefacente e delle armi, gestione caratterizzata da aspetti di
autonomia decisionale, quindi non quello del mero supporto per concretizzare
decisioni altrui e della mera custodia (p. 134).
Il terzo motivo è manifestamente infondato. La Corte d’appello ha
specificamente risposto alle censure sull’inattendibilità di LUIGI BONAVENTURA e
MARINO, non solo reiterando gli argomenti svolti sul medesimo tema trattando
altre posizioni (es. Basta, p. 108-109; 128 s.), ma argomentando su quelli ulteriori
proposti nello specifico atto d’appello (sui problemi psichiatrici, p. 117, 119, 130),
confrontandosi anche con la peculiare posizione di questo ricorrente (padre di
LUIGI) e con le deduzioni pertinenti (p. 113, 118).

5.1 CAVALLO FABIO (avv. Nigro)
1- e 2-. I primi due motivi sono comuni a quelli esposti trattando la posizione
BASTA;
3-. Erronea applicazione dell’art. 81 c.p. e motivazione contraddittoria sul
punto.
5.1.1 II 13.6.13 è stata depositata memoria del codifensore avv. Rotundo,
che svolge deduzioni nuove e specifiche a sostegno della richiesta di applicazione
della continuazione tra la condanna per delitto associativo intervenuta in questo
processo e la condanna per estorsione aggravata dal metodo mafioso di cui alla
sentenza della Corte di Catanzaro 198/09, analizzando l’imputazione odierna ed il
suo contesto complessivo (nei suoi aspetti personali, territoriali, contenutistici e
probatori), confrontandola con quelli dell’estorsione aggravata della precedente
condanna ed argomentando che in particolare la ritenuta aggravante del metodo
mafioso e la finalità di agevolazione dell’arricchimento dell’associazione, nel
complessivo contesto di significative coincidenze dei vari aspetti, fonderebbe
l’iniziale medesimo disegno criminoso, come del resto giudicato in altro giudizio
relativamente al MARINO. Viene poi argomentato un peculiare profilo di illogicità
intrinseca alla sentenza qui impugnata, per i diversi apprezzamenti dell’aggravante
ex art.7, contestata e ritenuta nel precedente giudizio, quanto all’affermazione di
responsabilità per il reato associativo ed all’esclusione della continuazione.
5.2
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Per i primi due motivi rilevano le argomentazioni svolte sub 3.2, trattando i
comuni motivi del coimputato BASTA.
Il terzo motivo, relativo al diniego della continuazione, è per autonome
concorrenti ragioni inammissibile.

BONAVENTURA e MARINO (in relazione alla ragione per la quale avevano registrato
alcuni dialoghi intercorsi con più soggetti) sarebbe contraddittoria con le emergenze
processuali e frutto di travisamento della prova.

8

Deve innanzitutto osservarsi – con rilievo già potenzialmente assorbente che la oggi nuovamente richiesta continuazione è stata innanzitutto espressamente
negata dal Tribunale, con articolata e specifica trattazione del tema per la posizione
di FABIO CAVALLO (alle pagine da 358 a 360 della sentenza di primo grado).
Nei confronti di tale specifico ed autonomo punto della prima decisione deve
affermarsi l’insussistenza di alcun ammissibile motivo d’appello, con la conseguente
e appunto assorbente preclusione a trattare ulteriormente il tema nel seguito del
processo.
Infatti, nell’atto cumulativo di appello relativo agli imputati BASTA, CAVALLO,
CAZZATO, PENNISI e VALLONE, il punto della decisione del Tribunale relativo a tale
diniego in relazione alla specifica posizione dell’imputato CAVALLO risulta oggetto di
questo solo passaggio espositivo (p. 2 di quell’atto): “Anzi, nel caso del Cavallo
Fabio (pagg. 356-360 sent.) non concede neppure l’invocato riconoscimento del
vincolo della continuazione tra l’impugnata sentenza e la precedente condanna del
medesimo”. Il punto non è più ripreso nel seguito del testo dei motivi di appello (e,
significativamente ancorché ciò non sia in sé determinante, è del tutto assente
nell’indicazione delle richieste conclusive: p. 34 app.). Tale obiettiva originaria
inammissibilità per evidente genericità va ex lege (art. 591.4 c.p.p.) dichiarata,
nonostante la Corte distrettuale abbia comunque trattato il punto (p. 140, 173 e
174 sent. app., tuttavia riproducendo nell’enunciazione della doglianza il testo
omogeneo a quello degli altri imputati assistiti dal medesimo difensore con l’unico
atto di appello, che invece solo per altri, come il coimputato CAZZATO, conteneva
deduzioni non meramente assertive).
In proposito deve pure evidenziarsi, ed è il secondo profilo autonomo che
conduce all’inammissibilità del motivo di ricorso, un’ulteriore conseguenza
dell’omessa indicazione di alcuna deduzione specifica sul punto della negata
continuazione nell’originario atto d’appello.
Infatti, a fronte della comunque diffusa argomentazione con cui la Corte
distrettuale ha confermato la reiezione della richiesta di continuazione, le doglianze
del ricorso (in sé per il vero nuovamente insuperabilmente generiche e comunque
in fatto, p. 14 e 15 ric.) e quelle della memoria (alfine specifiche, ma inidonee ad
integrare retroattivamente l’originaria inammissibilità per genericità: per tutte,
Sez.6, sent. 47414/2008) si risolvono in censure di merito, perché contrastano la
decisione d’appello con apprezzamenti che richiederebbero una preventiva
valutazione in fatto, come presupposto per l’analisi successiva degli aspetti in diritto
e afferenti la logicità della risposta (nei ristretti limiti dell’art. 606.1 lett.E c.p.p.)
dedotti. Apprezzamenti (sugli aspetti soggettivi, territoriali, di contenuto e
probatorio) che avrebbero dovuto essere tempestivamente proposti al Giudice
d’appello e non possono essere analizzati ed apprezzati per la prima volta in questa
sede di legittimità.

6.1 CAZZATO EGIDIO
(nel suo interesse sono stati presentati due ricorsi)
6.1.1 (avv. Nigro)
1- e 2-. I primi due motivi sono comuni a quelli esposti trattando la posizione
BASTA;
3-. Erronea applicazione dell’art. 81 c.p. e motivazione contraddittoria (vi è
sul punto mero rinvio al ricorso del codifensore)
6.1.2 (avv. Truncé)
1-. Motivazione contraddittoria e illogica, in relazione ai reati associativi di cui
ai capi 1 e 79, perché sarebbe ‘inaccettabile in quanto frutto di travisamento della

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9

prova a carico’ la risposta data dalla Corte distrettuale al motivo d’appello relativo
all’inattendibilità del collaboratore MARINO, in particolare sul punto dell’accordo
intervenuto con LUIGI BONAVENTURA per precostituire le prove contro CAZZATO
ed altri, prima del formale inizio della loro collaborazione, essendo invece ‘evidente’
essersi trattato di ricerca di prove contro soggetti verso cui nutrivano ragioni di
risentimento.
Ancora, incoerente ed illogica sarebbe la motivazione con cui la Corte
distrettuale ha svalutato le serie condizioni psichiche e di tossicodipendenza di
LUIGI BONAVENTURA, dando credito all’affidamento comunque fatto su di lui
dall’associazione e quindi respingendo le censure d’appello sulla sua non
attendibilità.
Quanto al ruolo verticistico attribuito a CAZZATO la motivazione sarebbe
illogica, perché la percezione periodica del cd ‘fiore’ sui proventi illeciti gestiti
dall’associazione (riservato appunto a chi aveva ruoli di vertice e di cui hanno
parlato i collaboratori come in essere dal 2004, in esito a scarcerazione dopo lunga
detenzione) sarebbe stata da attribuire ai trascorsi (noti ai collaboratori) e non
all’attualità.
2-. Erronea applicazione dell’art. 81 c.p. e motivazione contraddittoria, in
relazione al diniego di riconoscimento della continuazione con i reati oggetto della
sentenza Trib. Crotone del 12.6.1993 (per condotte associative, anche di
narcotraffico, fino al 31.12.1991), perché sarebbe frutto di travisamento della prova
l’aver ritenuto le associazioni diverse in quanto composte da soggetti differenti, non
avendo colto la Corte d’appello la rilevanza logica dell’identità di componenti
strategici e di storici affiliati presenti nei due gruppi: si sarebbe quindi trattato
dello stesso sodalizio, caratterizzato da un fisiologico mutamento di parte dei
componenti, e la Corte d’appello avrebbe sovrapposto due aspetti diversi, il
medesimo disegno criminoso e l’identità dell’associazione; ciò sarebbe in particolare
evidente per CAZZATO, imputato di aver promosso le due associazioni in periodi
sovrapponibili (fino al 31.12.1991 e dal 1990). Contraddittorio sarebbe poi il
ritenuto parametro della diversità di contenuti dell’attività delle due associazioni,
non corrispondente alle imputazioni ed ai fatti. In definitiva, per il ricorrente la
Corte distrettuale avrebbe dovuto ritenere che CAZZATO, già entrato a far parte del
gruppo Vrenna con compiti di promozione delle attività nel racket e nel
narcotraffico, avrebbe reiterato la condotta sempre in posizione di promozione del
medesimo gruppo, mai estintosi, e anzi vivificato dalla presenza di nuovi partecipi.
6.2
Il ricorso è fondato limitatamente al punto della motivazione dell’applicazione
dell’art. 81 c.p..
Per i primi due motivi del primo ricorso rilevano le argomentazioni svolte sub
3.2, trattando i comuni motivi del coimputato BASTA.
Il terzo motivo del primo ricorso è assorbito dal secondo del ricorso a firma
dell’avv. Truncè.
Il primo motivo del secondo ricorso è, nelle sue diverse articolazioni,
inammissibile perché diverso da quelli consentiti.
La prima censura si risolve in doglianza di merito, anche generica laddove il
ricorrente non specifica perché le prove raccolte nel contesto criticato sarebbero
inveritiere o in che modo sarebbero state strumentalmente utilizzate per costruire
una narrazione contraria al vero. Le generiche doglianze di incoerenza e illogicità
che caratterizzano la seconda censura, a fronte di specifica motivazione della Corte
distrettuale, ne attestano la natura di mero fatto. Così è anche per la terza censura,
dove il ricorrente propone, e in termini assertivi, una lettura alternativa del dato

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10

A giudizio del Collegio il secondo motivo del ricorso dell’avv. Truncé, relativo
alla disattesa continuazione, è invece fondato nei termini che seguono.
La Corte d’appello ha argomentato il punto della decisione dando
apparentemente determinante ed assorbente rilievo alla diversità dell’associazione
giudicata dal Tribunale di Crotone il 12.6.1993 (per fatti fino al 23.2.1992: p. 191
sent. app.) rispetto a quella oggetto del presente giudizio (per fatti “dagli anni 90
ad oggi”): la conclusione è sostenuta dai rilievi della diversa composizione
soggettiva dei due gruppi (p. 192), del diverso ambito territoriale di operatività e
del diverso contenuto dell’attività criminosa (p. 193, anche sostanze stupefacenti
per la seconda); in ragione di tale giudicata diversità delle associazioni ha pure
escluso la sussistenza di alcuna continuazione per i relativi reati satelliti.
Il ricorrente evidenzia come proprio dalla ‘narrazione’ contenuta nella
sentenza emergerebbe in realtà una sovrapposizione temporale parziale e una
altrettanto parziale omogeneità di capi (o ‘maggiorenti’) e partecipi, appartenenti al
clan Vrenna Corigliano Bonaventura, tali da inserire la fattispecie nella prosecuzione
della medesima associazione, che fisiologicamente avrebbe visto l’uscita di alcuni
capi e componenti (anche per la loro morte) e l’ingresso di nuovi partecipi, e quindi
nella complessiva unitarietà della partecipazione associativa con i reati fine posti in
essere in un contesto di propositi estorsivi in danno degli imprenditori.
Con sentenza 19220/12 questa Sezione sesta penale ha affermato che “la tesi
difensiva di un unico sodalizio criminoso che opera in permanenza” anche in
territori diversi, “e che nel tempo si arricchisce di nuovi sodali”, deve essere
oggetto di specifica argomentazione. Anche in quel caso il Giudice aveva “dato atto
di elementi formali (tempo, territorio, soggetti) che certamente in linea generale
possono ben essere idonei a dar esaustivo conto della diversità dei fatti”. Ma il
peculiare contesto in fatto che era stato evidenziato dalla difesa (il “primo” territorio
è compreso nel “secondo”; il promotore è la medesima persona; alcuni soggetti
della prima associazione sono componenti anche della seconda … la seconda inizia
ad operare pressoché quasi senza soluzione di continuità con la prima) rendeva
necessario il confronto argomentativo pure con l’ipotesi “della continuità con
allargamento” e comunque “la spiegazione del contesto di fatto di operatività delle
due associazioni, in termini tali da neutralizzare le quattro obiettive peculiarità,
appena ricordate. E ciò sotto i due profili (il secondo eventuale) dell’identità o meno
delle due esperienze associative e, nel secondo caso, della riconducibilità delle
stesse – per i soggetti che sono componenti di entrambe, comunque per il ricorrente
– ad un medesimo disegno criminoso”.
Tale precedente ha peculiare rilevanza in questo caso, con la precisazione che
segue. Ancorché il corrispondente motivo d’appello di CAZZATO fosse ai limiti
dell’ammissibilità, comunque per esso non è possibile formulare quel giudizio di
evidente insuperabile inammissibilità originaria cui si è dovuti pervenire per il
coimputato CAVALLO. Ammissibile l’appello sulla negata continuazione, a fronte dei
dati specificamente riguardanti CAZZATO e i reati a lui ascritti nei due processi
(quello definito con la sentenza crotonese in giudicato e quello oggetto del presente
giudizio) nonché, in particolare ed in ragione del precedente di legittimità appena
richiamato, attesa la riferita parziale sovrapposizione di soggetti (tra cui alcuni
‘capi’), tempi, territori, oggetto dell’azione associativa, la Corte distrettuale avrebbe
dovuto argomentare specificamente anche le ragioni per cui doveva escludersi la

obiettivo della percezione periodica, da parte del CAZZATO, del peculiare contributo
periodico tratto dai proventi illeciti delle attività gestite dall’associazione, già
oggetto di specifica argomentazione dei due Giudici del merito, immune dai vizi di
manifesta illogicità e contraddittorietà.

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Sul punto, pertanto, l’impugnata sentenza va annullata con rinvio per nuovo
giudizio.
Il Giudice del rinvio si atterrà al presente principio di diritto: nel caso di
parziale sovrapposizione di soggetti, tempi, territori e oggetto dell’attività
associativa, per affermare la diversità ed autonomia delle associazioni il giudice
deve espressamente argomentare anche le ragioni per le quali va positivamente
esclusa l’ipotesi di un unico sodalizio criminoso che operi in permanenza, con
fisiologici adattamenti della propria composizione ed azione al trascorrere del tempo
e delle condizioni esterne.
L’esito di tale rivalutazione imporrà comunque l’adempimento del successivo
obbligo di motivazione sulle evenienze possibili (sussistenza o meno di eventuale
medesimo disegno criminoso tra unico reato associativo e reati fine; sussistenza o
meno di eventuale medesimo disegno criminoso tra più reati associativi, ed
eventualmente tra i relativi reati satelliti), aspetti che allo stato non sono stati
oggetto della doverosa motivazione del Giudice d’appello.

7.1 CORIGLIANO TIZIANA (avv. Truncé)
1-. Erronea applicazione dell’art. 597 c.p.p. e motivazione illogica, in relazione
ai reati in materia di armi di cui ai capi 62, 63, 64 e 65; la ricorrente svolge in
realtà deduzioni solo per i reati di cui ai capi 63 e 62, sostenendo il mancato esame
della doglianza di errore di persona nell’attribuzione del richiamo alla propria moglie
a MACRI’ ANTONIO (marito della ricorrente) in luogo di VALENTE MAURIZIO;
2-. erronea applicazione dell’art. 81 c.p. e mancanza di motivazione, per il
diniego del riconoscimento della continuazione con i reati sub E, F, G, di cui alla
sentenza GUP di Crotone del 29.5.2008.
Nell’atto di appello (terzo motivo, p. 8 app.) la ricorrente aveva evidenziato gli
elementi dell’identità della fattispecie violata con quella già giudicata e il brevissimo
lasso temporale in cui erano stati commessi i fatti in contestazione nei due processi.
Evidenzia ora anche la mancanza di soluzione di continuità tra le condotte (tutte tra
il 27 ottobre ed il 2 novembre) palesi dalla stessa lettura dei capi di imputazione:
l’omogeneità delle stesse (detenzione di armi all’interno di autovettura, in un caso
per prove di uso, nel secondo con il getto dal finestrino in prossimità di posto di
blocco), l’essere stato il reato giudicato dal GUP accertato a seguito di posto di
blocco disposto in esito alle intercettazioni che avevano attestato il possesso delle
armi. Argomenta che la sentenza del GUP, richiamata in via ricettizia dalla Corte
distrettuale per spiegare una peculiare strategia in atto al momento del controllo
(che avrebbe differenziato la ‘mera detenzione’ qui considerata), in realtà avrebbe
solo dato conto del getto dal veicolo.
7.2
Il ricorso è fondato limitatamente al punto afferente la continuazione.
Il primo motivo è inammissibile perché generico. Contrariamente a quanto
dedotto dalla ricorrente, a p. 197 la Corte d’appello ha spiegato perché le originarie
censure relative anche alla conversazione n. 75 (richiamata a p. 195, e – si noti nel ricorso riproposta solo quanto al capo 63), fossero irrilevanti, essendo presenti
ulteriori autonomi e sufficienti elementi di prova, desunti da altre conversazioni,
individuate con i numeri da intendersi riferiti alle corrispondenti citazioni della

continuità dinamica del fenomeno associativo, sì che gli elementi di parziale
diversità riferiti potessero assumere un rilievo effettivamente determinante per la
decisione.

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12

Il secondo motivo è fondato nei termini che seguono.
Dalla ricostruzione dei fatti nella sentenza impugnata e nei due atti di
impugnazione, si evince che i due episodi, oggetto dei due processi, si
concretizzano in un contesto temporale di sei giorni. Nel primo caso vi sono armi
che vengono detenute e portate anche per esercitarsi nel loro uso (come si evince
da intercettazioni ambientali su autovetture), nel secondo vi sono armi che vengono
gettate da un finestrino. I primi fatti vanno dal 27 ottobre al 1 novembre 2007 (capi
62-65); l’altro episodio è del 2 novembre 2007 e, secondo quanto riporta la stessa
sentenza impugnata, si riferisce a condotta di getto di arma da fuoco da
autovettura in corsa in esito alla decisione di forzare un posto di blocco (la
CORIGLIANO era in questa circostanza col marito ANTONIO MACRI’: sent. app. p.
199).
La Corte distrettuale ha negato la sussistenza di un medesimo disegno
criminoso tra i due momenti, argomentando che mentre gli episodi di detenzione di
cui ai capi da 62 a 65 erano da ritenersi accertati come “per lo più” collegati
all’esigenza di provare armi in possesso degli interlocutori, invece il fatto accaduto il
2.1.2007, in occasione della forzatura di un posto di blocco, era connotata da una
diversa ragione della detenzione perché connessa “ad una più complessa strategia
criminosa, compiutamente analizzata dalla sentenza GIP di Cosenza in data
29.5.2008” (va incidentalmente rilevato che l’esecutività di quest’ultima sentenza
non pare in discussione, attesa la motivazione della Corte distrettuale).
Orbene, se si considera che il Tribunale non ha affrontato il tema in esame
(avendo solo giudicato la sussistenza della continuazione tra i reati di cui ai capi 6265 in ragione della loro omogeneità, del contesto spazio temporale e della
sostanziale identità dei soggetti), che il capo di imputazione 63 (giudicato in
continuazione con quelli 62, 64 e 65, afferenti detenzioni in contesti di prova del
funzionamento delle armi) descrive una detenzione di armi finalizzata anche al loro
uso nei confronti delle forze di polizia e, infine, che il richiamo alle argomentazioni
del GIP di Cosenza è operato dal Giudice distrettuale in modo del tutto assertivo,
risulta evidente, allo stato, la sostanziale mera apparenza della motivazione della
Corte d’appello sul punto.
Invero, da un lato la diversità di finalità della detenzione è affermata
attraverso un rinvio ad atto giurisdizionale esterno al processo, senza alcun cenno
ulteriore al suo contenuto argomentativo, sì da pervenire a motivazione
insuscettibile di alcuna verifica e pertanto allo stato solo assertiva; dall’altro, già è
nel processo il giudizio di non incompatibilità tra l’affermazione della diversa finalità
delle detenzioni e la configurabilità del medesimo disegno criminoso: sicchè la Corte
d’appello avrebbe dovuto o rilevare un errore del Tribunale (ancorché privo di
conseguenze sanzionatorie nell’assenza di impugnazione della parte pubblica)
ovvero spiegare espressamente perché, al di là della finalità di offesa riconosciuta
alla detenzione del 2.11.2007, questa si inserisse in un contesto tale da giustificare
la diversa soluzione per i capi interni al processo (62-65) e per quello oggetto della
sentenza del GIP di Cosenza.
Si impone pertanto l’annullamento della sentenza d’appello, limitatamente al
punto del diniego della continuazione con il precedente giudicato di Cosenza.

sentenza di primo grado, senza che sul punto vi sia alcun confronto argomentativo
in ricorso. La censura al contenuto della conversazione relativa al capo 62 è poi
diversa da quelle consentite, risolvendosi nella mera prospettazione di
interpretazione alternativa del testo, pertanto attenendo a precluso merito.

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8.1 ELIA ANTONIO (avv. Bruno Napoli)
1-. “Travisamento del fatto” in relazione al capo 1 (416 bis c.p.), perché le
condotte concretamente attribuite all’imputato non integrerebbero gli estremi della
consapevole partecipazione associativa, costituendo occasionali condotte delittuose
per reati specifici;

8.2
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il primo motivo è diverso da quelli consentiti sollecitando, a fronte di una
specifica motivazione della Corte d’appello sul punto e di una duplice valutazione
conforme dei Giudici del merito, un diverso apprezzamento in fatto del materiale
probatorio, precluso in questa sede di legittimità. I Giudici distrettuali hanno
evidenziato la confessione dell’imputato, spiegando che la qualità e quantità delle
informazioni da lui fornite in ordine alle specifiche attività criminali poste in essere
dai diversi sodali del gruppo Vrenna – Corigliano – Bonaventura (spesso
determinanti e riscontrate da quelle di altri collaboratori e pertanto intrinsecamente
attendibili) indicavano una cognizione dei fatti percepibile solo da soggetto intraneo
alla cosca, del resto confermata anche da dati oggettivi emergenti da talune
intercettazioni (p.208); anche sul suo ruolo specifico nell’attività di spaccio di
stupefacenti vi è motivazione specifica (p. 207).
Il secondo motivo è generico. A pag. 209 la Corte d’appello afferma che
all’imputato sono state applicate le attenuanti generiche e l’attenuante ex art. 8 di
152/91 nel massimo, e la doglianza difensiva non indica le ragioni di calcolo che
attesterebbero l’erroneità delle due affermazioni, limitandosi a censura apodittica.

9.1 FRISENDA GIUSEPPE (avv. Truncé)
1-. In relazione ai capi 1 e 79, motivazione contraddittoria e illogica, per le
ragioni già indicate nel ricorso del medesimo difensore in favore di CAZZATO;
2-. Violazione dell’art. 74 dPR 309/90, in relazione alla giudicata qualità
verticistica di FRISENDA, perché le attività attribuitegli di approvvigionamento e
taglio della sostanza, nonché di riscossione dei proventi e gestione dei rapporti con i
cessionari sarebbero rispettivamente incompatibili con il ruolo di organizzatore le
prime due e prive di prova (non indicata) le altre due;
3-. Motivazione illogica e contraddittoria, in ordine alle attività estorsive di cui
ai capi 29 (perché la Corte d’appello non aveva argomentato sul non essere quello
di FRISENDA il nome del buttafuori indicato dal titolare dell’esercizio commerciale),
30 (estorsione in danno di tale ditta Ceraso operante nell’ospedale di Crotone, la cui
esistenza non sarebbe stata provata, senza risposta della Corte d’appello sul
punto), 31 (estorsione in danno dei fratelli ARI) e 42 (estorsione in danno di De
Cicco).
9.2
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il primo motivo è al tempo stesso manifestamente infondato e generico. La
Corte d’appello ha espressamente spiegato, quanto a FRISENDA, che l’ipotesi

2-. Violazione degli artt. 157 c.p., 7 ed 8 legge 203/91: in realtà l’unica
deduzione poi concretamente svolta sul punto è quella che l’attenuante ex art. 8
non sarebbe stata applicata nel massimo per l’avvenuta illegittima considerazione
delle ragioni utilitaristiche che l’avrebbero determinata.

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difensiva della collaborazione concordata tra BONAVENTURA e MARINO, prospettata
anche da altre difese, era palesemente infondata, si verificano i due episodi,
oggetto dei due processi aggiungendo alle argomentazioni ripetute trattando delle
diverse posizioni (p. 228) quelle specifiche relative alle peculiari dichiarazioni di
BUMBACA ed ELIA (p. 229 s.); aspetto, questo, rimasto senza espresso confronto
argomentativo del ricorrente.
Il secondo motivo è diverso da quelli consentiti.
Sul punto specifico del ruolo gerarchico svolto dall’imputato, la Corte d’appello
ha motivato in modo articolato e puntuale (p. 230-233), rinnovando con autonoma
valutazione il conforme apprezzamento del primo Giudice, con richiami a fonti di
prova non palesemente incongrue alle conclusioni argomentate e motivazione
immune dai vizi logici che soli rilevano ai sensi della lettera E dell’art. 606.1 c.p.p.
(del resto neppure espressamente enunciati in ricorso).
Il terzo motivo è manifestamente infondato e al tempo stesso diverso da
quelli consentiti.
Sui capi di imputazione ulteriori vi è motivazione articolata della Corte
distrettuale, con indicazione di contenuti probatori non manifestamente incongrui
alle conclusioni delle rispettive valutazioni che sono conformi a quelle del primo
Giudice, immuni dai residui vizi che solo rilevano ai sensi della lettera E dell’art.
606.1 c.p.p. (pagg. 233-236 per il capo 29, con specifica motivazione sulle
dichiarazioni negatorie della persona offesa; 236-238 per il capo 30, con specifica
motivazione sul punto riproposto dal ricorrente; 238-240 per il capo 31, il ricorso
svolgendo deduzioni sul capo 32 in termini obiettivamente di scarsa comprensibilità
e comunque generici; 240 s. per il capo 42, con specifica motivazione sui punti
essenziali devoluti dall’atto di appello e riproposti in termini assertivi nel ricorso). Le
censure difensive si risolvono quindi in sollecitazione a diverso e precluso
apprezzamento del merito probatorio.

10.1 MACRI’ ANTONIO (avv. Staiano)
1-. Violazione dell’art. 649 c.p.p. in relazione al “fatto associativo” di cui ai
capi 1, 1A, 79, 79K, medesimo di quello già contestato, “seppur per un arco
temporale circoscritto rispetto alla più recente imputazione”; il ricorrente pone a
confronto le imputazioni dei procedimenti cd Tramontana ed Hercules e svolge
deduzioni in fatto pertinenti alle stesse, anche in ordine ai periodi temporali
concretamente interessati dalle dichiarazioni dei singoli collaboratori, criticando la
risposta della Corte distrettuale in ordine alla diversità di soggetti componenti,
articolazioni funzionali e territoriali, durata dei vincoli associativi, sostenendo che in
realtà si sarebbe trattato del medesimo “zoccolo duro associativo”, operante nei
medesimi termini di struttura e tipologia di delitti; anche in ordine alla collocazione
territoriale, dalla richiesta di rinvio a giudizio del procedimento Tramontana
emergerebbe l’operatività anche oltre la provincia di Crotone.
Sul punto, in data 4.7.13 è stata depositata un’articolata memoria con
documentazione allegata, relativa a precedenti giudiziari di epoca antecedente
anche al processo d’appello;
2-. Inutilizzabilità ai sensi degli artt. 267, 268 e 271 c.p.p. “dei risultati
intercettivi di cui ai RIT n. 725/04 e seguenti”. Secondo il ricorrente il decreto
6.12.04, allegato al ricorso, sarebbe stato privo di “adeguata motivazione”, posto
che l’operatività dell’associazione in più territori avrebbe comunque reso
problematico il tempestivo intervento della polizia giudiziaria in relazione al luogo di
esecuzione delle operazioni di intercettazione e la sussistenza delle eccezionali

i

14

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15

3-. Violazione di legge e vizi alternativi della motivazione in ordine agli artt.
192 c.p.p. e 416 bis c.p., perché le chiamate in correità non potrebbero riscontrarsi
a vicenda e comunque le dichiarazioni accusatorie sarebbero vaghe e prive di
riferimenti temporali e storici concreti e individualizzanti specifiche condotte del
MACRI’, in particolare approssimative quelle di MARINO e BONAVENTURA, e de
relato quelle di BUMBACA, CORTESE, ELIA, senza che la Corte d’appello abbia
proceduto all’approfondimento necessario delle specifiche problematiche di
attendibilità;
4-. Medesimi vizi dei motivi secondo e terzo anche in ordine al delitto di
estorsione di cui ai capi 3, 9, 15, 17, 20, 35 e 36, 62 – 65, 78, per gli errori di
valutazione delle prove e l’assenza di valida motivazione che il ricorrente
argomenta per ciascun reato;
5-. “Insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 legge 203/1991″: il motivo
riproduce letteralmente il corrispondente motivo d’appello, dopo aver lamentato che
i Giudici distrettuali non abbiano approfondito l’aspetto relativo all’elemento
soggettivo (tuttavia non oggetto di specifica deduzione, con riferimento al caso
concreto, neppure nella prima impugnazione);
6-. Erronea applicazione della legge penale e vizi alternativi della motivazione
in relazione ai capi 1, 79 e 79 K, perché al più il ruolo di Antonio Macrì sarebbe
stato marginale, nel settore dello spaccio al dettaglio in territorio limitato, le
dichiarazioni dei collaboratori sul rapporto associativo risultando plurime ma tutte
generiche;
7-. Mancanza di motivazione e erronea applicazione dell’art. 74.6 dPR 309/90,
in relazione alla posizione MACRI’, per le medesime ragioni di marginalità della
condotta e del suo contenuto.
10.2
Il ricorso va rigettato.
Il primo motivo è inammissibile perché diverso da quelli consentiti, nei termini
che seguono.
Il corrispondente motivo d’appello era stato prospettato in termini di assoluta
genericità (p. 1 e 2 atto di appello). La Corte distrettuale ha risposto sul punto,
spiegando in modo specifico a p. 247 e 248 della propria sentenza le ragioni per cui
doveva escludersi alcun bis in idem.
Il ricorso (e ancor più la memoria con i suoi allegati, da considerarsi tuttavia
tardiva in relazione alla data della prima udienza di questo giudizio di legittimità, il
9.7.2013: Sez.6 sent. 18453/2012 e Sez. 1 sent. 8960/2012; Sez.1 sent.
853/1996; Sez. 6 sent. 42627/09; Sez.1 sent. 17308/2004), svolge per la prima
volta ulteriori, e quindi nuove, articolate argomentazioni in fatto per sostenere
l’assunto dell’intervenuto giudicato in contrasto con le specifiche argomentazioni
della Corte d’appello, in particolare sull’omogeneità delle fonti probatorie, così
risolvendosi nella contestazione in fatto dei presupposti dell’intervenuta
argomentata deliberazione d’appello, non consentita in sede di legittimità.

ragioni di urgenza sarebbe stata argomentata in termini generici. Tutti i decreti
successivi sarebbero travolti da questi vizi del provvedimento originario.
La questione risulta essere stata dedotta alla Corte distrettuale (che ha
risposto sul punto con specifica motivazione) non con l’atto d’appello, ma per la
prima volta in sede di discussione del processo d’appello (p. 246 e 248 sent.);

16

Il secondo motivo è infondato.
Va premesso essere risalente insegnamento di questa Corte suprema la non
deducibilità per la prima volta in sede di ricorso per cassazione dell’inutilizzabilità
delle intercettazioni a seguito di un asserito difetto di motivazione del decreto di
autorizzazione, precedentemente non denunciato (per tutte, Sez.5 sent.
39042/2008 e Sez.1 sent. 5062/1998). Nel caso di specie, in concreto il ricorrente
contesta proprio l’adeguatezza della motivazione, con deduzioni in fatto che non
possono essere esaminate perché presupporrebbero l’accesso diretto agli atti per
verificare la congruità degli assunti non tanto e solo al contenuto del
provvedimento, che risulta allegato, bensì alle risultanze probatorie richiamate, dal
provvedimento stesso e dalle censure in fatto.
Ma la questione, come avvertito, è stata posta solo in sede di discussione al
Giudice d’appello e con modalità e contenuti che quel Giudice ha argomentato
essere del tutto generiche ed assertive, tali da non consentire né tantomeno
imporre il rilievo d’ufficio di alcuna manifesta violazione di legge (p. 248 penultimo
capoverso).
Ed allora, da un lato la Corte d’appello ha specificamente affermato la
genericità delle censure (tardive quanto all’impugnazione e anche inidonee ad
imporre l’attivazione dei poteri d’ufficio connessi alla regola processuale ex art.
191.2 c.p.p.); dall’altra il ricorrente non contesta specificamente la carenza
originaria delle sue deduzioni al Giudice d’appello ma critica il merito delle risposte
e propone a questa Corte suprema con immediatezza, e pertanto per la prima
volta, le proprie censure in fatto. Il che conduce il motivo, per la ricordata
consolidata giurisprudenza, all’inammissibilità.
Il terzo motivo è infondato. Quanto all’idoneità delle plurime chiamate in
correità, anche de relato, a riscontrarsi, il recente insegnamento delle Sezioni Unite
di questa Corte (sent. 20804/13) ha disatteso la generica affermazione del ricorso.
Le critiche al contenuto delle dichiarazioni dei collaboratori, a fronte di specifica
motivazione dei Giudici d’appello sul punto, si risolve in generiche censure in fatto.
Quarto, sesto e settimo motivo sono inammissibili perché diversi da quelli
consentiti, risolvendosi le relative deduzioni in censure in fatto volte alla
rivalutazione del merito probatorio, a fronte di specifiche motivazioni della Corte
distrettuale, immuni dai vizi logici soli rilevanti ex art. 606.1 lett. E c.p.p., con
conclusioni conformi a quelle del Tribunale.
Anche il quinto motivo è inammissibile. Le censure ripropongono testualmente
(da p.17 dal secondo capoverso a p. 20) il corrispondente motivo d’appello (da p.
16 a p. 18) che trattava la tematica solo in termini generali: si tratta di metodologia
di composizione del ricorso che per sé lo conduce all’inammissibilità per genericità
(Sez.6, sent. 8700/2013).
Né a diversa conclusione porta l’unica deduzione preliminare sulla mancanza
di motivazione in ordine alla componente soggettiva della circostanza aggravante
(primo paragrafo dell’atto di ricorso), perché il ricorrente riporta la motivazione
d’appello ‘amputando’ proprio la parte specificamente dedicata al”lo scopo
perseguito dal medesimo di favorire per il loro tramite l’organizzazione
d’appartenenza” (p. 283).

11.1 MACRI’ SALVATORE (avv. Giuseppe Napoli)
1-. Violazione dell’art. 416 bis c.p. in relazione al ritenuto ruolo di partecipe

del ricorrente; la Corte distrettuale avrebbe operato una “valutazione intuitiva”, in
mancanza di elementi probatori indicanti condotte di concreta partecipazione, con
motivazione assertiva sul punto;

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17

3-. Travisamento dei fatti e vizi alternativi della motivazione in relazione alle
dichiarazioni del collaboratore CORTESE sull’individuazione del gruppo associativo di
cui il ricorrente sarebbe stato partecipe;
4-. Violazione dell’art. 192.3 c.p.p. in ordine al riscontro tra le dichiarazioni
dei collaboratori, perché la Corte d’appello avrebbe omesso di indicare i fatti
specifici su cui tale convergenza si sarebbe verificata, realizzando una ‘scorciatoia
probatoria’ con il dar credito a dichiarazioni generiche;
5-. Violazione di legge in ordine all’asserito vincolo associativo e alle
dichiarazioni di BONAVENTURA e BUMBACA sul ruolo di partecipe del ricorrente e
sullo smercio di sostanza stupefacente, perché le dichiarazioni dei due sarebbero
generiche e non riscontrate sul capo della partecipazione ad associazione di
narcotraffico;
6-. Violazione di legge in relazione alla ritenuta circostanza aggravante ex
art.7 legge 203/91, perché la Corte distrettuale avrebbe travisato le risultanze
istruttorie, non sufficienti ad indicare né la partecipazione di MACRI’ SALVATORE
all’associazione né elementi oggettivi idonei a sostenere l’aggravante, oltretutto già
contestata in termini non chiari e precisi.
11.2
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il primo motivo è generico e manifestamente infondato. Dopo aver
dettagliatamente enunciato i motivi d’appello (p. 277), la Corte di Catanzaro ha
richiamato le dichiarazioni di sei collaboratori, argomentandone con specifica
motivazione la convergenza in relazione a questo ricorrente.
Il secondo motivo è generico nella sua formulazione (non essendo specificate
le deduzioni cui la Corte distrettuale non avrebbe risposto, la censura solo
richiamando assertivamente per relazione l’atto di impugnazione) e manifestamente
infondato, sussistendo motivazione specifica del Giudice d’appello sul punto (p.
278), con cui il ricorrente non si confronta.
Il terzo motivo è diverso da quelli consentiti, svolgendo solo censure di merito
in ordine alla ricostruzione dei fatti.
Quarto, quinto e sesto motivo sono manifestamente infondati e diversi da
quelli consentiti, sussistendo su tutti i punti in essi indicati motivazioni specifiche
della Corte distrettuale (rispettivamente p. 281, 281-282, 283), immuni da vizi
logici rilevanti ai sensi della lettera E dell’art. 606.1 c.p.p. (del resto non
specificamente indicati ed argomentati nelle deduzioni a sostegno dei motivi),
sicchè le censure si risolvono in sollecitazione alla rivalutazione del materiale
probatorio, inammissibile in questa sede di legittimità.

2-. Violazione dell’art. 192.3 c.p.p. in tema di valutazione delle dichiarazioni
dei collaboratori di giustizia, perché la Corte d’appello avrebbe omesso il confronto
con le pertinenti deduzioni dell’impugnazione, in particolare quanto all’omicidio
GALLO ed a BONAVENTURA, limitandosi a valorizzare dichiarazioni del tutto
generiche e prive di riscontri probatori, anche de relato, quando non pure
inverosimili come quelle di MARINO sulla committenza a SALVATORE MACRI’ di un
omicidio dai contorni soggettivi ed oggettivi del tutto indeterminati, in definitiva
stravolgendo il quadro nebuloso in un inesistente contesto di precisione e
convergenza;

18

12.1 MELLINO FRANCESCO (avv. Laratta)
1-. Erronea applicazione e manifesta illogicità della motivazione in relazione
agli artt. 192 e 195 c.p.p., con riferimento sia ai lunghi periodi di detenzione nel
tempo di contestata consumazione dell’associazione (e anche per fatti afferenti gli
stupefacenti) che al riferimento specifico all’episodio del 2000 (sbarco di hashish),
nonché alla previa conoscenza degli atti processuali da parte dei collaboratori in
relazione alla pendenza del precedente processo Tramontana; la Corte distrettuale
avrebbe altresì minimizzato i dati evidenziati nelle censure d’appello, sull’odio
dichiarato esistente tra il ricorrente ed ARCURI, sulla genericità delle dichiarazioni di
MARINO, BONAVENTURA ed ELIA, sugli errori di BUMBACA quanto a MELLINO in
relazione all’omicidio Cardamone, all’omicidio De Luca ed allo sbarco dell’hashish. Il
ricorrente evidenzia tra l’altro la mancanza di riscontri bancari alle dichiarazioni di
BUMBACA sui proventi del traffico di stupefacenti, nonché la tematica della
contemporanea partecipazione dell’imputato a più associazioni (oggetto di distinte
sentenze), in definitiva lamentando che i Giudici d’appello abbiano considerato il
“coacervo indiziario” senza un’analitica obiettiva comparazione;
2-. Violazione dell’art. 81 c.p. e manifesta illogicità della motivazione, con
riferimento alle sentenze GIP Crotone 23.1.2001, Corte d’appello di Reggio Calabria
17.4.2002 e Tribunale di Rimini 27.6.2008: la motivazione d’appello sarebbe
inadeguata, non essendo stata analizzata in maniera attenta e puntuale la
situazione emergente dai vari vincoli associativi e quella temporalmente evincibile
dalle varie dichiarazioni dei diversi collaboratori
12.2
Il ricorso è fondato limitatamente al punto afferente la continuazione.
12.2.1
Il primo motivo è inammissibile perché diverso da quelli consentiti.
Con rilievo generale (e richiamato quanto già sempre in via generale
evidenziato nei precedenti paragrafi 2.2.2.1 e 2.2.2.2) va osservato che quando la
parte con l’atto d’appello indica il punto della decisione devoluto al secondo giudice
del merito ed abbozza deduzioni in fatto per sostenere la relativa richiesta di
rivalutazione, e poi, alla risposta del Giudice d’appello che in quei limiti risponde,
con il ricorso per cassazione riprende il punto integrando le originarie deduzioni in
fatto in termini di maggiore o nuova specificità, anche in ipotesi pertinente, in realtà
consegna l’impugnazione di legittimità all’inammissibilità. Ciò perché ogni
apprezzamento in fatto è riservato ai giudici del merito e va loro tempestivamente
sollecitato e proposto senza che, neppure richiamando il principio
dell’autosufficienza, ulteriori aspetti pur rilevanti possano essere proposti al giudice
di legittimità: questi, infatti, ‘strutturalmente’ non può prenderli in esame, posto
che ogni circostanza di fatto non può che essere apprezzata alla luce dell’intero
quadro probatorio esistente nel fascicolo del processo, che la Corte di cassazione
non conosce né può conoscere/accertare.
Nel caso di specie si verifica proprio questa evenienza, atteso che il ricorso va
a colmare in termini di specificità deduzioni in fatto proposte nell’originario atto
d’appello in termini del tutto generici (p. 4-7 app.; per tutte, il rilievo sulla
mancanza di riscontri bancari alle dichiarazioni di Bumbaca) rendendo
indispensabile un preliminare accertamento in fatto (con l’apprezzamento dell’intero
materiale probatorio e, in relazione a questo, del valore probatorio del singolo
elemento e della singola considerazione di ordine logico) del tutto precluso in
questa sede di legittimità.

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19

Da qui la necessità di nuovo giudizio sul punto.

13.1 MELLINO GIOVANNI ALDO (avv. Di Bonaventura)
1-. Violazione dell’art. 73 dPR 309/90 e vizi della motivazione, in ordine al
capo 79 BM, perché l’analisi della Corte distrettuale oltre a riprodurre brani della
prima sentenza sarebbe stata superficiale insufficiente e lacunosa sul punto della
convergenza delle dichiarazioni dei collaboratori, non valutandone l’attendibilità
intrinseca (VRENNA, MARINO, BUMBACA e BONAVENTURA essendo interessati ad
evitare decisioni a sé sfavorevoli) e sottovalutando le discordanze oggettive e
l’assenza di riscontri esterni: in particolare, quanto al ricorrente, in ordine a
collocazione temporale, mezzo di trasporto, presa in carico dello stupefacente e
presenza stessa del ricorrente, censure dedotte nell’atto d’appello e che hanno
condotto all’assoluzione dai reati associativi. La Corte distrettuale avrebbe altresì
ignorato precedenti assoluzioni di MELLINO GIOVANNI ALDO rispetto ad accuse
rivoltegli dai medesimi chiamanti, non ritenuti attendibili; l’assoluzione per i reati
associativi risulterebbe contraddittoria con la conferma di responsabilità per un
determinato episodio di sbarco di stupefacente, per sé difficilmente imprimibile
nella memoria, smembrando dichiarazioni che avrebbero dovuto essere valutate
unitaria mente;
2-. Violazione di legge e vizi alternativi della motivazione in relazione
all’aggravante ex art. 7 legge 203/1991. L’assoluzione dell’imputato dal reato
associativo e pure dal concorso esterno in esso renderebbe contraddittoria la
motivazione che fonderebbe l’aggravante nell’aver agito anche con uno dei capi
della cosca (VRENNA), non risultando alcuna motivazione sui metodi violenti e
alcuna indicazione di persone offese dagli stessi;
3-. Violazione dell’art. 81 c.p. e vizi alternativi della motivazione, per la
negata continuazione con il reato ex art. 74 dPR 309/90 giudicato con la sentenza
2/2006.
4-. Violazione degli artt. 73 dPR 309/90, 113 e 114 c.p..
13.2
Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo.
Il primo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato e diverso da
quelli consentiti (come del resto ripetutamente comprovato dal significativo uso di
espressioni come ‘lacunoso’, ‘superficiale’ e ‘insufficiente’ per descrivere i vizi
lamentati: ciò, a fronte della tassatività dei diversi, e specifici, vizi solo rilevanti ai

12.2.2
A giudizio del Collegio è invece fondato il secondo motivo.
Il ricorrente ha abbandonato l’eccezione dell’improcedibilità ex art. 649 c.p.p.
(oggetto di specifica motivazione della Corte distrettuale, p. 293-295), contestando
ancora la sola adeguatezza della motivazione per la negata continuazione. A tale
punto della decisione la Corte d’appello dedica la seconda parte di p. 295, con
affermazione che, in definitiva, allo stato si manifesta generica e quindi solo
assertiva, tenuto conto dell’articolazione dei precedenti penali (quanto a tempi,
territori e correi) quale risulta proprio dalla parte di motivazione che ha negato la
fondatezza dell’eccezione di giudicato; proprio le considerazioni in fatto svolte su
tale punto della decisione avrebbero imposto argomentazioni specifiche per le varie
sentenze, suscettibili di render conto dei termini dei singoli ragionamenti logicogiuridici che hanno condotto alla reiezione della richiesta per tutti i precedenti.

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20

Il secondo motivo è inammissibile perché diverso da quelli consentiti (e
significativamente la censura rivolta alla motivazione sul punto è di
‘inadeguatezza’). In realtà la Corte di Catanzaro ha specificamente spiegato perché
l’assoluzione dal reato associativo non avesse determinato l’esclusione
dell’aggravante, escludendo un coinvolgimento nell’azione solo ‘per conoscenza
personale’, espressamente indicando le ragioni di fatto che imponevano la
conclusione della sua sussistenza in diritto (p. 304)
Il quarto motivo è inammissibile perché nuovo e articolato su aspetti in fatto
che non possono essere valutati per la prima volta in questa sede di legittimità.
A giudizio del Collegio è invece fondato il terzo motivo. La Corte distrettuale
ha allo stato motivato in modo intrinsecamente contraddittorio ed in realtà anche
apparente il punto della decisione relativo alla richiesta continuazione tra la
consumazione di questo reato e di quello oggetto della sentenza 31/2005 del GIP di
Catanzaro.
Infatti, dapprima ha richiamato il contenuto di quella sentenza per sostenere
(e in termini determinanti nell’economia logica della propria motivazione) che la
collaborazione di MELLINO con VRENNA nell’episodio non avveniva a titolo di mero
rapporto personale tra i due ma costituiva estrinsecazione di un collegamento
stabile anche rispetto all’attività dell’associazione. Poi ha sostanzialmente affermato
l’episodicità delle eterogenee condotte illecite, ricollegate ad iniziative del singolo
che dà con esse attuazione alla propria permanente propensione al crimine in
materia di stupefacenti. Ma questo secondo apprezzamento è sorretto da
motivazione che risulta solo apparente perché assertiva, a fronte di quanto appena
argomentato sui collegamenti con VRENNA e l’associazione anche in materia di
stupefacenti. Tale assertività determina anche la contraddizione dell’argomentare,
posto che le due affermazioni successive, pur afferendo punti diversi della
decisione, allo stato si risolvono in ricostruzioni in fatto la cui compatibilità non è
comprensibile, comunque non essendo sorretta da alcuna argomentazione specifica
che la sostenga.
Sul punto, pertanto, si impone l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio

14.1 MERCURIO GIUSEPPE (avv. Camposano e Barbuto)
Va premesso che al MERCURIO erano stati contestati due delitti:
. (capo 1 A) il concorso esterno alle cosche mafiose operanti in Crotone e
Papanice in particolare in occasione delle elezioni comunali dell’anno 2006
richiedendo ed ottenendo da parte dagli appartenenti a tali cosche RUSSELLI
ANTONIO FRANCESCO, PETTINATO SALVATORE, BUMBACA DOMENICO e PACENZA
GIACOMO appoggio elettorale, anche attraverso attività di pressione ed
intimidazione in prossimità dei seggi elettorali; promettendo una volta eletto di
attivarsi a favore della consorteria criminale per la realizzazione del progetto
turistico denominato Europaradiso, ponendo in essere attività amministrative tese a

sensi dell’art. 606.1 lett. E c.p.p.). La Corte distrettuale ha risposto puntualmente
sul punto della decisione ‘attaccato’ dal motivo, argomentando specificamente le
ragioni della giudicata attendibilità dei collaboratori in risposta alle censure
difensive (p. 302 e 303), anche con riferimento all’episodio specifico (p. 303). Il
riferimento ad assoluzione dell’imputato in altro processo (p. 15 ric.) è nuovo (non
risultando dedotto per il suo apprezzamento di merito al Giudice d’appello) e
insuperabilmente generico, svolgendo deduzioni sulla formula assolutoria ma non
sulle ragioni della decisione e su sue determinanti conseguenze in questo processo.
In definitiva le deduzioni difensive si risolvono in censure di merito
all’apprezzamento del materiale probatorio.

21

favorire gli affari illeciti della cosca e condizionando l’attività amministrativa del
consiglio comunale e degli uffici dirigenziali e politico-amministrativi di Crotone,
nonché avendo fatto da consapevole e attivo intermediario tra l’imprenditore
PRISTERA’ e appartenenti alla cosca papanice di RUSSELLI PANTALEONE dopo
danneggiamenti, perché il primo versasse ai secondi 12.000 euro, destinati in parte
anche alla cosca crotonese, per ottenerne la protezione (in relazione all’episodio
PRISTERA’, MERCURIO era imputato originariamente anche del delitto di concorso
nella relativa estorsione di cui al capo 20);
. (capo 1 A ter) il reato di cui agli artt. 81 c.p., 86 dPR 570/1960, 1 legge
108/1968 e 7 legge 203/1991, per essersi accordato con esponenti di vertice della
cosca Megna e del clan VRENNA-CORIGLIANO-BONAVENTURA (capo 1 A) in cambio
dei voti, effettivamente poi ottenuti da appartenenti alla cosca e da altri elettori in
occasione delle stesse elezioni comunali del 2006, per appoggiare la realizzazione
del progetto Europaradiso, condotta poi mantenuta (e indicata come consumata
fino alla data odierna).
Il Tribunale di Crotone lo assolveva dal reato di cui al capo 1 A (e appunto dal
capo 20) per non aver commesso il fatto e lo condannava per il reato di cui al capo
1 A ter limitatamente all’ipotesi di cui all’art. 86, riconosciuta l’aggravante dell’art.
7. Secondo il Tribunale (p. 451-453), dall’istruttoria dibattimentale era emersa la
sussistenza del consapevole patto preelettorale, ma non anche la produzione
successiva di concreti vantaggi per le consorterie, rimanendo irrilevanti (al fine
della configurazione del concorso esterno) la mera pur manifestata disponibilità
successiva alla elezione a consigliere comunale a dar seguito agli accordi;
dall’episodio estorsivo in danno di Pristerà MERCURIO andava assolto, essendo
risultato il primo contatto iniziativa della vittima e non risultando provato un suo
ruolo attivo nella gestione dello stesso. Quanto al capo 1 A ter, era invece provato
che MERCURIO aveva promesso vantaggi a membri delle cosche per ottenerne
l’appoggio elettorale, essendo consapevole di agire anche allo scopo di favorire
l’attività di tali enti delinquenziali, per il tramite dei vantaggi promessi, consistenti
nell’assegnazione di appalti relativi alla realizzazione del progetto Europaradiso e,
nel medesimo contesto, all’acquisto di terrenti a destinazione agricola per la
rivendita in edificabile.
La Corte d’appello confermava nei termini la condanna.
Questi dunque i motivi del ricorso:
1-. Mancanza o illogicità manifesta della motivazione in relazione al capo 1 A
ter, con riferimento all’applicazione in concreto dell’art. 192.3 c.p.p., in particolare
sul punto del mancato riscontro del contenuto dell’incontro tra il ricorrente,
RUSSELLI FRANCESCO e il collaboratore BUMBACA, riferito solo da quest’ultimo,
non essendo tale né l’impegno oggettivamente prestato dal RUSSELLI per
sostenere, nella versione difensiva, solo una persona amica da molti anni, né la
dichiarazione di MARINO su un incontro tra malavitosi al quale MERCURIO avrebbe
fatto giungere un proprio messaggio sulla natura dei terreni potenzialmente
interessati all’affare Europaradiso; queste dichiarazioni sarebbero anche state
oggetto di specifico travisamento, in relazione alla detenzione in atto di
PANTALEONE RUSSELLI, posto agli arresti domiciliari solo dopo le elezioni del 2006,
ed al loro riferimento al generico apporto di sostegno elettorale e non all’accordo
asseritamente intercorso nell’incontro indicato da BUMBACA. Il ricorrente esamina
quindi il contenuto di alcune conversazioni intercettate e il rilievo dato alla vicenda
dell’imprenditore Pristerà, per contestarne l’interpretazione dei Giudici del merito,
evidenziando la successiva opposizione del ricorrente, dopo l’elezione, al progetto
edificatorio come prova logica della tardivamente acquisita consapevolezza dello
spessore criminale dei componenti del clan;

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2-. Erronea applicazione e carenza di motivazione in relazione al reato di cui
al capo 1 A ter, ex art. 86 dPR 570/60, in particolare sul punto della prova che i
soggetti attivati da MERCURIO fossero effettivamente elettori della circoscrizione di
sua candidatura;

4-. Nullità della sentenza, ex artt. 521 e 522 c.p.p., per l’intervenuta
condanna ai sensi del capo 1 A ter anche ai sensi dell’art. 7 legge 203/1991 mai
formalmente contestata, neanche suppletivamente, perché dalla descrizione in fatto
del capo non emergerebbe alcun riferimento alla finalità di sostegno del gruppo
ROSSELLI, non essendo condivisibile il rilievo della Corte distrettuale sulla
necessaria lettura congiunta con il capo 1 A, stante la relativa assoluzione,
comunque in tal caso dovendo la sussistenza essere valutata alla luce della sola
condotta di supporto all’iniziativa edificatoria;
5-. Erronea applicazione della legge penale e vizi alternativi della motivazione
in relazione alla ritenuta sussistenza, quanto al capo 1 A ter, dell’aggravante ex art.
7, per la genericità del preteso accordo, né serio né concreto alla luce della stessa
imputazione; la motivazione neppure avrebbe spiegato quale effetto agevolativo
sarebbe in concreto derivato alla cosca dall’accordo elettorale, ciò essendo stato
escluso dallo stesso Tribunale con l’assoluzione, essendo insufficiente l’accordo in sé
e dovendosi condividere l’interpretazione giurisprudenziale che fa coincidere
l’attività di agevolazione prevista dall’aggravante con l’attività del concorrente
diretta ad avvantaggiare l’associazione. Esclusa l’aggravante, il reato sarebbe
prescritto;
6-. Vizi alternativi della motivazione in ordine all’elemento psicologico della
stessa aggravante: la motivazione sul punto sarebbe “incongruente” essendo
irrilevanti le conoscenze successive non per sé incompatibili con l’inconsapevolezza
al momento del preteso accordo ed avendo i Giudici d’appello trascurato i dati della
risalente amicizia tra Francesco RUSSELLI e MERCURIO, dell’assenza di precedenti
dei soggetti frequentati fino a prima delle elezioni, della frequentazione di costoro
con esponenti delle forze di polizia, dell’attivazione successiva di MERCURIO contro
il progetto del megavillaggio e della sua attivazione solidale con l’imprenditore
Pristerà. In particolare, erroneamente il riferimento a `Ciccio’ contenuto
Ciccio/consigliere PD Sulla e non Mercurio
7-.
Vizi della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio
(quantificazione della pena e diniego delle attenuanti generiche), destinatario di
mere clausole di stile a fronte della fissazione di pena nel massimo edittale,
dell’incensuratezza e della condotta istituzionale appunto successivamente contraria
al progetto, con disparità di trattamento rispetto a soggetti autori di reati più gravi.
Con motivi aggiunti depositati il 13 giugno 2013 (avv. Barbuto e D’Ascola)
sono state svolte, a sostegno dei motivi originari, deduzioni relative all’omesso
confronto con le censure d’appello, con mera reiterazione della prima motivazione;
all’essere intervenuta condanna per fatto diverso da quello solo contestato (relativo
all’operazione Europaradiso); alla configurabilità non di accordo corruttivo, ma di
mero scambio di impegni penalmente irrilevante; a vizi di motivazione nella

3-. Erronea applicazione degli artt. 15 e 416 bis c.p. anche in relazione all’art.
86 dPR 570/60 e all’art. 7 legge 203/91. Il ricorrente svolge deduzioni a sostegno
della configurabilità nel caso di specie di un concorso apparente di norme, sicchè
l’assoluzione dal reato associativo e dal concorso esterno nello stesso avrebbe
assorbito la residua imputazione di legge speciale, stante la medesima condotta
contestata in fatto nei due capi di imputazione;

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valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori MRINO e BUMBACA; all’inidoneità
degli elementi in fatto indicati a sostenere la prova del dolo della contestata
aggravante, per la loro valenza neutra.

Il primo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Anche in
questo caso il ricorso contiene dettagliate censure in fatto non presenti nell’atto
d’appello (così l’esame di talune conversazioni telefoniche, quali quella per l’incarico
di assessore; si confrontino le pagine 7 e 8 dell’atto d’appello con quelle da 8 a 12,
in particolare 9, dell’atto di ricorso). Sul punto, pertanto, non vi sono censure di
ordine logico alle risposte della Corte distrettuale rispetto a specifiche deduzioni in
fatto tempestivamente rivoltele con l’atto d’appello, ma vi sono deduzioni che
introducono con immediatezza, e per la prima volta, doglianze alla ricostruzione del
fatto ed alla valutazione di merito del materiale probatorio. Il che (come
argomentato in via generale nei precedenti paragrafi 2.2.2.1, 2.2.2.2, 12.2.1)
qualifica il motivo come diverso da quelli consentiti in sede di legittimità. Quanto al
resto, la Corte d’appello ha dato risposte articolate e non manifestamente
incongrue ai dati probatori richiamati, spiegando perché i contatti riferiti dovevano
intendersi pertinenti le elezioni del 2006 (p. 311-313); la ricostruzione dell’apporto
di voti per sostenere ‘un vecchio amico’ piuttosto che per contribuire ad eleggere
qualcuno che si impegnava, in relazione all’intero contesto operativo del complesso
Europaradiso, ad agevolare gli interessi del clan attiene al mero fatto e, sul punto,
vi è duplice conforme valutazione di entrambi i Giudici del merito.
Il secondo motivo prospetta deduzioni che nelle loro premesse in fatto sono
totalmente nuove rispetto a quelle contenute nell’atto d’appello e, in particolare, nel
motivo che trattava il tema del contenuto dell’accordo elettorale (p. 9-16),
risolvendosi in censura alla ricostruzione del fatto diversa da quelle consentite.
Il terzo motivo è infondato. Esso è oggettivamente nuovo, rispetto ai punti
della decisione soli ‘attaccati’ dall’atto di appello. E’ vero che ogni questione di
diritto può ovviamente essere proposta anche per la prima volta in sede di
legittimità (ex art. 609.2 c.p.p.), ma ciò è possibile nei limiti dell’attinenza che la
questione di diritto assume rispetto alla ricostruzione in fatto operata dai Giudici del
merito. E la Corte distrettuale ha, sul punto, argomentato specificamente (p. 319)
sulla distinzione tra il reato ex 416 bis c.p. (anche nella fattispecie del concorso
esterno) e quello ex art. 86 dPR 570/60, evidenziando come nel nostro caso
l’assoluzione dal concorso nel delitto associativo fosse intervenuta perché, pacifica
la consumazione della condotta che integra il reato speciale, tuttavia non vi fosse
prova che all’accordo preliminare (per sé integrante quel reato) avesse fatto seguito
una condotta di ulteriore effettiva sua concretizzazione (nei termini insegnati da SU
sent. 33748/2005).
E’ pertanto del tutto evidente che, nella ricostruzione in fatto operata dai due
Giudici del merito, la porzione di condotta attribuita al MERCURIO mantiene
autonoma rilevanza penale.
Del resto, ‘corruzione elettorale’ del singolo (che si consuma già al momento
dell’offerta o della promessa, essendo irrilevante ogni eventuale riserva mentale:
Sez. F. sent. 32825/2011) e partecipazione (anche esterna) ad associazione di tipo
mafioso che abbia tra le sue finalità anche quella di impedire o ostacolare il libero
esercizio del voto ovvero di procurare voti a sé o ad altri in occasioni elettorali sono
fatti/condotte/contesti del tutto diversi, rispetto ai quali non è configurabile alcuna
‘specialità’ ex art. 15 c.p. (sulla distinzione tra partecipazione all’associazione,
anche nella forma del concorso esterno, e scambio elettorale politico-mafioso ex

14.2
Il ricorso è infondato.

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Anche il quarto motivo è nuovo e, conseguentemente, la censura proposta è
innanzitutto tardiva, il che è assorbente. Lamenta infatti per la prima volta in
questa sede di legittimità il ricorrente che l’originario capo di imputazione 1 A ter
contenesse un’irrituale contestazione della circostanza aggravante ex art. 7 legge
203/1991. Osservato che l’originario capo di imputazione indicava espressamente
tale norma, si manifesta assorbente il rilievo che l’atto di appello conteneva sul
punto della giudicata sussistente circostanza aggravante ex art. 7 solo una censura
in fatto sulla dedotta mancanza del necessario elemento psicologico, per l’asserita
mancata conoscenza della qualità delinquenziale dei soggetti con cui l’accordo
preelettorale era intervenuto (motivo quinto atto d’appello, comunque pagine 3, 22,
23, 31, 32). Vi è stata quindi piena accettazione del contraddittorio sul punto della
contestata e ritenuta aggravante, con piena ed efficace difesa nel merito, sicché le
odierne censure formali sulle modalità dell’originaria contestazione sono
insuperabilmente tardive, ogni ipotizzabile nullità a regime intermedio (ipotizzata
dalla prospettazione difensiva) non potendo più essere eccepita e dedotta in questa
sede.
Il quinto motivo è in parte infondato ed in parte diverso da quelli consentiti.
La Corte distrettuale ha spiegato che, secondo le fonti probatorie indicate (p. 309317) l’accordo relativo all’operazione del villaggio turistico Europaradiso riguardava
non una generica conferma, a singoli interessati, della pubblica prospettazione
‘politica’ di un programma elettorale per una determinata iniziativa ma, con
riferimento proprio a quella determinata iniziativa ‘pubblica’, la piena “propria
disponibilità all’inquinamento delle procedure amministrative dirette
all’aggiudicazione dei connessi appalti e … alla modificazione delle prescrizioni di
piano regolatore” in relazione a terreni con destinazione agricola rispetto ai quali le
cosche potevano acquisire la gestione. In sostanza, contenuto dell’accordo erano, in
relazione alla pubblicamente annunciata iniziativa imprenditoriale/urbanistica, i
vantaggi derivanti dall’inquinata realizzazione delle opere funzionali ed i profitti da
compravendite di terreni articolate rispetto ai tempi ed alle decisioni di modifica
delle destinazioni urbanistiche. Da qui l’insussistenza, per il Giudice di secondo
grado, di alcuna intrinseca contraddizione tra la proposta di natura politica,
generale e pubblica, e l’accordo in relazione ai vantaggi ottenibili dall’influenza sulle
concrete modalità per perseguire il risultato di quella proposta ‘politica’. Si tratta di
apprezzamento di merito che, conforme a quello del primo Giudice dopo il
dichiarato confronto con l’essenza dei motivi d’appello sul punto, risulta non
palesemente incongruo ai dati probatori richiamati e comunque sorretto da
motivazione non apparente né manifestamente illogica o contraddittoria, non
competendo a questa Corte suprema un’ulteriore diversa valutazione del materiale
probatorio.
Né l’aver valorizzato anche per il capo 1 A ter la promessa per l’operazione
Europaradiso come qualificata dalle specificazioni ad essa relative indicate nel capo
1 A (con i relativi aspetti che, come ricordato, già il Tribunale ha giudicato provati e
sussistenti ancorché inidonei a configurare il delitto di partecipazione associativa
pur nella forma del concorso esterno) risulta contrastare con la lettera dei capi di
imputazione e con il senso logico dei relativi contenuti. Invero, il capo 1 A associa la

art. 416 ter c.p., nonché sul loro possibile concorso: Sez.6, sent. 43107/2011; sulla
distinzione tra l’art. 416 ter c.p. ed i reati previsti dalle leggi elettorali: Sez.6, sent.
18080/2012; Sez.1, sent. 27655/2012). Né sussiste alcuna contraddizione in diritto
tra l’esclusione della partecipazione (o del concorso esterno) all’agire associativo e
la contestazione dell’aggravante ex art. 7 legge 203/91, i fini personali (avere
sostegno per la propria candidatura) e quello di agevolazione della cosca essendo
tra loro non incompatibili ma convergenti e sinergici (Sez. F. sent. 32825/2011).

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25

Da ultimo, la stessa giurisprudenza richiamata dal ricorrente in realtà conforta
le conclusioni in diritto della Corte d’appello, laddove indica l’incompatibilità della
circostanza aggravante dell’art. 7 solo nel caso in cui sia affermata anche la
sussistenza della partecipazione associativa o del concorso esterno nella condotta
associativa, mentre quando questa venga esclusa, come nella fattispecie ha fatto il
Tribunale, del tutto legittima è la configurabilità per il singolo reato non associativo
(così Sez. 4, sent. 2100/1997 ha escluso la configurabilità nel caso di concorso tra
plurimi favoreggiamenti giudicati tuttavia espressione della partecipazione
associativa, riconoscendola legittima per il caso del singolo favoreggiamento; Sez.1
sent.26609/2011 ha escluso l’aggravante in un caso in cui era intervenuta
condanna per il delitto associativo).
Il sesto motivo è in parte infondato ed in parte diverso da quelli consentiti. La
Corte d’appello ha richiamato conversazioni immediatamente precedenti le elezioni
e poi successive, spiegando che i rapporti comprovati da queste costituivano (per
tempi, soggetti e contenuti) riscontro immediato delle narrazioni dei collaboratori e
smentivano le riduttive spiegazioni fornite dall’imputato su tempi e numero degli
incontri con taluno di essi. In particolare, sul punto relativo alla conversazione del
dover render conto a ‘Ciccio’ (Francesco Russelli secondo i Giudici del merito, il
segretario del PD, partito per cui si era candidato MERCURIO, secondo il ricorrente)
va osservato che entrambi i Giudici del merito hanno fatto in realtà riferimento a tre
conversazioni (la n. 89 di cui è trascritto appunto il testo, e le numero 96 e 3395,
indicate a riscontro dell’indicazione di Ciccio nel Russelli: se effettivamente la Corte
d’appello non si è espressamente confrontata con la deduzione difensiva
prospettata nell’atto d’appello (p. 29 app.) va rilevato che questa era prospettata in
termini assertivi e con riferimento alla sola conversazione n. 96: e in questi limitati
termini la questione è riproposta nel ricorso, mancando confronto con la
conversazione 3395, citata nella sentenza del Tribunale e ancora in quella d’appello.
Riconosciuto comunque dallo stesso ricorrente che il punto non è determinante
nella prospettazione difensiva, in ragione del non negato appoggio di Francesco
Russelli al MERCURIO (tuttavia solo ‘amicale’ secondo il ricorrente), occorre allora
constatare che la Corte d’appello a p. 317 e 318 si è espressamente confrontata
con la tesi difensiva (l’appoggio solo amicale e l’ignoranza di MERCURIO sulla
caratura criminale delle persone con cui si accordava, conosciuta solo dopo le
elezioni; i dati formali dell’incensuratezza e della mancanza di precedenti cautelari o
di prevenzione dei soggetti coinvolti nell’accordo e nel successivo appoggio
elettorale) disattendendola con motivazione specifica, articolata, non palesemente
incongrua al materiale probatorio richiamato, in sé immune dai vizi di manifesta
illogicità e contraddittorietà. Sicchè la rinnovata prospettazione della medesima
lettura alternativa si risolve in censure di merito volte a preclusa rivalutazione
dell’intero materiale probatorio.

promessa di attivazione per la realizzazione del progetto turistico Europaradiso a
determinate condotte che, specificamente, la concretizzano; il capo 1 A ter richiama
espressamente il capo 1 A per l’individuazione dei soggetti dell’accordo e, poi,
indica come condotta l’appoggio alla realizzazione del progetto Europaradiso, qui
senza alcuna specificazione ulteriore. Correttamente la Corte di Catanzaro ha
escluso la sussistenza di alcuna violazione del principio del contraddittorio,
interpretando il rapporto tra i due capi di imputazione, e il loro contenuto, in termini
tutt’altro che assertivi o manifestamente illogici o contraddittori. Risulta invero del
tutto evidente, sul piano logico ed anche alla luce del letterale richiamo del
precedente capo di imputazione quanto ai soggetti dell’accordo, che l’accordo cui i
due capi di imputazione fanno riferimento è il medesimo, che viene originariamente
valorizzato con una duplice lettura giuridica.

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15.1 MONTI FRANCESCO (avv. Aricò e Laratta)
Erronea applicazione degli artt. 192 e 195 c.p.p. e manifesta illogicità della
motivazione, in ordine:
. alla ritenuta convergenza delle dichiarazioni dei collaboratori MARINO e
BONAVENTURA (anche con omessa motivazione sulle specifiche censure d’appello
riproposte alle p. 3-6 del ricorso, in particolare sulla diversità nel tempo del
contenuto delle affermazioni di MARINO nei confronti del ricorrente, sull’esclusione
della sua individuazione nel soggetto soprannominato il bandito, sui contenuti delle
attività delittuose attribuitegli e sull’assenza di azioni comuni riferita da
BONAVENTURA),
. all’utilizzazione del verbale di sequestro 26.3.2008 e delle dichiarazioni
dell’ispettore MASCOLO sul punto della riferibilità all’imputato della disponibilità
attuale del magazzino nel quale fu rinvenuto in data 26.3.2008 lo stupefacente (con
altro materiale di provenienza furtiva), nonostante si trattassero di dichiarazioni
contenute in verbale (e quindi non parte irripetibile dell’atto di polizia giudiziaria) e
di operatore di polizia che non aveva partecipato all’accertamento (tanto che
l’esame degli effettivi verbalizzanti era stato sollecitato dallo stesso pubblico
ministero ai sensi degli artt. 195 o 507 c.p.p., all’atto dell’eccezione difensiva in
primo grado); sullo stesso punto, la Corte d’appello non avrebbe poi tenuto conto
delle dichiarazioni del teste BRUTTO.
15.2
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Va preliminarmente escluso ogni rilievo del richiamo difensivo alle
dichiarazioni del teste BRUTTO, trattandosi di aspetto in fatto non tempestivamente
devoluto al Giudice d’appello.
E’ invece condivisibile la doglianza del ricorrente per la mancata risposta della
Corte di Catanzaro alle censure puntuali ed articolate che l’atto d’appello conteneva
in relazione all’attendibilità specifica dei collaboratori sulla posizione di FRANCESCO
MONTI.
Va evidenziato che le deduzioni difensive d’appello riguardavano non, come
per la maggior parte degli altri ricorsi, critiche all’attendibilità intrinseca dei
collaboratori MARINO e BONAVENTURA o all’assenza di adeguati riscontri esterni
alle loro dichiarazioni, bensì incongruenze interne alle specifiche dichiarazioni
riguardanti questo imputato. Deduzioni specifiche che avrebbero dovuto ricevere
risposta puntuale (essendo indubbio che l’obbligo di motivazione del Giudice
d’appello assume connotati più stringenti quanto più accuratamente l’appellante
assolve l’onere di specificità dei motivi che l’art. 581 c.p.p. gli impone, a pena di
inammissibilità dell’impugnazione).
La Corte ha poi in realtà omesso anche la risposta relativa all’utilizzabilità
delle dichiarazioni del teste MASCOLO.

Il settimo motivo è inammissibile perché diverso da quelli consentiti. Sui punti
della decisione afferenti la quantificazione della pena e il diniego delle attenuanti
generiche vi è specifica motivazione della Corte d’appello (p. 320), da cui si evince
l’autonoma rivalutazione di entrambi, con rinnovato apprezzamento di merito
sorretto da motivazione non apparente ed immune dai soli ulteriori vizi rilevanti ai
sensi dell’art. 606.1 lett. E c.p.p. (manifesta infondatezza ed intrinseca
contraddittorietà): sicché anche in questo caso le doglianze in ricorso si risolvono in
sollecitazione a preclusa rivalutazione del contenuto di merito di tale
apprezzamento.

27

La questione dedotta riguardava la non utilizzabilità delle due prove
considerate dal primo Giudice per attribuire a MONTI il compossesso dello
stupefacente rinvenuto in un determinato garage, ai sensi degli artt. 191 e 195
c.p.p.: le dichiarazioni del teste, perché non aveva partecipato alla perquisizione; il
verbale di perquisizione e sequestro con data 26.3.2008, perché da considerarsi
atto irripetibile in ordine all’indicazione del MONTI da parte del proprietario
dell’immobile, non esaminato nel processo.
La Corte d’appello indica MASCOLO come sottoscrittore dell’informativa di
reato, ma ciò che era in discussione era la sua partecipazione o meno all’attività,
anche documentale, relativa allo specifico atto di perquisizione e sequestro (tant’è
che il pubblico ministero aveva chiesto l’esame degli operanti ex art. 195 ovvero
507 c.p.p.: circostanza dedotta nell’atto d’appello e non contrastata in fatto dalla
Corte distrettuale). La stessa Corte valorizza le dichiarazioni del teste prima come
riscontro esterno individualizzante (p.325) delle affermazioni dei collaboratori
MARINO e LUIGI BONAVENTURA in ordine al reato associativo, poi come elemento
di prova, insieme al ricordato verbale, quanto al reato di cui al capo 80, indicando
MONTI come soggetto che aveva in locazione l’immobile dove i beni di provenienza
furtiva erano stati rinvenuti.
Appare pertanto evidente che il tema dell’utilizzabilità delle due prove, quanto
alla posizione di MONTI e ad entrambi i reati, era essenziale (non essendovi
motivazione sull’autosufficienza delle dichiarazioni dei collaboratori, comunque allo
stato oggetto di valutazione viziata per quanto prima indicato).
Conseguente è l’annullamento con rinvio per nuovo integrale giudizio sulla
posizione di questo ricorrente.
Il Giudice del rinvio si confronterà con le eccezioni difensive verificando anche
una circostanza che, negata da uno dei difensori all’odierna udienza, risulterebbe
invece dalla lettura combinata della sentenza d’appello e dei motivi della
precedente impugnazione.
Invero, la sentenza d’appello indica in De Vona Mario il proprietario del garage
che avrebbe a verbale indicato MONTI come locatario. L’atto d’appello, a p. 3,
ricorda che Devona Mario era stato indicato come teste dalla difesa che, dopo la sua
mancata presentazione a seguito di due rituali citazioni, vi aveva rinunciato
chiedendo la revoca della relativa ammissione. Valuterà il Giudice del rinvio anche
l’eventuale rilevanza di tale rinuncia, ove effettivamente risultante dagli atti, nel
contesto della trattazione dell’eccezione afferente l’utilizzazione delle sue
dichiarazioni.

16.1 MURGERI FRANCESCO (avv. Nigro)
1- e 2-. I primi due motivi, unici pertinenti la posizione di questo ricorrente
nel comune atto di ricorso in cui la sua posizione è oggetto di impugnazione, sono
comuni a quelli esposti trattando la posizione del coimputato BASTA.
16.2
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Non possono che richiamarsi le argomentazioni già svolte sub 3.2, per la
deliberazione di inammissibilità di entrambi i motivi.

17.1 PAGLIA MICHELE (avv. Cantafora e Truncè)
Premesso che il ricorrente era all’epoca un assistente capo della polizia
penitenziaria, originariamente imputato di partecipazione ad associazione mafiosa,
condannato in primo grado per concorso esterno e, in appello, prosciolto per

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15644/13 RG

28

prescrizione dopo la riqualificazione in favoreggiamento personale della condotta
ascrittagli relativamente all’episodio narrato dal collaboratore Angelo Salvatore
CORTESE (avere informato costui, tramite altro detenuto in isolamento, Pantaleone
RUSSELLI, dell’esistenza di una microspia nella cella) e invece assolto perché il
fatto non sussiste relativamente a un secondo episodio (descritto dal collaboratore
MARINO), a mezzo dei propri difensori PAGLIA enuncia motivi di:

2-. Violazione degli artt. 533.1, 597.1 c.p.p. e 378 c.p., in relazione alla
mancata risposta sulla questione, specificamente dedotta dall’atto di appello (p.8) e
ricordata dalla stessa Corte distrettuale dando conto dei motivi d’appello a p. 375,
dell’assenza di ogni prova dibattimentale circa l’effettiva presenza nella cella di
isolamento in uso a CORTESE della ‘cimice’ attiva nell’intercettazione, ‘cimice’
oggetto e presupposto indefettibile dell’imputazione; aspetto da ritenersi
essenziale, tanto da aver portato la Corte non solo ad assolvere il ricorrente
dall’altro episodio (riferito da MARINO) perché il comandante della polizia
penitenziaria aveva escluso l’esistenza in atto di intercettazioni ambientali in quel
momento, ma anche ad attribuire specificamente a PAGLIA la qualifica di
millantatore (p. 381). Da qui, per il ricorrente, nell’attuale assenza di prova
sull’esistenza in atto dell’intercettazione per CORTESE, un inevitabile ragionevole
dubbio sulla sussistenza del fatto come ritenuto dai Giudici d’appello;
3-. Inosservanza dell’art. 195.3 c.p.p., per l’omessa risposta della Corte
d’appello al motivo relativo alla mancata conferma da parte del RUSSELLI di quanto
riferito da CORTESE;
4-. Violazione degli artt. 125.3 e 192.1 c.p.p., motivazione inesistente e
illogica, sul punto dell’avere PAGLIA incaricato RUSSELLI di informare CORTESE
dell’esistenza della microspia, anziché semplicemente riferire al solo RUSSELLI la
circostanza.
17.2
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile perché, a fronte di specifica motivazione della
Corte distrettuale sul punto (p. 381), la doglianza si risolve in censura di merito.

Gli altri tre motivi sono inammissibili, nei termini che seguono.
Essi si caratterizzano per la proposizione di tre diverse censure di vizi della
motivazione. Ma essendo il reato per cui si procede già stato dichiarato prescritto, il
giudizio di rinvio non potrebbe provvedere ad alcuna rivalutazione e, tantomeno, ad
alcuna ulteriore attività probatoria anche se ritenuta necessaria (ad esempio in
ordine a verifiche sull’esistenza di impianti di intercettazione in effettivo attuale
funzionamento).
Come infatti insegna la consolidata giurisprudenza di questa Corte suprema,
in presenza di una causa di estinzione del reato (tra cui vi è certamente la
prescrizione), non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della
sentenza impugnata dal momento che il rinvio, da un lato, determinerebbe
comunque per il giudice l’obbligo di dichiarare immediatamente la prescrizione,
dall’altro, sarebbe incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di
proscioglimento (per tutte SU, sent. 35490/2009).

1-. Erronea applicazione degli artt. 192.3 e 597.1 c.p.p., in relazione alla
credibilità attribuita a CORTESE, smentito invece nella sua narrazione dalla
peculiare conformazione dei luoghi;

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Né sussistono le condizioni per l’immediato proscioglimento nel merito: non
solo vi è un duplice conforme apprezzamento contrario dei primi due Giudici, ma in
definitiva è lo stesso ricorrente a riconoscerlo, quando invoca l’applicazione del
principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, ad attestare l’assenza, allo stato, di
alcuna ‘evidenza’ di determinante prova favorevole.

18.1 PENNISI GIANLUCA
Due i ricorsi presentati nel suo interesse.

3-. Erronea applicazione dell’art. 81 c.p., rispetto ai reati di cui alla sentenza
GIP di Catanzaro confermata dalla stessa Corte d’appello in data 23.2.2010, e
motivazione contraddittoria, perché l’aver ritenuto sussistente la circostanza
aggravante di cui all’art.7 legge 203/91 per i vari episodi sarebbe appunto
contraddittorio con la contestuale esclusione del medesimo disegno criminoso, in
ragione dell’estraneità all’associazione, proprio tale costante aggravante indicando
invece l’unitarietà dei vari apporti. Anche la diversità delle armi usate nei reati di
cui alle due sentenze sarebbe irrilevante, solo escludendo questioni di bis in idem,
mentre le valutazioni della sentenza appellata contrasterebbero con quelle
contenute nella sentenza 133/2010 della stessa Corte d’appello e con il relativo
capo di imputazione.
18.1.2 (avv. Ventura)
1-. Violazione di legge e vizi della motivazione in relazione alle dichiarazioni
dei collaboratori, perché la sentenza d’appello avrebbe recepito acriticamente la
veridicità delle stesse, ignorando l’alta probabilità di un loro risentimento contro
l’imputato.
La motivazione sarebbe poi ‘insufficiente’, carente e comunque ‘non adeguata’
sui punti della ragione delle collaborazioni e dei rapporti tra chiamanti ed imputati,
sulla credibilità intrinseca, sull’autonomia delle fonti e sui riscontri esterni
individualizzanti;
2-. Violazione di legge e vizi della motivazione sul punto del diniego della
continuazione, con intrinseca contraddittorietà tra l’aver ritenuto la continuazione
tra i reati 39, 40, 69, 70 (danneggiamento e rapina, con armi e art. 7 legge
203/91, consumati a distanza di sei anni tra loro) ed averla invece esclusa tra
questi e il reato in materia di armi della sentenza 133/2010, pur essendo stata tale
sentenza utilizzata per confortare il quadro probatorio e la sussistenza
dell’aggravante speciale in questo processo: in definitiva, o tutte le condotte
sarebbero state occasionali ovvero tutte avrebbero dovuto essere sussunte
nell’unico disegno criminoso, che vede PENNISI ‘armiere’ detentore e custode,
nonché dedito a danneggiamenti ed estorsioni con armi;
3-. Medesimi vizi per il diniego delle attenuanti generiche.
18.2
Per i primi due motivi del primo ricorso rilevano le argomentazioni svolte sub
3.2 trattando i comuni motivi del coimputato BASTA, con la loro conseguente
inammissibilità.

18.1.1 (avv. Nigro)
1- e 2-. I primi due motivi sono comuni a quelli esposti trattando la posizione
BASTA;

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Il terzo motivo del secondo ricorso è inammissibile perché diverso da quelli
consentiti, a fronte di specifica motivazione della Corte d’appello sul punto (p. 397)
risolvendosi in mera censura di merito.
I motivi sulla continuazione sono invece fondati nei termini che seguono.
Il Tribunale di Crotone ha giudicato sussistente il medesimo disegno criminoso
tra i delitti ascritti al PENNISI in questo processo (capi 39 e 40, 69 e 70,
riconosciuta l’aggravante ex art. 7 legge 203/1991), riunendoli nella continuazione,
perché “l’unicità del contesto nel quale venivano perpetrati gli illeciti qui in esame
consente di ritenere gli stessi avvinti nella continuazione” (p. 495). Il capo 39
riguarda un danneggiamento aggravato e il capo 40 contesta la detenzione e il
porto delle armi da sparo usate per la consumazione del danneggiamento: il fatto è
del 27.3.2006. Il capo 69 riguarda condotte di detenzione e porto di armi anche da
guerra per finalità sussumibili nell’aggravante dell’art. 7, il capo 70 contesta una
tentata rapina armata a furgone portavalori con quelle armi e quelle finalità, per
fatto tra il 31 maggio e il 1 giugno 2000.
Lo stesso Tribunale a p. 487 della propria sentenza richiamava il reato oggetto
della sentenza del GIP di Catanzaro in data 16.3.2009 per detenzione e porto di
armi anche da guerra, aggravata ai sensi della stessa circostanza aggravante ex
art.7, per fatto del 31.7.2007, richiamando quel precedente come riscontro della
disponibilità di armi da parte del PENNISI, quale riferita dai collaboratori in questo
giudizio.
Il primo Giudice del merito non risulta aver affrontato il tema del rapporto tra
i quattro reati e quello della sentenza citata. La Corte di Catanzaro, sollecitata su
tale punto, ha escluso la riconducibilità ad unico disegno criminoso di questo ultimo
episodio, argomentando di condotte occasionalmente collegate ad attività di singoli
appartenenti alla consorteria mafiosa, cui veniva dato consapevole apporto (da qui
la sussistenza dell’aggravante ex art.7), anche in ragione dell’esclusa
partecipazione di PENNISI all’associazione.
Allo stato, tenuto conto che le motivazioni delle due sentenze di merito si
saldano nell’apprezzamento dei punti oggetto della decisione, per tutto ciò che non
sia esplicitamente argomentato in modo differente dal secondo Giudice, deve
ritenersi sussistere un apprezzamento complessivamente contraddittorio, laddove
non vi è motivazione specifica sulla diversità delle conclusioni tra i reati ‘interni’ al
processo e tra questi e quello oggetto della sentenza precedente.
In particolare, e specialmente tenuto conto del certo obiettivamente rilevante
lasso temporale che intercorre tra i fatti di cui agli odierni capi di imputazione 39 e
40, da un lato, 69 e 70, dall’altro e delle ragioni indicate dal primo Giudice per
l’affermazione della tuttavia sussistente continuazione tra gli stessi, la Corte
d’appello avrebbe dovuto non limitarsi ad affermare l’occasionalità della
consumazione dell’episodio del 2007 ma spiegare perché il contesto richiamato dal

Il primo motivo del secondo ricorso è inammissibile perché generico. La Corte
d’appello ha argomentato specificamente le ragioni della ritenuta credibilità dei
collaboratori, riferendo passim le loro dichiarazioni nei punti ritenuti pertinenti
all’imputato (con richiami non manifestamente incongrui alle conclusioni di merito
poi confermate, rispetto al primo grado di giudizio: p. 286-392). Per contro, il
ricorso neppure specifica a quali collaboratori rivolge le proprie censure, mentre le
successive censure introducono aspetti in fatto non già puntualmente dedotti nei
motivi d’appello, quanto alla specifica posizione di PENNISI, sì da risultare (anche
per quanto argomentato nella prima parte del precedente paragrafo 12.2)
prospettazione generale e generica di lettura alternativa delle prove e censura
sostanzialmente di merito, che questa Corte di legittimità non può conoscere,
presupponendo una complessiva rivalutazione del materiale probatorio.

15644/13 RG

Tribunale non dovesse estendersi anche a tale episodio. In altri termini, ed anche in
questo caso, ferma l’assenza di impugnazione della parte pubblica sul punto della
decisione del Tribunale, la Corte distrettuale avrebbe dovuto o esplicitamente
dissociare il proprio apprezzamento da quello ‘interno’ del Tribunale (spiegandone le
ragioni) ovvero dare puntuale conto delle ragioni che, in esito al giudizio di merito,
portavano alle diverse conclusioni, in particolare argomentando dell’estraneità
dell’episodio del 2007 al “contesto” sinteticamente affermato dal primo Giudice.
Sussistendo allo stato un vizio di motivazione contraddittoria laddove
quell’approfondimento necessario della spiegazione è stato omesso, la sentenza
deve sul punto essere annullata con rinvio per nuovo giudizio.

19.1 VALLONE FRANCESCO
1- e 2-. I primi due motivi sono comuni a quelli esposti trattando la posizione
BASTA;
3.- Manifesta illogicità della motivazione (p. 17 ric.) e travisamento della
prova in ordine alle ritenute partecipazioni associative. In particolare, solo MARINO
lo aveva indicato come sgarrista, nessuno degli altri collaboratori aveva indicato
alcun suo specifico ruolo, l’unica imputazione rivoltagli altrove, di omicidio, lo aveva
visto assolto il 5.6.12 (dato ignoto alla Corte d’appello), rendendosi così necessario
nuovo giudizio; così pure per l’associazione in materia di stupefacenti, i testi a
difesa avendo escluso suoi collegamenti con il cugino MURGERI ed i coimputati
essendo stati assolti.
19.2
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Per i primi due motivi rilevano le argomentazioni svolte sub 3.2, trattando i
comuni motivi del coimputato BASTA, con la loro conseguente inammissibilità.
Il terzo motivo è al tempo stesso manifestamente infondato, generico e
diverso da quelli consentiti. La Corte distrettuale ha espressamente spiegato
l’ambito del contenuto della ritenuta convergenza tra le dichiarazioni di MARINO e
BUMBACA (p. 408), individuando anche uno specifico riscontro esterno a tali
dichiarazioni (p. 409), spiegando altresì le ragioni dell’irrilevanza dell’assoluzione di
soggetti accusati dell’omicidio Covelli da MARINO e BONAVENTURA nella vicenda
(p. 409 e 410) e del contenuto delle deposizioni dei ‘testi’ a difesa (p. 410). Manca
su tali punti un espresso confronto argomentativo che individui la esistenza di vizi
logici intrinseci e rilevanti ai sensi dell’art. 606.1 lett. E c.p.p. in grado di minare
questi apprezzamenti, sicché le censure del ricorso si risolvono in doglianze
sostanzialmente di merito, per sollecitare un diverso e non consentito
apprezzamento del complessivo materiale probatorio. Anche la deduzione relativa
all’affermata assoluzione in data 5.6.12 (p. 17 ric.) è caratterizzata da assoluta
genericità, tenuto anche conto del fatto che la motivazione d’appello non valorizza
affatto, in alcun modo, l’originaria pertinente imputazione.

20.1 VRENNA GIUSEPPE (avv. Fiormonti)
1-. Violazione dell’art. 133 c.p. e vizi della motivazione sui punti della
quantificazione della pena e del diniego delle attenuanti generiche.
20.2
Il ricorso è inammissibile perché il motivo è al tempo stesso generico e
diverso da quelli consentiti.

i,

31

15644/13 RG

32

21.1 ELIA SALVATORE (PARTE CIVILE, avv. Sulla)
Questo ricorrente ha articolato quattro motivi di inosservanza della legge
penale e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
sentenza, lamentando la mancata considerazione ed assunzione di prove decisive,
anche irripetibili. Ha concluso chiedendo che questa Corte suprema “condanni ex
art. 620 c.p.p.” l’imputato, riconoscendo a SALVATORE ELIA la qualifica di “vittima
di mafia” al fine di accedere al ristoro dei danni subiti.
In definitiva i quattro motivi propongono il medesimo tema: la Corte d’appello
avrebbe confermato l’assoluzione di BONAVENTURA SALVATORE dal reato
ascrittogli al capo F in danno del ricorrente, ritenendo di non poter individuare con
certezza chi nel conflitto a fuoco intercorso tra lui ed il figlio LUIGI avrebbe sparato
i colpi che hanno colpito l’estraneo SALVATORE ELIA, solo in ragione del mancato
confronto con le specifiche argomentazioni dedotte nell’atto di appello e, in
particolare, travisando il contenuto delle dichiarazioni del collaboratore MARINO e
dello stesso BONAVENTURA LUIGI (specificamente riportate e da cui emergeva con
certezza che a colpire la parte civile era stata l’arma impugnata dal BONAVENTURA
SALVATORE), ignorando il contenuto sia del certificato di registro operatorio n.
0000012 [da cui risultava che sul corpo di ELIA era stata rinvenuta l’ogiva di
proiettile di 7 millimetri, incompatibile con l’ogiva dei proiettili di pistola calibro 22,
quale quella usata nello scontro a fuoco da LUIGI (calibro da cui risultava essere
stato colpito il secondo soggetto pure estraneo) ed invece compatibile con quella
calibro 7.65 attribuita al padre SALVATORE], che degli atti di polizia specifici sul
punto, e non acquisendo utile perizia balistica e relative deposizioni sol perché
oralmente la parte pubblica ne avrebbe attestato l’inconcludenza (così violando il
diritto al contraddittorio, essendo tesi difensiva che la stessa, invece, avrebbe
definitivamente provato il rinvenimento di bossoli corrispondenti al proiettile
estratto a ELIA ed all’arma usata da SALVATORE).
Con motivi aggiunti del 18.6.2013 sono state svolte ulteriori deduzioni a
sostegno dei motivi originari.
21.2
Il ricorso è fondato, nei termini che seguono.
In questo caso, tutte le deduzioni in fatto riproposte nel ricorso erano state
specificamente ed articolatamente dedotte nell’atto d’appello.
La parte civile, in particolare, aveva argomentato il punto, essenziale nella
prospettazione della sua difesa, della corrispondenza dell’ogiva del proiettile
estratto dal corpo dell’ELIA all’arma riferita come in uso a SALVATORE
BONAVENTURA e della sua incompatibilità con la cal. 22 che aveva invece colpito
l’altro soggetto estraneo, indicando specificamente sia il materiale documentale
(conseguente agli accertamenti sanitari e di polizia) che i punti delle ritenute
convergenti dichiarazioni di MARINO e LUIGI BONAVENTURA (testualmente
riportate) che fondavano la ricostruzione offerta.
La Corte d’appello ha sostanzialmente omesso la risposta a tali deduzioni,
senza prima dare conto della corrispondenza o meno degli elementi di fatto indicati
alle risultanze probatorie acquisite e, poi, se corrispondenti, apprezzandoli nel loro

La Corte d’appello ha spiegato che la pena è stata applicata nel minimo
edittale. Quanto alle attenuanti generiche, vi è motivazione specifica sul punto e le
doglianze difensive si risolvono da un lato in sollecitazione a diverso precluso
apprezzamento di merito e dall’altro in censure generiche nell’indicazione degli
specifici criteri trascurati nella specie.

15644/13 RG

33

5

insieme. In definitiva, il Giudice distrettuale è pervenuto in modo allo stato
assertivo alla conferma dell’impossibilità di superare il principio dell’oltre ogni
ragionevole dubbio nell’attribuzione all’imputato SALVATORE BONAVENTURA della
condotta ascrittagli al capo F (p. 21).
Era invece necessaria una risposta che, a fronte di tempestive indicazioni
specifiche sul rilievo della diversità dei calibri alla luce degli esiti sanitari, di polizia,
e dichiarativi, avrebbe dovuto invece altrettanto specificamente spiegare le ragioni,
di fatto e logiche, della ritenuta infondatezza della ricostruzione dei fatti come
proposta dalla parte civile.

22. Consegue la condanna dei ricorrenti BASILE ANTONIO, MACRI’ ANTONIO
e MERCURIO GIUSEPPE, i cui ricorsi sono stati integralmente rigettati, al
pagamento delle spese processuali.
BASTA NICOLA, BONAVENTURA SALVATORE, CAVALLO FABIO, ELIA
ANTONIO, FRISENDA GIUSEPPE, MACRI’ SALVATORE, MURGERI FRANCESCO,
PAGLIA MICHELE, VALLONE FRANCESCO, VRENNA GIUSEPPE, i cui ricorsi sono stati
dichiarati inammissibili, vanno invece condannati sia al pagamento delle spese
processuali che, ciascuno, anche a quello della somma, equa ai singoli casi, di euro
1000 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Su ricorso della parte civile ELIA SALVATORE, annulla la sentenza impugnata
nei confronti di BONAVENTURA SALVATORE in relazione al capo F;
annulla la medesima sentenza nei confronti di MONTI FRANCESCO e,
limitatamente alla continuazione, di CAZZATO EGIDIO, CORIGLIANO TIZIANA,
MELLINO FRANCESCO, MELLINO GIOVANNI ALDO, PENNISI GIANLUCA, con rigetto
nel resto dei ricorsi di questi ultimi e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della
Corte di Appello di Catanzaro.
Rigetta i ricorsi di BASILE ANTONIO, MACRI’ ANTONIO e MERCURIO
GIUSEPPE, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di BASTA NICOLA, BONAVENTURA SALVATORE,
CAVALLO FABIO, ELIA ANTONIO, FRISENDA GIUSEPPE, MACRI’ SALVATORE,
MURGERI FRANCESCO, PAGLIA MICHELE, VALLONE FRANCESCO, VRENNA
GIUSEPPE, che condanna al pagamento delle spese processuali nonché ciascuno a
quello della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 30.9.2013

Consegue l’annullamento della sentenza in ordine al capo F, limitatamente agli
aspetti afferenti la sola responsabilità civile, con rinvio per nuovo giudizio sul punto.

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