Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43962 del 27/09/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 43962 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: IPPOLITO FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
HASSAD YOUSSEF, nato a Casablanca (Marocco) il 16.9.1983
contro la sentenza della Corte di appello di Genova del 2/10/2012;
– udita la relazione del cons. F. Ippolito;
– udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore
generale M. G. Fodaroni che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Ritenuto in fatto
1. Con la decisione indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Genova ha
confermato la sentenza emessa il 19 luglio 2009, con cui il locale Tribunale aveva
condannato Youssef HASSAD alla pena tre anni di reclusione e 9.000,00 euro di
multa per il reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 c.p. e 73 d.P.R. 309/90, con la
circostanza attenuante di cui al comma 5 del predetto articolo, perché, in concorso
con Chakour Aziz (separatamente giudicato) acquistava e comunque riceveva in
diverse occasioni dai connazionali Oussad Mohamed e El Harchi Adelghani
(separatamente giudicati) sostanza stupefacente (cocaina) in quantità variabile tra i
10 e i 20 grammi, detenendola illecitamente a fine di spaccio.

2. Ricorre per cassazione l’imputato, che deduce:
a) “illegittimità della sentenza alla luce della nullità originaria del decreto di

Data Udienza: 27/09/2013

latitanza (e manifesta illogicità sul punto ex art. 606 lett. e c.p.p.)”;
b) “violazione del combinato disposto di cui agli artt. 491 e 598 c.p.p.”;
c)

“illogicità manifesta della motivazione ex art. 606 c,p,p. in relazione al

riconoscimento di penale responsabilità”.

a)

dell’art. 295 comma 1 c.p.p., per contrasto con gli artt. 3 (principio di
ragionevolezza) e 111 (principio del giusto processo) Cost. “nella parte in cui
non prevede espressamente le condizioni specigiche e i luoghi in cui devono
essere svolte le ricerche al fine della compilazione del relativo verbale, a
differenza dei quanto previsto dall’art. 159 c.p.p.”;

b) degli artt. 295

e 296 c.p.p., per contrasto con gli artt. 3 (principio di

ragionevolezza) e 111 (principio del giusto processo) Cost. “nella parte in cui
non stabiliscono, non prevedono e non garantiscono il diritto delllimputato già
dichiarato latitante di ottenere, pro domo sua, la ripetizione delle ricerche
all’inizio di ogni fase del prOcesso penale”.

Considerato in diritto
1. Le questioni di costituzionalità, proposte dal ricorrente in relazione agli artt.
3 e 111 della Costituzione, sollevate sotto il profilo della violazione del giusto
processo e della disparità di trattamento tra la condizione del latitante e quella
dell’irreperibile per il quale sono previste nuove ricerche, sono manifestamente
infondate, trattandosi di situazione ben diverse.
La dichiarazione di irreperibilità, potendo derivare da varie evenienze, anche
accidentali e contingenti, che possono risolversi, a seguito di rinnovate specifiche
ricerche, con l’individuazione di un domicilio dell’interessato, necessita di essere
controllata secondo le cadenze individuate dal legislatore. Lo stato di latitanza,
invece, deriva dalla volontaria sottrazione dell’imputato o dell’indagato ad una
misura cautelare di custodia personale, per l’esecuzione della quale la polizia
giudiziaria, senza essere vincolata ai criteri dettati dall’art. 165 c.p.p., ha piena
libertà di ricerca in tutti i luoghi in cui si presume possa trovarsi la persona
ricercata, con possibilità giuridica e di fatto di poter continuare la ricerca
permanentemente e di porre in esecuzione la misura in qualsiasi momento riesca a
individuarlo.

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3. Il ricorrente reitera, inoltre, la questione d’illegittimità costituzionale:

Il giudizio sull’idoneità e sulla completezza delle ricerche eseguite – sulla
base di una valutazione riferita alla concreta situazione accertata in quel momento
(“rebus sic stantibius”) senza che possano rilevare ai fini della sua legittimità le
eventuali informazioni successivamente pervenute – compete al giudice chiamato a
emettere il provvedimento di latitanza, per cui l’operato della polizia giudiziaria è

Proprio tale situazione di volontaria sottrazione della persona da sottoporre a
custodia e la permanente possibilità della polizia giudiziaria di ricerca ovunque la
persona destinataria della misura cautelare personale rendono la situazione del
latitante profondamente diversa da quella dell’irreperibile. Ne consegue la
manifesta infondatezza del sollevato dubbio di costituzionalità.

2. Tanto premesso, il ricorso va rigettato per infondatezza.
2.1. Dagli atti non risulta in alcun modo la possibilità che l’imputato, nel
procedimento di primo grado, potesse essere reperibile in Villaregia per cui
correttamente il giudice ritenne idonee le ricerche espletate.
E’ stato peraltro più volte affermato da questa Corte che, ai fini
dell’accertamento della volontarietà della sottrazione ad un provvedimento
restrittivo della libertà personale, che costituisce il presupposto psicologico della
declaratoria di latitanza, non occorre dimostrare la conoscenza della avvenuta
emissione di tale provvedimento, ma è sufficiente che l’interessato si ponga in
condizioni di irreperibilità, sapendo che quel provvedimento può essere emesso
(Cass. Sez. 1, n. 48739 del 25/11/2004, Lusha, rv. 2303901),
Non sussiste perciò né la denunciata illegittimità né alcun vizio di
motivazione nel provvedimento dichiarativo della latitanza adottato nel
procedimento di primo grado.

2.2. Del tutto infondato è anche il secondo motivo, con cui si denuncia la
violazione degli artt. 491 e 598 c.p.p. per mancata trattazione, nell’ordinanza
dibattimentale emessa dalla Corte d’appello, della eccepita nullità del decreto di
latitanza emesso nel procedimento di primo grado.
Come questa Corte ha già avuto modo di precisare, la norma dell’art. 491.5
cod. proc. pen., la quale prescrive che sulle questioni preliminari il giudice decide
con ordinanza, non è sanzionata da nullità, cosicché ove il giudice del dibattimento

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sottoposto a controllo e verifica dell’autorità giudiziaria.

decida la questione preliminare insieme al merito, l’imputato non può dolersene,
oltre tutto perché nessun danno deriva alla sua posizione e perché comunque nel
sistema della legge l’ordinanza che risolve questioni preliminari è impugnabile solo
con la sentenza che definisce il dibattimento (Cass. Sez. 6, n. 7153 del 25/06/1993,

2.3. Inammissibile è il terzo motivo, che si risolve in una censura
all’apprezzamento probatorio operato dai giudici del merito, che hanno reso conto con motivazione giuridicamente corretta ed indenne da vizi logici – delle proprie
valutazioni e dei risultati del convincimento raggiunto sulla responsabilità
dell’imputato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Roma, 27 settembre 2013

Esposito, Rv. 195035).

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