Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43946 del 25/06/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 43946 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Gaofeng Ye, nato a Zhejiang (Cina) il 21.8.1982;
avverso l’ordinanza emessa il 3 ottobre 2012 dal tribunale del riesame di
Roma;
udita nella udienza in camera di consiglio del 25 giugno 2013 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento del processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Roma confermò il
decreto, emesso dal Gip del tribunale di Roma, di sequestro preventivo di
170.880 paia di scarpe in relazione ai reati di cui all’art. 295/C d.p.R. 23 gennaio 1973, n. 43, e 483 cod. pen. per la loro importazione nel 2011 con evasione
dei diritti doganali, anche mediante false dichiarazioni, ed al reato di cui all’art.
441 cod. pen. per la concentrazione nella merce, analizzata a campione, di metalli pesanti in quantità superiore alla soglia legale, così da renderla adulterata
con pericolo per la salute pubblica.
L’indagato, a mezzo dell’avv. Mariano Marzocchi Buratti, propone ricorso
per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 309, commi 5 e 10, e 324 cod. proc. pen. per il
mancato riconoscimento della natura perentoria del termine per il deposito degli
atti. Deduce che erroneamente il tribunale del riesame non ha dichiarato
l’inefficacia del sequestro in base all’assunto che il termine di 5 giorni per il
deposito degli atti al tribunale del riesame non abbia natura perentoria. Osserva
in primo luogo che non è sostenibile, anche alla stregua dei principi affermati
dalla sentenza n. 232 del 1998 della Corte costituzionale, una interpretazione
che faccia dipendere la decorrenza del termine dalla volontà di una delle parti

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Data Udienza: 25/06/2013

processuali. In secondo luogo, osserva che, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen.,
l’unico soggetto che può individuare gli atti che vanno trasmessi al tribunale del
riesame è il PM. Quindi, di fronte ad una produzione consapevolmente parziale,
il tribunale del riesame non ha il potere di richiedere integrazioni. Nella specie
pertanto il termine di 10 giorni per la decisione decorreva dalla data del 13 settembre 2012, nella quale pervennero gli atti che il PM ritenne di inviare.
2) violazione dell’art. 125 in relazione alla natura meramente apparente
della motivazione dell’ordinanza impugnata. Osserva che aveva dedotto
l’insussistenza del fumus per entrambi i reati contestati. Quanto al reato di contrabbando aveva osservato che questo era stato ritenuto dal Gip per la falsità
delle dichiarazioni di intenti asseritamente presentate dall’indagato alle autorità
doganali, pur non trovandosi in atti tali dichiarazioni. Sul punto il tribunale del
riesame si limita a richiamare una documentazione rinvenuta con timbro doganale contraffatto, la quale però non attiene in alcun modo alla contestazione
mossa con il decreto di sequestro preventivo. Il tribunale del riesame non ha invece risposto sulla specifica eccezione sollevata. Quanto al reato di cui all’art.
441 cod. pen., la difesa aveva eccepito che le specie dei metalli rinvenute nei
campioni erano legalmente utilizzate nei prodotti in cuoio o pelle e che non vi
erano restrizioni nelle norme europee. Aveva anche eccepito l’inidoneità della
campionatura eseguita dalla polizia giudiziaria con un metodo che può dimostrare solo la presenza di metalli pesanti ma non di distinguere la forma chimica
in cui l’elemento si presenta. Non era quindi possibile dedurre la natura pericolosa o meno della merce neppure a livello indiziario. Su questa eccezione il tribunale del riesame ha omesso di rispondere se non con una mera frase di stile.
Motivi della decisione
Il primo motivo è infondato. Le Sezioni Unite, infatti, hanno recentemente
confermato il principio che «Nel procedimento di riesame del provvedimento di
sequestro non è applicabile il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale, previsto dall’art. 309, comma quinto, cod.
proc. pen., con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare impugnata in caso di trasmissione tardiva, ma il diverso termine indicato dall’art.
324, comma terzo, cod. proc. pen., che ha natura meramente ordinatoria» (Sez.
Un., 28.3.2013, n. 26286, Cavalli, m. 255581, alla cui motivazione, pertanto,
per brevità si fa qui integrale rinvio).
E’ infondato anche il secondo motivo. Deve ricordarsi che in tema di misure cautelari penali il ricorso per cassazione è consentito soltanto per le ipotesi di
violazione di legge o di totale mancanza di motivazione, ivi compresa la motivazione meramente apparente. Nella specie, in ordine alla sussistenza del fumus
dei reati ipotizzati, non è ravvisabile alcuna violazione di norme o di principi di
diritto. Parimenti, non è ravvisabile una mancanza di motivazione o una motivazione meramente apparente, in quanto il tribunale del riesame ha dato adeguatamente conto delle ragioni per le quali gli elementi indicati dall’accusa erano da ritenersi, allo stato — e fatta ovviamente salva una diversa valutazione in
sede di cognizione, o dopo l’espletamento dei necessari approfondimenti istruttori ovvero dopo la eventuale produzione di elementi di segno contrario da parte della difesa -, sufficienti ad integrare il fumus dei due reati contestati. Quanto

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al primo reato, invero, il tribunale ha rilevato che, a sostegno della sua effettiva
configurabilità, potevano richiamarsi gli accertamenti della autorità doganale,
che aveva verificato la contestata evasione dei diritti di confine
sull’importazione della merce sequestrata sulla base della documentazione acquisita, che comprendeva anche documenti con timbro doganale contraffatto.
Quanto al secondo reato, il fumus è stato basato sulla analisi preliminare spettrofotometrica eseguita sulla merce dalla autorità doganale, analisi che era allo
stato sufficiente a dimostrare il fumus del reato richiesto al fine della misura
cautelare, sebbene si trattasse di una analisi sommaria, eseguita a campione e
quindi da verificare con analisi ed indagini più appropriate.
Può altresì osservarsi che il ricorrente non sembra contestare specificamente la falsità delle dichiarazioni di intenti presentate alle competenti autorità
doganali, quanto piuttosto il fatto che tali dichiarazioni non fossero presenti in
atto e che la documentazione con timbro asseritamente contraffatto non attiene
al reato contestato. Si tratta però circostanze che dovranno, appunto, essere accertate e valutate in sede di cognizione e comunque, tutt’al più, di contraddittorietà o di insufficienza della motivazione e non di mancanza della stessa. In ordine al secondo reato, il ricorrente contesta che la sola presenza nella merce in
sequestro di metalli pesanti, non specificati quanto a tipologia chimica, non sarebbe sufficiente ad ingenerare il sospetto di una potenziale pericolosità per la
salute pubblica. Anche qui, però, si tratta al più di una censura di motivazione
contraddittoria o insufficiente e comunque di circostanze che andranno accertate e valutate in sede di cognizione, non essendo in questa sede sufficiente la asserita incompletezza delle analisi (in mancanza di diversi risultati di analisi offerti dalla difesa) a fare ritenere insussistente il fumus del reato.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 25
giugno 2013.

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