Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43939 del 25/06/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 43939 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Santin Fabio, nato a San Vito al Tagliamento il
20.7.1965;
avverso la sentenza emessa il 7 novembre 2012 dalla corte d’appello di
Trieste;
udita nella pubblica udienza del 25 giugno 2013 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio perché il
fatto non costituisce reato;
udito il difensore avv. Francesco Longo;
Svolgimento de/processo
Con sentenza del 9.12.2010 il giudice del tribunale di Pordenone dichiarò
Santin Fabio colpevole del reato di cui all’art. 44, lett. a), d.p.R. 6 giugno 2001,
n. 380, nonché del reato di cui all’art. 481 cod. pen. per avere, quale direttore
dei lavori, dichiarato falsamente ai fini della abitabilità del fabbricato che i lavori erano stati ultimati e regolarmente eseguiti in modo conforme al progetto,
condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
La corte d’appello di Trieste, con la sentenza in epigrafe, dichiarò estinto
per intervenuta sanatoria il reato edilizio e confermò la condanna per il reato di
cui all’art. 481 cod. pen.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Francesco Longo, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 481 cod. pen. in relazione
alla violazione degli artt. 24, 25 e 29 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380. Osserva che
il direttore dei lavori assume la qualifica di esercente un servizio di pubblica
necessità nell’ambito della domanda di rilascio del permesso di costruire ma

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Data Udienza: 25/06/2013

non anche agli effetti della richiesta del certificato di agibilità.
2) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 47, primo comma, e 481
cod. pen., in relazione alla violazione dell’art. 25 del d.p.R. 6 giugno 2001, n.
380; all’art. 6 della 1. n. 241/1990, e all’art. 116 della I. reg. 52/1991. Osserva
che nella specie mancava l’elemento soggettivo del reato essendo ravvisabile la
sua buona fede per avere erroneamente ritenuto che le circostanze indicate nella
sua dichiarazione fossero prive di pregio giuridico. In sostanza egli era privo
della coscienza ingannatoria della sua dichiarazione mendace. Osserva altresì
che il c.d. certificato del 6.4.2006 non è un vero e proprio certificato in senso
giuridico, tanto che la legge parla di dichiarazione. Si tratta di una relazione che
non è destinata a provare la realtà oggettiva di ciò che si afferma. Non sussiste
pertanto il reato di cui all’art. 481 cod. pen.
Motivi della decisione
Il primo motivo è inammissibile in quanto consiste in una censura nuova
non dedotta con l’atto di appello, e che non può quindi essere proposta per la
prima volta in questa sede di legittimità.
In ogni caso il motivo, a parere del Collegio, è infondato dovendo ritenersi
che esattamente la corte d’appello ha riconosciuto la qualifica di soggetto esercente un sevizio di pubblica necessità al direttore dei lavori che attesta la conformità dei lavori ultimati al progetto approvato anche ai fini della richiesta di
rilascio dell’agibilità.
Ritiene il Collegio che il secondo motivo sia infondato avendo la corte
d’appello fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le
quali ha ritenuto sussistente il contestato reato di falso. Ha invero osservato la
sentenza impugnata che al geom. Santin è stato contestato il reato di cui all’art.
481 cod. pen., per avere, nell’esercizio di un servizio di pubblica necessità, quale era quello della certificazione resa quale direttore dei lavori dello stato delle
opere al fine di ottenere dal Comune l’abitabilità/agibilità, reso una falsa attestazione, avendo dichiarato che le opere erano conformi al progetto approvato e
che i lavori erano ultimati.
In particolare, nelle dichiarazioni sottoscritte il 6 aprile 2006 insieme alla
committente, il direttore dei lavori aveva certificato che i lavori erano ultimati e
che erano conformi al progetto (aveva, in particolare certificato che le altezze,
le distanze dai confini i distacchi fra i fabbricati …corrispondono a quelle di
progetto).
La corte d’appello ha congruamente rilevato che, al di là della valutazione
della marginalità dei lavori non ultimati, il reato era integrato dal fatto che si
trattava della dichiarazione di una situazione diversa dal vero: in particolare,
non era vero che i lavori ultimati erano conformi al progetto approvato, dal
momento che al contano non era stata rispettata la distanza tra i fabbricati, ossia
la distanza di 10 m. tra i due corpi di fabbrica prevista sia nel progetto originario, sia nella successiva variante (secondo la difesa sollecitata dalla stessa amministrazione con previsione di un parziale arretramento di uno dei fabbricati,
ma sempre nel rispetto della distanza di 10 m come era dato rilevare dalla planimetria e dalle relazioni prodotte). I giudici hanno quindi correttamente ritenuto irrilevanti tutte le altre considerazioni svolte dalla difesa a fronte di una di-

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chiarazione certamente diversa dal vero, in quanto ciò che rileva ai fini della
sussistenza del reato in questione è la difformità tra la realtà e ciò che viene certificato dal direttore dei lavori. In particolare, è stata tra l’altro esattamente ritenuta irrilevante l’eventuale convinzione dell’imputato che le false circostanze
indicate fossero sostanzialmente prive di pregio giuridico, il che del resto non
potrebbe rappresentare — tanto più nello svolgimento di una attività professionale — un errore inevitabile, e quindi scusabile. L’elemento soggettivo costituito
dal dolo è stato quindi ravvisato nella evidente consapevolezza che la distanza
di m. 10 non era stata rispettata e che quindi l’opera non era conforme al progetto.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 25
giugno 2013.
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