Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4393 del 09/12/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4393 Anno 2015
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– La Iacona Gaetano, n. a Torino il 10 novembre 1967;
avverso l’ordinanza, in data 6 agosto 2014, del Tribunale di Torino, sez. Riesame, avverso
l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Torino in data 12 luglio 2014;
sentita la relazione svolta dal consigliere dott. Giovanni Diotallevi;
sentito il parere del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Nello Stabile, che
ha concluso per la declaratoria di rigetto del ricorso;
udito l’avv.to Flavio Campagna del foro di Torino, di fiducia, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Iacona Gaetano ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza, in data 6 agosto
2013, del Tribunale di Torino, sez. Riesame, con la quale è stato rigettato il ricorso avverso
l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Torino in data 12 luglio 2014 ii ■ 19te alla quale è stata
applicata allo stesso la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ad un episodio di
rapina aggravata, commesso il 5 marzo 2033, in Santo Stefano Belbo, in concorso con terze
persone;
A sostegno dell’impugnazione il ricorrente ha dedotto:
a) Violazione dell’art. 606 c.p.p. lett. e) in relazione agli artt 273 c.p.p., Erronea applicazione
della norma penale sulla ritenuta gravità indiziaria in ordine al reato di cui agli artt. 110, 628
cc. 1 e 3 cod. pen. anzichè in ordine al reato di cui all’art. 393 cod. pen. Motivazione carente e

Data Udienza: 09/12/2014

,

contraddittoria rispetto al decreto di archiviazione del 26 marzo 2014 del G.I.P. del Tribunale
di Asti..
Il ricorrente censura la motivazione del provvedimento in quanto avrebbe erroneamente
ritenuto applicabile nel caso in esame il principio sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza
n. 33885/2010, in virtù del quale l’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto di reato
oggetto di un precedente provvedimento di archiviazione, in difetto di autorizzazione alla
riapertura delle indagini preliminari ex art. 414 cod. proc. pen., sarebbe precluso soltanto al
medesimo ufficio del pubblico ministero. In realtà, secondo il ricorrente , in presenza di un

se dall’indagine non fossero emersi elementi differenzianti il fatto sia sotto il profilo
soggettivo che quello oggettivo; e sotto il primo profilo non sarebbe appunto rilevante la
diversità del’Ufficio del P:M. procedente.
b) Mancanza e contraddittorietà della motivazione relativamente alla sussistenza dei garvi
indizi di colpevolezza; violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. erronea applicazione degli artt.
628 cod. pen. Ed inosservanza dell’art. 393 cod. pen.
Il ricorrente censura la ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato
di rapina, sottolineando la omessa valutazione degli elementi in base ai quali il G.I.P. del
Tribunale di Asti aveva provveduto in ordine all’archiviazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso è infondato.

Osserva la Corte che il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina
l’inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di
archiviazione e preclude l’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto di reato,
oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico
ministero(Sez. U, n. 33885 del 24/06/2010 – dep. 20/09/2010, Giuliani ed altro, Rv.
247834). Il principio di diritto fissata dalle Sezioni Unite appare inequivoco nel condizionare
la necessità dell’autorizzazione alla riapertura delle indagini esclusivamente nellIpotesi in cui
sia il p.m. dello stesso ufficio ad esercitare l’azione penale per un fatto oggettivamente e
soggettivamente identico, l’archiviazione determina una preclusione endoprocedimentale
all’agere del medesimo ufficio del p.m., che inibisce non solo la ripresa dell’attività
investigativa o le iniziative cautelari ma lo stesso esercizio dell’azione penale, con riferimento
allo stesso fatto oggetto del provvedimento di archiviazione, rimovibile solo attraverso il
decreto ex art. 414 c.p.p.. Nel caso in esame, al contrario, lo stesso fatto reato è stato
incardinato di fronte ad ufficio del P.M. diverso e i due procedimenti hanno avuto uno
sviluppo processuale assolutamente non collimante, come ben descritto dal TDL a pag. 4 del
provvedimento impugnato, con la conseguenza che non può ritenersi operativa la preclusione
endoprocedimentale sopraindicata. L’esercizio dell’azione penale è espressione di una scelta
che il pubblico ministero, in relazione a una determinata notitia criminis, compie al termine
delle indagini preliminari in alternativa alla richiesta di archiviazione (art. 405 comma 1

fatto reato già archiviato, la diversità dell’ufficio procedente del p.m. non sarebbe rilevante

c.p.p.), sicché, in assenza di un tale provvedimento rispetto all’attività svolta nel suo ufficio
rispetto al fatto perseguito, non appare possibile ipotizzare la perdita da parte del p.m. del
potere di adottare ulteriori opzioni sul medesimo fatto già oggetto di archiviazione in altro
ufficio della Procura della Repubblica di altro Tribunale. Soluzione coerente con la circostanza
che il provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini, rimuovendo gli effetti
della precedente valutazione di “superfluità del processo”, costituisce , di fatto, un atto
equivalente ad una “revoca” dell’archiviazione, che necessariamente deve far riferimento allo
stesso giudice del provvedimento revocato , in forza della sollecitazione dello stesso ufficio

indagini coinvolge. Inoltre la formulazione dell’art. 414 comma 2 cod. proc. pen., prevedendo
una “nuova iscrizione” della notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 cod. proc. pen.,
presuppone chiaramente l’identità dell’ufficio che aveva iscritto la

notítia criminis

poi

archiviata e quello che deve provvedere alla nuova iscrizione dopo la riapertura delle indagini
(v. Cass., sez. I, 20 gennaio 2005, n. 4536, C.E.D. Cass., n. 231491; Cass., sez. IV, 18
dicembre 1998, n. 1353, C.E.D. Cass., 213140).

2.

Per quanto riguarda la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non vengono

sostanzialmente sollevate censure se non relative ad elementi di fatto, recuperando le
motivazioni dell’originario provvedimento di archiviazione, senza considerare le corrette
valutazioni in ordine alle intercettazioni telefoniche, le parziali ammissioni dello stesso La
Iacona, oltre alle stesse dichiarazioni della parte offesa, valutate criticamente dal TDL,
analizzando i riscontri che forniscono fondamento fattuale e giuridico all’ipotesi accusatoria;
le censure svolte dal ricorrente non possono trovare ingresso in questa sede in quanto il
ragionamento dei giudici del riesame non è abnorme; al contrario lo stesso fa riferimento ad
elementi oggettivi, con riferimento alla gravità degli indizi di colpevolezza come sottolineati
dal TDL. Sotto quest’ultimo profilo il ragionamento del Tribunale del riesame appare esente
da censure logico giuridiche, proprio perchè valorizza una analisi altamente probabilistica,
ancorata allo svolgimento dei fatti in esame ed in particolare alle dichiarazioni della p.o. (v.
in particolare pagg. 6 e 7 dell’ordinanza impugnata).
3.

La scelta della misura è spiegata poi in modo coerente e valutata con un esatto criterio

di bilanciamento tra le esigenze di prevenzione e la qualità del soggetto destinatario della
medesima, quale emerge dalla gravità dei fatti ma anche della sua capacità criminale,
compatibile con la misura degli arresti domiciliari.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente
condannato al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94. disp. att. c.p.p.

del pubblico ministero cui si riferisce il nuovo controllo che la richiesta di riapertura delle

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen

Roma, li 9 dicembre 2014

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