Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43897 del 14/02/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 43897 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRILLO RENATO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PIGNATARO LUIGI N. IL 06/05/1962
avverso la sentenza n. 592/2010 CORTE APPELLO di SALERNO, del
12/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;

Data Udienza: 14/02/2014

- – che la Corte di appello di Salerno con sentenza del 12.02.2013 ha confermato la sentenza
resa dal Tribunale di Nocera Inferiore in data 15.9.2009 che aveva affermato la penale
responsabilità di PIGNATARO Luigi per i reati di cui agli artt. 44 lett. b) D.P.R. 380/01; 4 e 14
L. 1086/71 e 17 e 20 L. 2/74 (reati accertati e commessi in Sana Marzano sul Sarno il
19.10.2007) condannandolo alle pena, condizionalmente sospesa, di mesi due di arresto ed C
6.000,00 di ammenda e ordinando la demolizione delle opere abusive;
– – che avverso detta sentenza l’imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia ha proposto
ricorso per cassazione, deducendo, con un primo motivo inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale in punto di conferma del giudizio di responsabilità (desunta dalla qualità di
proprietario dell’immobile sede dei lavori); con un secondo motivo violazione di legge per
inosservanza del precetto costituzionale di cui all’art. 27 e 42 cod. pen.; con un terzo motivo
inosservanza della legge processuale penale (art. 530 cpv. cod. proc. pen.) per violazione della
regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio e con un quarto – ed ultimo – motivo inosservanza
della legge penale in punto di conferma dell’ordine di demolizione delle opere edilizie abusive;
– – che, in particolare, quanto al primo motivo, la Corte di merito ha correttamente confermato
il giudizio di colpevolezza ancorandolo non già e non tanto alla qualità di proprietario
dell’immobile interessato dai lavori, quanto alla specifica qualità di committente ricollegata alla
DIA presentata dal PIGNATARO quale legale rappresentante della società proprietaria
dell’immobile, con conseguente manifesta infondatezza sia del primo che del secondo motivo al
precedente strettamente collegato;
– – che quanto alla illegittimità dei lavori ed alla conseguente necessità del preventivo permesso
di costruire la Corte territoriale ha tratto spunto dalla natura dei lavori consistiti nella
realizzazione di una scala esterna dislocata in modo difforme rispetto al progetto preventivo e
comunque completata da un torrino alternante la sagoma dell’edificio e la sua altezza al colmo;
– – che parimenti infondato in modo manifesto è il terzo motivo riguardante la asserita
violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, avendo la Corte confermato il
giudizio di responsabilità sulla base di prove documentali di tipo oggettivo e direttamente
riferibili al PIGNATARO;
– – che al riguardo va ricordato che il giudice – in forza di tale principio – è chiamato alla
verifica della ipotesi accusatoria secondo il criterio del dubbio, procedendo ad una analisi degli
elementi in modo tale da scongiurare la sussistenza di dubbi interni; non si tratta, quindi,
come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, di un diverso e più
rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello tradizionalmente contenuto nell’art.
533 cod. proc. pen., ma della formalizzazione di un principio già ampiamente elaborato dalla
giurisprudenza secondo il quale l’affermazione della colpevolezza può conseguire soltanto ad
un certezza processuale della responsabilità dell’imputato (Cass. Sez. 1^ 24.10.2011 n.
41110, P.G. in proc. Javad, Rv. 251507; Cass. Sez. 2^ 2.4.2008 n. 16357, Crisiglione, Rv.
23979);
– – che, infine, anche il motivo riguardante l’asserita inosservanza della legge penale in punto di
conferma dell’ordine di demolizione è manifestamente infondato in quanto l’ordine di
demolizione di cui all’art. 31, comma 9, del T.U. n. 380/2001 è sanzione amministrativa a
contenuto ripristinatorio, rivolta al ripristino dell’assetto urbanistico e territoriale violato, in una
prospettiva di restaurazione dell’interesse pubblico compromesso dall’abuso. Le relative spese
gravano sul condannato, ma la misura – investendo il bene – finisce pur sempre per ricadere
sul proprietario e sul titolare di altri diritti sullo stesso (anche in ipotesi in cui nulla possa
essere loro addebitato per quanto concerne l’attività abusiva);
– – che tale soluzione non è in contrasto con i principi in tema di responsabilità personale,
affermati a livello costituzionale, poiché essi valgono solo per le sanzioni amministrative aventi
carattere punitivo e non anche quando, come nella specie, la sanzione è chiamata ad un ruolo
di carattere oggettivamente riparatorio (eliminazione della causa della lesione);
— che le opere realizzate senza il necessario permesso di costruire in sé illecite indipendentemente dal titolo di proprietà, di possesso o di detenzione – e devono, quindi,
essere eliminate nella loro realtà fisica, chiunque ne sia il proprietario o l’occupante.
– – che la Corte territoriale si è rigorosamente attenuta ai detti criteri ermeneutici con
motivazione diffusa, esaustiva e corrispondente alle premesse fattuali acquisite in atti, in
quanto essa sono stati esaminati tutti gli elementi decisivi a disposizione e fornite risposte
coerenti ed esaurienti rispetto alle obiezioni difensive;

Ritenuto:

– che alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, a norma dell’art. 616 c.p.p. – non
potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno
2000, n. 186) – segue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in
favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativarnente fissata in ragione dei motivi
dedotti, di C 1.000,00 a carico del ricorrente

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al versamento della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, nella camera di consiglio del 14 febbraio 2014

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