Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43814 del 07/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 43814 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARINO GIUSEPPA N. IL 08/12/1979
avverso la sentenza n. 199/2011 CORTE APPELLO di MESSINA, del
24/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINOA
Udito il Procuratore Generale in persona de,1 Dott. r Ti Thche ha concluso per
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e

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 07/05/2015

Ritenuto in fatto

Con sentenza emessa in data 18.12.09 il Tribunale di Messina dichiarava Marino Giuseppa responsabile
dei reati di cui all’art. 44 lett. b) DPR 380/2001 perché, in qualità di committente dei lavori, in assenza
di permesso di costruire, realizzava un nuovo fabbricato ad elevazione fuori terra previa demolizione di
quello preesistente, con ampliamento della volumetria per effetto dello spostamento della parete

agli artt. 81, 93, 94,95 DPR 380/01 in materia di costruzioni in conglomerato edilizio (capo B); del reato
di cui agli artt. 633, 639 bis c.p. per avere abusivamente invaso, in tempi diversi, con la realizzazione del
fabbricato sub a) la sede stradale per una superficie di m. 6 (capo C); del reato di cui all’art. 349 co. 1 e
2 c.p. per avere violato, quale custode del manufatto sottoposto a sequestro preventivo in data 17.11.07,
i sigilli apposti dalla Polizia Municipale sulle opere abusive di cui al capo a) ultimandone la
realizzazione previo ulteriore ampliamento del fabbricato (capo D). Concesse le attenuanti generiche
ritenute equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, condannava la stessa alla pena di anni uno di
reclusione ed euro 500,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Infine concedeva il
beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione e disponeva la demolizione
dell’opera abusiva se non già eseguita e il dissequestro e la restituzione di quanto in sequestro a seguito
del passaggio in giudicato della sentenza.
Proposto appello, la Corte di Appello, in data 24.10.2014, dichiarava non doversi procedere per i reati di
cui ai capi a) e b) perché estinti per prescrizione e rideterminava la pena per i residui reati in mesi otto di
reclusione ed euro 600,00 di multa.
Avverso detta sentenza l’imputata ha proposto personalmente ricorso per Cassazione deducendo i
seguenti motivi:
1) Violazione dell’art. 192 c.p.p. in relazione agli artt. 633, 639 bis e 349 c.p. e manifesta illogicità della
sentenza.
Assume la ricorrente che la Corte di Appello ha aderito acriticamente alle argomentazioni dei giudici di
merito senza apportare alcun elemento di originalità alla propria decisione dalla quale non emerge la
riconducibilità dei fatti contestati alla stessa.
2) Violazione dell’art. 192 c.p.p. e 133 c.p., mancanza, contraddittorietà della motivazione in ordine alla
mancata concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza sulla contestata aggravante.
Lamenta la ricorrente che, pur in presenza di specifica istanza, i giudici di merito hanno
immotivatamente ritenuto di negare la prevalenza delle attenuanti generiche, già concesse dal primo
giudice, sull’aggravante contestata ricorrendo a clausole di stile per motivare il diniego.

1

dell’immobile e conseguente invasione della sede stradale pubblica di m. 6 (capo A); del reato di cui

Ritenuto in diritto

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi del tutto generici, aspecifici ed infondati.
In particolare con il primo motivo kricorrente l lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 633, 639 bis e 354 c.p. e 192 c.p.p.,mira ad ottenere da questa Corte una rivalutazione
del materiale istruttorio; operazione quest’ultima, come è noto, preclusa in sede di legittimità qualora le

contraddittorie (Cass. Sez. Un. n. 47289/2000).
Tanto premesso va anche ricordato come, nel caso di sentenze di merito conformi, l’esame sulla
congruità ed esaustività della motivazione deve riguardare entrambe le motivazioni. Si richiama a questo
proposito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità con riguardo al rapporto fra le sentenza di
merito di primo e secondo grado, secondo cui, allorché dette sentenze concordino nella valutazione degli
elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, esse si integrano vicendevolmente e la
struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente formando un unico,
complesso corpo argomentativo (ex pluris Cass. Sez. I n. 8868/2000)
Orbene, fermo restando il limite sopra enunciato del controllo di legittimità, deve rilevarsi che, in ordine
alla ritenuta responsabilità della Marino per i suddetti reati di cui agli artt. 633, 639 bis e 349 c.p.,la
motivazione della sentenza impugnata, anche nell’integrazione con quella di primo grado, risponde ai
requisiti sui quali si fonda il controllo di legittimità. Seppur sintetica, infatti, la stessa appare esaustiva,
correttamente argomentata e coerente nella coordinazione dei passaggi logici attraverso i quali si
sviluppa.
In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato come la difesa abbia contestato la ritenuta
responsabilità della Marino in merito alle suddette violazioni in modo del tutto generico senza allegare
alcuna circostanza atta a provare l’estraneità della stessa ai fatti oggetto del processo. Ciò

vale

Quanto alla seconda censura relativa alla richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche
sull’aggravante occorre precisare che, secondo il costante orientamento di questa Corte, le statuizioni in
ordine al riconoscimento o meno delle attenuanti generiche ed al loro bilanciamento con altre
circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, rientrano nell’ambito
di un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice di primo e secondo grado; giudizio
che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e
sia sorretto da sufficiente motivazione (Sez. Un., sent. del 25/02/2010 Rv. 245931; Sez. 2, sent. del
18/01/2011 Rv. 249163).
2

argomentazioni impiegate nella sentenza impugnata risultino logiche e non manifestamente

T a nto premesso il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.

P.Q.M.

somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma in data 7 maggio 2015.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla

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