Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43813 del 07/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 43813 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FALASCHI LARA N. IL 22/07/1976
GIUGLIANO ANGELO N. IL 02/01/1956
avverso la sentenza n. 40466/2011 TRIBUNALE di ANCONA, del
17/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINOp
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. k
che,ha concluso per e
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I.

Data Udienza: 07/05/2015

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.t kt0-3-k_OLS-

Ritenuto in fatto

Falaschi Laura e Giugliano Angelo hanno proposto appello, convertito in ricorso per Cassazione, a
mezzo dei rispettivi difensori, con separati ricorsi, avverso la sentenza del Tribunale di Ancona con la
quale in data 17.4.2013 sono stati dichiarati responsabili la Falaschi, quale socio accomandatario e,
quindi, legale rappresentante della s.a.s Salumificio Vito di Falaschi Lara e C., con attività di

legale rappresentante della “Mastrangelo Alimentari s.a.s. di Giuliano Angelo” con sede in Marigliano,
di violazioni in materia di somministrazione del lavoro, reato di cui agli artt. 4 co. 1, 18 co. 2, 28 d.lgs
n. 276/2003, e sono stati condannati alla pena di euro 22.540,00 ciascuno con concessione dei benefici
di legge.
A sostegno dei rispettivi ricorsi i ricorrenti hanno dedotto i seguenti motivi.

Falaschi Lara
1) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, manifesta illogicità della motivazione e
travisamento delle risultanze processuali. In particolare mancanza dell’elemento oggettivo e soggettivo
dei reati contestati.
Assume la difesa della Falaschi che il giudice ha posto a fondamento del proprio convincimento
unicamente le dichiarazioni testimoniali dell’ispettore del lavoro ed il verbale di ispezione, senza
effettuare una valutazione unitaria delle risultanze processuali che tenesse conto anche della
documentazione prodotta in giudizio dalla imputata: in primis il contratto di appalto intercorso con la
“Mastrangelo Alimentari s.a.s. di Giuliano Angelo e della deposizione del teste Marchetti”.
Inoltre anche gli esiti degli accertamenti dell’ispettorato sono stati valutati in modo frammentario
attraverso parziali richiami alle dichiarazione dell’ispettore ed agli accertamenti compendiati nel
verbale, di talché è emerso un quadro frammentario e non obiettivo della vicenda.
Tutto ciò in dispregio ai principi cardine della valutazione delle prove secondo cui essa non va effettuata
in modo parcellizzato ed avulso dall’intero contesto probatorio, bensì tenendo conto di tutte le risultanze
acquisite e secondo i canoni di cui all’art. 192 c.p.p.
Ancora, continua la difesa, il giudice di merito non ha tenuto conto delle deduzioni difensive e della
analitica ricostruzione del fatto fornita dalla difesa dell’imputata secondo cui l’attività della
“Mastrangelo Alimentari s.a.s. di Giuliano Angelo” non è consistita nella mera prestazione di
manodopera ma nella prestazione di servizi di dissosso carni e di lavorazione prosciutti effettuata nella
stabilimento di Monte San Vito del Salumifico “Salumificio Vito di Falaschi Lara e C” in esecuzione di

macellazione e di dissossazione carni in Monte San Vito, il Giuliano, quale accomandatario e, quindi,

contratto di appalto valido dal 01.03.07 al 31.12.07, poi prorogato, in assenza di disdetta, fino alla data
del fallimento della società.
Il giudice ha riduttivamente basato il suo convincimento circa la fittizietà del contratto di appalto inter
partes sul dato della identità dei lavoratori delle sue società, ovvero che i lavoratori impiegati dalla
Mastrangelo Alimentari s.a.s. fossero prima dipendenti della s.a.s salumificio Vito, senza considerare, a
parere della difesa, nell’ottica di una complessiva valutazione delle risultanze istruttorie, che essi erano

lavoro, Mastrangelo Alimentari s.a.s, a dimostrazione della effettività della loro assunzione come
dipendenti della predetta società.
Al riguardo la difesa richiama la clausola 6 volta ad escludere ogni ingerenza della s.a.s Salumificio
Vito “nell’organizzazione ed esecuzione dei lavori di cui all’art. 3 del contratto riconoscendo
all’appaltatore di operare in condizioni di piena autonomia”. Peraltro costituisce pratica diffusa nelle
realtà locali che operai specializzati in un settore (addetti alla lavorazione delle carni) possano essere
impiegati da altra impresa del luogo operante nello stesso settore.
Evidenzia inoltre che le differenze fra contrato di appalto e somministrazione di lavoro, come richiamate
dall’art. 29 Decreto Legislativo del 2003 numero 276 in materia di “organizzazione dei mezzi necessari
da parte dell’appaltatore, che può risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in
contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati
nell’appalto, nonché per l’assunzione da parte dell’appaltatore del rischio di impresa”.
Assume la difesa che gli elementi differenziali enucleati dalla citata norma del Decreto Legislativo del
2003 numero 276 fra appalto di servizio o di opera e la somministrazione di lavoro disciplinata dal
citato decreto, sono presenti nella fattispecie quanto alla: 1) organizzazione dei mezzi necessari da parte
dell’appaltatore; 2) all’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori
utilizzati nell’appalto; 3) all’assunzione da parte dell’appaltatore del rischio di impresa.
La sublocazione di parte dello stabilimento del Salumificio VITO s.a.s da parte dell’appaltatore s.a.s
Mastrangelo Alimentari dello stabilimento costituisce una ulteriore dimostrazione di quel requisito della
organizzazione di mezzi a carico dell’appaltatore che connota l’appalto differenziandolo dalla mera
somministrazione di lavoro.
In conclusione, poiché ai fini della configurabilità della fattispecie di reato contestata occorre, quale
necessario presupposto, la sussistenza di un irregolare contratto di appalto, dal quale possa desumersi la
sua fittizietà, tale presupposto, rileva la difesa, è insussistente considerato che, come sopra evidenziato,
sono presenti nel contratto inter partes tutti gli elementi differenziali fra un vero e proprio appalto di
myizi, quello concluso fra le parti, e la somministrazione di manodopera disciplinata dal d.lvo 276/03.

2

effettivamente sottoposti al potere organizzativo direttivo e di coordinamento del nuovo datore di

2) Rinuncia dell’imputata ai benefici di legge concessi, ovvero richiesta di revoca della sospensione
condizionale della pena e della non menzione.

Giugliano Angelo
1) Motivazione illogica e travisamento dei fatti
In particolare la difesa afferma che la ditta del ricorrente svolgeva, nei locali presi in subaffitto, attività

dipendenti regolarmente iscritti a libro matricola ed a libro paga della Mastrangelo s.a.s di Giuliano
Angelo così come risulterebbe da apposita documentazione depositata in primo grado.
È dunque evidente, secondo la difesa, che le informazioni raccolte dall’Ispettorato del lavoro, sulla base
delle quali il Tribunale ha motivato la propria decisione, non sono corrette così come non è corretto
ritenere sussistente il solo contratto di appalto.
Inoltre, sostiene la difesa, che gli Ispettori del lavoro, nel contestare le infrazioni e fornire gli elementi
costitutivi del supposto reato, non hanno fornito alcuna prova dell’intento elusivo e cioè dell’elemento
psicologico del reato di somministrazione fraudolenta.
2) Inosservanza o erronea applicazione della legge in relazione alla mancata concessione della non
menzione oltre alla sospensione condizionale

Ritenuto in diritto

Entrambi i ricorsi risultano inammissibili in quanto muovono censure inerenti aspetti meramente
fattuali al fine di ottenere una valutazione delle risultanze probatorie nuova e diversa rispetto a quella
già operata dal giudice di primo grado; operazione, quest’ultima, come è noto preclusa in sede di
legittimità qualora la motivazione dell’impugnato provvedimento risulti logica e non contraddittoria
nelle sue argomentazioni.
Sotto questo profilo, invero, la sentenza impugnata non è censurabile in quanto, seppur sintetica, indica
in maniera adeguata gli elementi posti a fondamento della ritenuta sussistenza delle infrazioni
contestate e della responsabilità degli imputati.
Il giudice di prime cure, infatti, ha precisato che dalla deposizione del teste Cicconi e dal dettagliato
verbale di ispezioni del 29.03.2010 è emersa con ragionevole certezza l’attività di somministrazione di
mano d’opera abusivamente svolta dai ricorrenti.
In particolare dal suddetto verbale si evince che la ditta della Falaschi ha stipulato in data 26.02.2007
un contratto di appalto con la ditta del Giugliano avente ad oggetto la fornitura di servizi di disosso
carni e lavorazione delle stesse da effettuarsi presso la stabilimento della Falaschi. Al tempo stesso,
3

di macellazione e disossazione di qualunque tipo di animale, sempre tramite l’impiego di propri

peiò, la Falaschi subaffittava al Giugliano parte del suo laboratorio per la realizzazione dell’attività
appaltata. Successivamente, nel maggio 2008, alcuni lavoratori impiegati nella ditta della Falaschi
hanno cessato formalmente di lavorare per la stessa e sono stati assunti dal Giugliano pur continuando
di fatto a lavorare presso il salumificio della Falaschi, svolgendo le medesime mansioni e senza
interrompere di fatto il rapporto di lavoro con la predetta.
Il su menzionato teste ha spiegato, evidenzia il giudice di primo grado, che tale passaggio è avvenuto

dipendenti; quindi li ha “scaricati” sul Giugliano con accordo palesemente elusivo delle norme in
materia di somministrazione e del contratto collettivo.
Orbene, come giustamente ritenuto nella sentenza impugnata, i suddetti elementi possono
legittimamente considerarsi indizi gravi precisi e concordanti atti a dimostrare la sussistenza dei reati
contestatati e della responsabilità degli imputati; anche perché i difensori si sono limitati a muovere
censure del tutto generiche non fornendo alcuna effettiva spiegazione alternativa della vicenda.
Quanto alla lamentata concessione dei doppi benefici occorre precisare che, invero, nella sentenza
impugnata gli stessi sono stati riconosciuti.t. mo DM. eNtmg\a/XL, (“v~14-01/0-

thult. “L’ , —

Tanto premesso i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con conseguente condanna di entrambi i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.

P. Q.M.

Dichiara i ricorsi inammissibili e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre
alla somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma in data 7 maggio 2015.

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perché la Falaschi non riusciva più a sostenere gli oneri contributivi con riguardo ai suddetti

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