Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43810 del 17/09/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 43810 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– GIOIA FRANCESCO, n. 28/04/1980 a LIVORNO

avverso l’ordinanza della Corte d’appello di FIRENZE in data 14/10/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. F. Baldi, che ha chiesto rigettarsi il ricorso;

Data Udienza: 17/09/2014

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza del 14/10/2013, depositata in data 4/11/2013, la Corte

d’appello di FIRENZE respingeva la domanda di riparazione per ingiusta
detenzione avanzata da GIOIA FRANCESCO e relativa al proc. 19383/04 RGNR
DDA e 17210/04 RGGIP Trib. Firenze, instaurato nei suoi confronti in relazione ai
delitti di associazione a delinquere con finalità di terrorismo e detenzione di

intelligibilità del ricorso, ricordare che l’istanza era stata originariamente decisa
in data 14/05/2010 da altra sezione della medesima Corte d’appello con
ordinanza che veniva, però, annullata dalla Quarta Sezione di questa Corte sul
rilievo che l’esercizio di una strategia difensiva consentita dall’ordinamento in
coerenza ad una facoltà qualificante del modello processuale di diritto positivo
(art. 64, comma 2, lett. b), c.p.p.), non valeva da solo ad integrare un’ipotesi di
colpa ostativa al sorgere del diritto alla riparazione.

2. Ha proposto ricorso il GIOIA a mezzo del difensore fiduciario cassazionista,
impugnando la predetta ordinanza e deducendo un unico motivo, di seguito
enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp.
att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale unico motivo, per quanto è possibile desumere dal tenore
dell’impugnazione, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p per erronea ed
insussistenza motivazione dell’impugnata ordinanza.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza per aver la Corte d’appello
respinto la domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione senza chiarire quali
fossero stati in concreto i comportamenti dolosi o colposi del ricorrente, quali i
rapporti di quest’ultimo con i coimputati e quale la condotta da egli posta in
essere da considerarsi in rapporto di causa ad effetto rispetto alla detenzione;
l’ordinanza impugnata, a giudizio della difesa, si sarebbe limitata a riassumere le
vicende processuali, limitando solo ad un paio di pagine l’indicazione degli
elementi da cui trarre la convinzione che nella condotta del ricorrente sia
ravvisabile la colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione.

2.2. In particolare, tali elementi sarebbero rappresentati, da un lato, dalle sue
frequentazioni (sia a livello di singoli individui, sia a livello di luoghi, con
particolare riferimento al circolo pisano “Il Silvestre”) e, dall’altro, perché
avrebbe posto in essere con la propria condotta una situazione tale da costituire
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esplosivo, definito con sentenza irrevocabile di assoluzione; giova, per migliore

una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’A.G., sostanziatasi
nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà
personale. Nella specie, si richiama in ricorso un passo della motivazione
dell’impugnata ordinanza in cui si evidenzia come la condotta si sia sostanziata
nella consapevolezza dell’attività criminale altrui, ossia sul fatto che il ricorrente
era sicuramente consapevole della natura eversiva dell’associazione e degli
attentati programmati e messi in atto.

dell’associazione rappresenterebbe un dato neutro, in quanto la mera
consapevolezza non significa che il Gioia fosse imprudente o negligente, atteso
che egli sapeva ma non aderiva, tant’è che era stato assolto dal relativo reato; è
poi apodittico affermare, come fa l’impugnata ordinanza, che il ricorrente fosse
consapevole degli attentati programmati e messi in atto proprio perché egli non
aderiva né partecipava alle riunioni dell’associazione (le Cellule di Offensiva
Rivoluzionaria), come confermato dalla sentenza assolutoria della Corte d’Assise
di appello di Firenze.
Ancora, con riferimento ad un ulteriore dato valorizzato dalla Corte d’appello
(esercitazioni al poligono di tiro del Gioia con tale Frediani), il ricorrente ne
contesta la rilevanza, evidenziando come le stesse fossero iniziate nel gennaio
2003, ma erano cessate da oltre un anno prima dell’arresto né potevano essere
collegate a quelle attività sovversive poste in essere dalle COR fino al momento
dell’arresto, concretizzatesi in attentati incendiari e lettere minatorie.
La fragilità degli elementi indiziari a carico del ricorrente, inoltre, troverebbe
conferma nell’adozione da parte del GIP della misura cautelare attenuata degli
arresti domiciliari; né, poi, gli altri elementi valorizzati (quali la frequentazione
del circolo “Il Silvestre”, del Frediani al poligono di tiro e non in campi di
addestramento occulti, gli spostamenti, le conversazioni, i commenti o le
presunte affermazioni – il riferimento, in ricorso, è all’espressione “Uh” del
ricorrente nel corso di una telefonata intercorsa con tale Bonamici -)
sembrerebbero attribuibili al Gioia a titolo di colpa grave.

2.3. Quanto, infine, agli ulteriori due elementi valorizzati dalla Corte d’appello
per ritenere sussistente la colpa grave (ossia l’esercizio del diritto al silenzio e
l’evasione), il ricorrente evidenzia, da un lato, come non sia possibile trarre
dall’esercizio di tale diritto alcuna connotazione di gravità rilevante in sede di
riparazione per ingiusta detenzione, e, quanto all’evasione del Gioia dagli arresti
domiciliari, la stessa non avrebbe minimamente influito sull’acquisizione degli
elementi di prova posti a fondamento dell’ordinanza di custodia cautelare e del
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Sul punto, il ricorrente rileva che la consapevolezza della natura eversiva

giudizio di condanna in primo grado, atteso che rispetto ai fatti (asseritamente
commessi in arco temporale tra il luglio 2003 e il giugno 2004), l’evasione era
successiva (agosto 2004), mentre l’avviso di conclusione indagini era stato
emesso il 24/03/2005 ed i fatti di cui all’imputazione erano sovrapponibili
rispetto a quelli dell’o.c.c. notificata al ricorrente il 30/07/2004: tutto ciò
confermerebbe che nulla fosse emerso oltre a ciò che era stato ritenuto

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

4. Deve, anzitutto, essere ricordato in questa sede che nel procedimento per la
riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente
l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento
della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da
quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare,
eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un “iter” logicomotivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se
determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste
come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione
dell’evento “detenzione”; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha
piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per
rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni
dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa
l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (per
tutte: Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv.
203638). Ne discende, dunque, che ben può il giudice del procedimento di
riparazione per ingiusta detenzione rivalutare fatti emersi nel processo penale,
ivi accertati o non esclusi, ma ciò al solo fine di decidere sulla sussistenza del
diritto alla riparazione (v., in termini: Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010 – dep.
14/07/2010, Ministero Economia Finanze, Rv. 247867). A ciò, peraltro, si
aggiunga che il giudice della riparazione deve esaminare la condotta tenuta dal
richiedente sia prima, sia dopo la perdita della libertà personale,
indipendentemente dall’eventuale conoscenza, che quest’ultimo abbia avuto,
dell’inizio dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante”,
non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto
che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la
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penalmente rilevante.

falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di causa ad effetto: in termini, v. Sez. U, n. 34559 del
26/06/2002 – dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263).

5. Tanto premesso, nel caso in esame, il giudice della riparazione ha escluso il
diritto del ricorrente valutando i comportamenti processuali ed extraprocessuali
da questi tenuti, ritenendo che la complessiva condotta del medesimo abbia

emesse nei suoi confronti.

5.1. Quanto alla condotta extraprocessuale, i giudici fiorentini hanno valorizzato,
in chiave reiettiva, i seguenti elementi: a) la partecipazione del Gioia alla
diffusione dei volantini inneggianti all’omicidio di Marco Biagi; b) la
frequentazione dell’ideologo delle C.O.R. (Frediani), autore degli scritti di
rivendicazione di molti attentati e definitivamente condannato per il reato di cui
all’art. 270bis cod. pen.; c) la condivisione con quest’ultimo di “inquietanti”
esercitazioni di tiro; d) l’adesione alle logiche eversive dell’associazione, il
supporto logistico ed il sostegno personale assicurato con la propria connivenza,
al sodalizio.
In particolare, come si legge nell’impugnata ordinanza, il Gioia era uno dei
componenti del circolo “Il Silvestre” e, quindi, faceva parte del gruppo di giovani
che, seocndo la stessa sentenza assolutoria della Corte fiorentina, aveva
indirettamente assicurato un supporto logistico e, con la loro connivenza,
sostegno, personale ed ideologico, al sodalizio criminoso il Gioia aveva stabilito
rapporti particolarmente qualificati con l’ideologo Frediani, di cui in dibattimento
era stata dimostrata la partecipazione, con ruolo organizzativo, all’associazione
sovversiva, essendosi questi occupato anche di redigere messaggi di
rivendicazione di molte delle attività criminose realizzate dalle COR e la

concorso a dar causa all’applicazione ed al mantenimento delle misure custodiali

responsabilità di un’azione incendiaria avvenuta a Pisa ai danni di un’attivista di
Alleanza Nazionale nella notte del 27/05/2004. La Corte fiorentina, nel negare il
diritto alla riparazione, sottolinea come il Gioia, insieme al Frediani, si era iscritto
nel gennaio del 2003 al poligono di tiro di Pisa effettuando esercitazioni con
un’arma da sparo che, evidenzia la Corte d’appello, la stessa Corte d’assise
fiorentina, pur assolvendo il Gioia, aveva ritenuto indubbiamente inquietanti,
soprattutto considerando quali fossero a quella data, il pensiero del Frediani e le
opzioni delle COR sulla lotta armata. Ancora, con riferimento agli ulteriori
elementi valorizzati in senso negatorio, la Corte fiorentina evidenzia come da due
conversazioni (7 e 11 luglio 2004) intercorse tra il Gioia e due componenti del
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sodalizio, quali il Bonamici ed il Frediani) risultava chiaro che il ricorrente ben
sapesse cosa fossero le COR e quali il programma e le attività illegali
dell’associazione. Con riferimento, poi, ai commenti monosillabici del Gioia (il
riferimento è all’espressione “Uh”, cui si richiama anche il ricorrente
nell’impugnazione di legittimità) e la mancata presa di distanza dalle
affermazioni del Bonamici che esprimeva disappunto per l’individuazione delle
COR come gruppo “altro” dal circolo “Il Silvestre”, pur costituendone

due interlocutori ai principi eversivi dell’associazione.
In sostanza, si legge nell’ordinanza impugnata, era chiara nel comportamento
del Gioia una evidente connivenza rispetto all’attività del gruppo eversivo,
riconosciuta anche dalla sentenza assolutoria; la stessa frequentazione del
Frediani, ideologo dell’associazione, avrebbe avuto nel giudizio della Corte
d’appello un peso rilevante, nella rivalutazione dei dati emersi nella parallela
indagine svolta dall’A.G. genovese, forniti dalle intercettazioni ambientali e dal
tracciamento dell’impianto di GPS installato sull’autovettura del ricorrente.
Si legge, sul punto, nell’impugnata ordinanza come i dati lo collocavano, la notte
dell’attentato al Meucci, nelle ore in cui era avvenuto, nella città di Pisa, dove la
sua auto aveva stazionato nei pressi dell’abitazione del Frediani; con
quest’ultimo, nel pomeriggio, egli aveva parlato dell’acquisto di benzina, di uno
spostamento da effettuarsi con un motorino, da condurre in un certo luogo a
piedi, per fare insieme qualcosa, non meglio precisato, di cui era per tale ragione
lecito supporre – afferma la Corte fiorentina – la natura illecita e ricollegarla,
dato il contesto investigativo, alle azioni illecite che costituivano il progetto
dell’associazione eversiva e, segnatamente, dell’attentato messo in atto quella
notte in una località pisana raggiungibile con uno scooter.
Per tale ragione, prosegue l’impugnata ordinanza, non v’era dubbio che, nella
fase delle indagini, ed al momento della valutazione della domanda cautelare, del

emanazione, risultano per la Corte fiorentina indicativi anche di un’adesione dei

tutto ragionevole era la lettura delle conversazioni prospettata dal PM e condivisa
dal GIP.

5.2. A fronte di tali elementi, rispetto ai quali le considerazioni espresse dalla
Corte a proposito del silenzio e dell’evasione assumono valenza solo marginale e
di contorno, il Gioia ha proposto censure di inesistenza ed erroneità della
motivazione che, a ben vedere, si appalesano inconsistenti.
Ed invero, la pretesa irrilevanza da parte della difesa dell’elemento costituito
dalla frequentazione da parte del Gioia del Bonamici e del Frediani nonché del
circolo “Il Silvestre”, non tiene conto della valenza che tale frequentazione
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assume in relazione alla particolare natura dell’imputazione contestata (aver in
particolare partecipato ad un sodalizio criminoso con finalità eversive). Sul
punto, infatti, questa Corte ha, anche di recente, puntualizzato che in tema di
riparazione per ingiusta detenzione, le frequentazioni ambigue – ossia quelle che
si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità quando non sono giustificate da rapporti di parentela e sono poste in essere con
la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti, possono dare

riparazione stessa (v., da ultimo: Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013 – dep.
14/01/2014, Calo’, Rv. 258610). Del resto, si è affermato che in tema di
riparazione per l’ingiusta detenzione per un reato in concorso con altre persone,
si concorre a dare causa all’adozione della misura cautelare se si sia consapevoli
dell’attività delittuosa di altri e nondimeno, pur non concorrendo in quell’attività,
si ponga in essere una condotta che si presti sul piano logico ad essere
interpretata come contigua a quell’attività (v., in termini: Sez. 4, n. 268 del
22/01/1998 – dep. 18/04/1998, De Rachewiltz ed altro, Rv. 210628).
Alla luce di quanto sopra, dunque, non può ritenersi che costituisca dato neutro
la consapevolezza della natura eversiva dell’associazione, soprattutto in
considerazione del fatto che il Gioia – come emerge dall’impugnata ordinanza non si era limitato ad una generica adesione, ma aveva manifestamento con
comportamenti attivi una vicinanza all’ideologia eversiva delle COR, sostanziatisi
sia nella predetta frequentazione, ma soprattutto all’attività di volantinaggio
inneggiante all’omicidio del Prof. Biagi (circostanza di cui il ricorso ovviamente
tace) nonché del coinvolgimento nelle vicende dello stesso gruppo, desumibile
dalla telefonata del 7 giugno 2004 (in quella telefonata, infatti, il colloquio
captato ben poteva essere ritenuto indicativo dell’adesione anche del Gioia e del
Bonamici alle Cellule di Offensiva Rivoluzionaria). E, in questo senso, non va
dimenticato che in tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, costituisce

luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la

causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato
dato causa all’istaurazione della custodia cautelare per colpa grave, consistita
nell’aver tenuto comportamenti improntati a macroscopica leggerezza e
imprudenza, idonei ad essere interpretati, nella fase iniziale delle indagini, non
come semplice connivenza, ma come concorso nel reato (v., ad es.: Sez. 4, n.
37567 del 02/04/2004 – dep. 23/09/2004, Barison, Rv. 229142).
Con riferimento, poi, agli ulteriori elementi che il ricorrente ritiene privi di
valenza e sostanzialmente neutri (ossia: la circostanza di essersi recato il Gioia a
bordo del motorino insieme al Frediani nella strada ove abitava il Bassi; la
frequentazione del circolo “Il Silvestre”; le esercitazioni al poligono di tiro con il
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L

Frediani; la circostanza che nei suoi confronti fosse stata emessa la più blanda
misura custodiale degli arresti domiciliari), non può condividersi quanto
sostenuto nell’impugnazione di legittimità, in quanto le conclusioni cui il
ricorrente perviene sono frutto di un’evidente lettura atomistica di tali elementi,
invece valorizzati nel loro complesso dalla Corte fiorentina in sede di riparazione.
Ed è evidente che, anche in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione,
acquisita la valenza indicativa – sia pure di portata possibilistica e non univoca –

allora passarsi al momento metodologico successivo dell’esame globale ed
unitario, attraverso il quale la apparente ambiguità indicativa di ciascun
elemento (come la difesa del ricorrente adombra in ricorso) può risolversi,
perché nella valutazione complessiva ciascun elemento si somma e si integra con
gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato
dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova della colpa grave,
quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il
principio del cosiddetto libero convincimento del giudice.
E, sul punto, la decisione della Corte territoriale non tralascia l’esame congiunto,
dotato del necessario rigore, dei singoli elementi dimostrativi della condotta
gravemente colposa, sia quelli di natura extraprocessuale che di natura
processuale.

5.3. Quanto, poi, all’ulteriore censura secondo cui nessuna rilevanza potrebbe
essere attribuita al silenzio serbato dal Gioia (questione su cui, unitamente alla
questione dell’evasione, la Quarta Sezione di questa Corte ha fondato il proprio
giudizio di annullamento della prima ordinanza emessa dalla Corte fiorentina),
analizzando il complesso motivazionale dell’impugnata ordinanza emerge come a differenza di quanto correttamente aveva evidenziato questa Corte di
legittimità in sede di annullamento – i giudici della riparazione non abbiano
attribuito valenza autonoma e determinante all’esercizio del diritto al silenzio,
ma abbiano invece precisato che la colpa grave ostativa all’indennizzo non era da
individuarsi nell’essersi il Gioia avvalso della facoltà di non rispondere, ma nel
non aver fornito elementi idonei a chiarire la propria posizione, come pure questi
avrebbe potuto fare spiegando la conversazione intercettata il 4 aprile 2004 e il
motivo per cui si era trovato in Pisa tra le h. 0,47 e le h. 2,33 della notte
dell’attentato ai danni del Meucci.
In tal senso, dunque, la Corte fiorentina mostra di fare buongoverno del
principio, più volte affermato dall’assolutamente maggioritaria e più recente
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di riparazione per ingiusta
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di ciascun elemento connotante il comportamento gravemente colposo, deve

detenzione, ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa
della colpa grave dell’interessato – fermo restando l’insindacabile diritto al
silenzio o alla reticenza o alla menzogna da parte della persona sottoposta alle
indagini e dell’imputato – nell’ipotesi in cui solo questi ultimi siano in grado di
fornire una logica spiegazione, al fine di eliminare il valore indiziante di elementi
acquisiti nel corso delle indagini, non il silenzio o la reticenza, in quanto tali,
rilevano ma il mancato esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano

fondamento dell’esistenza della colpa grave, vale però a far ritenere l’esistenza
di un comportamento omissivo causalmente efficiente nel permanere della
misura cautelare, del quale può tenersi conto nella valutazione globale della
condotta, in presenza di altri elementi di colpa (v., da ultimo, tra le tante: Sez.
4, n. 7296 del 17/11/2011 – dep. 23/02/2012, Berdicchia, Rv. 251928).
Ed è indubbio che il silenzio serbato dal Gioia, nel richiamato contesto, ben
assumeva la veste di comportamento omissivo causalmente efficiente nel
permanere della misura cautelare.
Come, del resto, causalmente rilevante rispetto alla privazione della libertà
personale disposta con l’ordinanza cautelare, assumeva la questione
dell’evasione che – alla luce degli elementi esposti dalla Corte fiorentina in sede
di rinvio – rileva unicamente, come del resto affermato dalla Quarta Sezione di
questa Corte in sede di annullamento della prima ordinanza, per la protrazione
della carcerazione per il tempo successivo al venir in essere dell’atto e della sua
efficacia ostacolante. Se, infatti, la questione dell’evasione del Gioia non incide
sull’iniziale adozione della custodia cautelare nel tempo precedente (atteso che,
per tale aspetto, rilevano gli ulteriori elementi valorizzati dalla Corte fiorentina in
sede di rinvio), sicuramente, alla luce di quanto esposto nell’ordinanza
impugnata, tale dato, unito al lungo periodo di latitanza conseguitone, rilevava ai
fini della valutazione della colpa grave richiesta dall’art. 314 cod. proc. pen.
La Corte territoriale, sul punto, in particolare chiarisce che l’evasione, quale
comportamento successivo all’emissione dell’ordinanza cautelare, rivestiva i
connotati di comportamento gravemente colposo che ha contribuito ad
assegnare gravità al quadro indiziario e particolare concretezza ed intensità alle
esigenze cautelari. Se è ben vero, infatti, che in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, la decisione dell’imputato di sottrarsi alla cattura e di darsi alla
latitanza non costituisce di per sé elemento per l’individuazione della colpa grave
di cui all’art. 314 comma primo cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 42746 del 06/11/2007
– dep. 20/11/2007, Ministero Economia, Rv. 238306), è tuttavia altrettanto vero
che nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, il giudice,
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dell’allegazione di fatti favorevoli, che se non può essere da solo posto a

nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa all’indennizzo data
dall’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato nella
produzione dell’evento costitutivo del diritto (l’emissione del provvedimento
coercitivo), deve valutare la condotta da questi tenuta sia anteriormente che
successivamente al momento restrittivo della libertà e, più in generale, a quello
della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico
(coincidente, nel caso di specie, all’esecuzione dell’ordinanza custodiale detentiva

peraltro precisare che la valutazione dei comportamenti successivi a tale
conoscenza deve essere effettuata con particolare cautela, dovendosi sempre, e
con adeguato rigore, avere rispetto per le strategie difensive che abbia ritenuto
di adottare (quale che possa esserne la ragione) chi è stato ingiustamente
privato della libertà personale (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996,
Sarnataro ed altri, Rv. 203636).
E tale cautela ha, all’evidenza, ispirato il giudice della riparazione che ha valutato
la pressoché immediata evasione, unitamente al contegno extraprocessuale
richiamato, come comportamento che ha concorso a dare causa all’applicazione
ed al mantenimento della misura custodiale, con conseguente diniego del diritto
all’indennizzo.

6. Il ricorso dev’essere, pertanto, rigettato.
Al rigetto segue, peraltro, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2014

Il Presidente

attenuata, cui il Gioia si sottrasse evadendo dagli arresti domiciliari), dovendosi

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