Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 438 del 21/11/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 438 Anno 2018
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: DI PAOLA SERGIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
CLARENTE ALESSANDRO nato il 23/10/1986 a ALESSANDRIA

avverso la sentenza del 03/11/2016 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere SERGIO DI PAOLA;

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza in data 03/11/2016, confermava la
condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal Tribunale di Alessandria, in
data 08/04/2015, nei confronti di CLARENTE ALESSANDRO in relazione al reato di cui
alli art. 628 cod. pen.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo la violazione di legge con
riferimento alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 628, 3
comma n. 3-bis, cod. pen., in quanto nel retrobottega erano state poste in essere le
minacce in danno di una delle persone offese, mentre la sottrazione del denaro era
stata consumata nella parte dell’esercizio commerciale aperta al pubblico, sicché non
poteva dirsi che “il fatto” fosse avvenuto in un luogo di privata dimora.
Il motivo è inammissibile, poiché manifestamente infondato. Secondo il ricorrente
l’aggravante in questione sussiste solo nelle ipotesi in cui la condotta della sottrazione,
e del successo impossessamento, sia avvenuta in uno dei luoghi di privata dimora,

Data Udienza: 21/11/2017

mentre non rileva il luogo in cui la violenza o la minaccia, funzionali
all’impossessamento, siano state poste in essere (citando a sostegno di tale
ricostruzione Sez. 2, n. 26262 del 24/05/2016, Rodio, Rv. 267155, che ha enunciato il
seguente principio d diritto: «in tema di rapina impropria, sussiste l’aggravante di cui
all’art. 628, comma terzo, n. 3

bis,

cod. pen. nel caso in cui la condotta di

impossessamento di beni altrui sia compiuta in un luogo di privata dimora, e la
violenza e la minaccia siano commesse, successivamente, all’esterno, in un luogo
pubblico posto che le ragioni dell’aggravante risiedono nella tutela del domicilio.

persone offese ed essersi impossessato di denaro ed oggetti di valore, aveva
spintonato nel corso della fuga, lungo una strada pubblica, altro soggetto che aveva
tentato di fermarlo)».
La decisione ora indicata certamente mette in luce l’importanza dell’individuazione
del luogo in cui sia avvenuta la materiale apprensione della cosa oggetto della
condotta di sottrazione, rispetto all’elemento modale della condotta che, specie nelle
ipotesi di rapina impropria, può realizzarsi in luoghi fisicamente anche distanti e
diversi dalla privata dimora ove si sia introdotto l’agente.
Occorre, però, ricordare che la

ratio sottesa all’aggravante in questione (così

come per l’ipotesi del furto nei luoghi di privata dimora di cui all’art. 624 bis cod. pen.)
va individuata non solo nella più intensa tutela del patrimonio rispetto a condotte che
si realizzino in ambiti in cui si svolge la vita privata, ma anche nella maggiore
esposizione a pericolo dell’incolumità personale, per l’introduzione del reo in ambienti
ove è elevata la probabilità che vengano a trovarsi soggetti suscettibili di divenire
destinatari di atti di aggressione, con compromissione della sfera dell’incolumità
individuale. Ciò corrisponde all’esigenza di tutelare quella che è stata definita la
sicurezza domestica della persona offesa, ritenendo che nelle ipotesi di reato di
aggressione al patrimonio che si realizzano in ambiti domestici il maggior disvalore
della fattispecie dipende dalle evidenti ripercussioni, diverse da quelle tipicamente
patrimoniali, sulla persona, risultando una maggiore gravità dell’offesa per
l’insicurezza percepita dalle vittime in luoghi che sono reputati tali da tutelare la vita
privata, ed una più intensa pericolosità dell’agente che entra in contatto diretto con la
vittima, con il rischio più elevato di possibili aggressioni.
Così individuata la finalità della norma che prevede la circostanza aggravante, è
evidente che oltre alle ipotesi in cui pacificamente l’aggravante sussiste per la
sottrazione avvenuta nei luoghi di privata dimora, ove diversamente la violenza o la
minaccia sia stata posta in essere nei medesimi

(Fattispecie in cui l’imputato, dopo essersi introdotto all’interno dell’abitazione delle

luoghi, per poi realizzarsi la sottrazione In ambienti che non presentano quelle
caratteristiche, deve ritenersi egualmente sussistente il presupposto per ritener
integrata l’aggravante in parola, essendosi realizzata la maggiore esposizione a
pericolo per l’incolumità personale che l’aggravante intende sanzionare (come
accaduto nella specie, avendo il rapinatore minacciato con un’arma una delle persone
offese che si trovavano nel retrobottega, per poi subito dopo impossessarsi della
refurtiva custodita nell’esercizio pubblico).

delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost.
13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila
a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle ammende.
Così deciso il 21/11/2017

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All’ inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento

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