Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4372 del 21/10/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4372 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GARCIA DE MEDINA GENARA N. IL 19/09/1980
avverso l’ordinanza n. 88/2013 CORTE APPELLO di CATANIA, del
13/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
1ette/septffe le conclusioni del PG Dott. CAvC..
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Uditi difen

–cA

-Avv.;

L.

Data Udienza: 21/10/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Garda de Medina Genara, a mezzo del proprio difensore, ha proposto
ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è
stata rigettata la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal
17 al 19 luglio 2013 in regime di detenzione carceraria e dal 19 al 31 luglio 2013
in regime di arresti domiciliari, in relazione al delitto di detenzione di
stupefacenti a fine di spaccio, per il quale è stata mandata assolta con sentenza
irrevocabile.

riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento dell’odierna ricorrente aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto. E ciò in quanto la Garcia de Medina era
stata a conoscenza della presenza di sostanza stupefacente, atteso che pur
essendo essa occultata in un recesso della camera da letto dell’abitazione
occupata con il convivente, in questa vi era materiale per il confezionamento di
droga ed un bilancino di precisione e la donna non aveva consentito l’ingresso
nell’abitazione degli agenti, inducendoli a forzare la porta di ingresso.

2.1. La ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per
violazione dell’art. 314 cod. proc. pen., rilevando che la Corte di Appello ha
affermato l’esistenza di circostanze escluse dalla sentenza di merito, nella quale
è stato ritenuto che la Garcia de Medina fosse sì consapevole dell’occultamento
della droga ma che gli oggetti indicati come atti al confezionamento e alla
pesatura di stupefacente potessero trovare ragione nelle necessità derivate alla
donna da un patito intervento chirurgico allo stomaco; anche il ritardato ingresso
degli operanti è stato posto in dubbio dal Giudice dell’udienza preliminare,
quanto meno in relazione alla sua riconducibilità alla Garda de Medina.
2.2. In data 6.10.2014 la ricorrente ha depositato ‘memoria difensiva di
replica’ alle avverse conclusioni rese per iscritto dal P.G., rilevando come queste
assumano circostanze escluse dal giudizio di merito.

3. Con memoria depositata il 6.10.2014, l’Avvocatura Generale dello Stato, in
rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto la
conferma dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
4.1. La vicenda in esame, in considerazione della ricostruzione fattuale
operata dalla Corte di Appello, propone l’ipotesi della connivenza, da esaminare

La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla

nella prospettiva richiesta dall’art. 314 cod. proc. pen. Al proposito risulta sicuro
punto di riferimento il principio statuito da questa Corte secondo il quale, perché
la connivenza possa costituire causa impeditiva all’affermazione del diritto alla
riparazione occorre che essa sia consistita in comportamenti improntati a
macroscopica leggerezza e imprudenza, idonei ad essere interpretati, nella fase
iniziale delle indagini, appunto non come semplice connivenza, ma come
concorso nel reato (Sez. 4, n. 37567 del 02/04/2004 – dep. 23/09/2004,
Barison, Rv. 229142). Quindi, non è mai sufficiente la sola connivenza per

quali si è manifestata, possa dar luogo, a causa della macroscopica leggerezza e
imprudenza, ad una accusa di concorso nel reato.
E’ per la menzionata necessità di un simile quid pluris che la giurisprudenza
di legittimità richiede che l’atteggiamento di connivenza passiva abbia comunque
rafforzato la volontà criminosa dell’agente (Sez. 4, n. 6878 del 17/11/2011 dep. 21/02/2012, Cantarella, Rv. 252725) o che essa costituisca indice del venir
meno degli elementari doveri di solidarietà sociale, ovvero non sia risolta in un
mero comportamento passivo riguardo alla consumazione del reato, ma si sia
sostanziata nel tollerare che tale reato sia consumato, sempre che l’agente fosse
in grado di impedirne la consumazione o di ostacolare la prosecuzione
dell’attività criminosa in ragione della posizione di garanzia assunta, o, infine,
quando la connivenza risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa
dell’autore del reato, anche quando il connivente non abbia perseguito tale
obiettivo con il suo comportamento (Sez. 4, n. 2659 del 03/12/2008 – dep.
21/01/2009, Vottari, Rv. 242538).
Ovviamente, il rafforzamento del quale si fa menzione non può essere quello
che dà luogo al concorso nel reato; esso quindi non sarà accompagnato dalla
coscienza e volontà di contribuire in qualche guisa alla realizzazione dell’illecito;
si potrebbe parlare, al riguardo, di un ‘rafforzamento unilaterale’ della volontà
illecita.
4.2. Principio costantemente ribadito da questa Corte é che, in tema di
riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha
patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve
apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori
disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino
eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del
26/06/2002 – dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263).
Il giudice della riparazione, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso

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escludere il diritto alla riparazione: è necessario che essa, per le modalità con le

materiale valutato dal giudice del processo penale deve seguire un “iter” logicomotivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se
determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste
come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione
dell’evento “detenzione”; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha
piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per
rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni
dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa

tal senso, espressamente, Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996,
Sarnataro ed altri, Rv. 203638).
E’ però precluso al giudice della riparazione affermare circostanze che sono
state escluse dall’accertamento nel merito.
In particolare, quanto al compendio degli elementi valutabili, il S.C. ha
ripetutamente puntualizzato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno
della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa
grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia
cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che
successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento
della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U,
n. 32383 del 27/05/2010 – dep. 30/08/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664; nel
medesimo senso già Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro
ed altri, Rv. 203636).
Con particolare riferimento al caso che occupa, va evidenziato che la
condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata
dall’avere il richiedente dato causa, all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in
comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che
possano essere di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica
trascuratezza tali da aver determinato l’imputazione), o di tipo processuale
(autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi); il giudice è
peraltro tenuto a motivare specificamente sia in ordine all’addebitabilità
all’interessato di tali comportamenti, sia in ordine all’incidenza di essi sulla
determinazione della detenzione (Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001 – dep.
28/02/2002, Pavone, Rv. 220984).
Vale anche precisare che idonea ad escludere la sussistenza del diritto
all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – è non solo
la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi
termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma

l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (in

anche “la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del
procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit”
secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una
situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a
tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche
ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve
ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del
predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur

imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile,
ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un
provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno
già emesso” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed
altri, Rv. 203637).

5. Tanto premesso va rilevato che, nella specie, la Corte territoriale non ha
fatto corretto governo dei principi qui rammentati, avendo fatto perno, come
riportato nella superiore parte narrativa, su circostanze che sono state escluse
dal giudice di merito. Il provvedimento impugnato si fonda sul seguente assunto:
la Garcia era connivente con il coniuge perché consapevole della presenza in
casa dello stupefacente e ostacolò l’ingresso nell’abitazione degli investigatori.
Ora, quanto al primo dato, il Giudice dell’udienza preliminare, nella sentenza di
assoluzione della Garcia dal reato di concorso nella illecita detenzione dello
stupefacente, ebbe ad affermare che “… da tali emergenze procedimentali non
può desumersi con qualificata gravità indiziaria che la Garda fosse consapevole
dell’occultamento della droga…”. La diversa affermazione della Corte distrettuale
contrasta quindi con il precedente accertamento processuale sfociato nel
giudicato. Inoltre, anche a voler considerare che quello stesso Giudice
dell’udienza preliminare pose l’alternativa ipotetica della consapevolezza della
Garcia, giungendo comunque alla pronuncia di assoluzione ritenendo l’assenza di
un contributo morale o materiale al fatto del coniuge, deve essere rilevato che
ancora nella sentenza assolutoria si afferma che il “comportamento della Garda
che avrebbe deliberatamente ritardato l’ingresso degli agenti non aprendo la
porta non sia circostanza né certamente provata (…), né, ove provata, di per sé
univoca…”; dove risulta evidente la formulazione di una ulteriore alternativa solo
ipotetica.
Sicché la Corte di Appello ha fondato la propria decisione su circostanze
escluse dal Giudice dell’udienza preliminare ed il fattore decisivo per ritenere la

tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza,

colpa ostativa è stato affermato in contrasto con l’accertamento dei fatti operato
nella sede propria. Né può dirsi, come pretenderebbe l’Avvocatura, che “gli
elementi di iniziale ambiguità sono stati confermati nella loro valenza indiziarla
dalla sentenza di assoluzione’. Se in tal modo si allude al fatto che la sussistenza
dei menzionati comportamenti non è stata esclusa dal Giudice dell’udienza
preliminare si incorre in errore, palese alla luce delle espressioni sopra ricordate.
Va in ogni caso rimarcato come il dubbio non solo conduce necessariamente ad
una pronuncia di assoluzione ma esclude anche che possa ritenersi esistente il

6. Ne consegue l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio alla
Corte di Appello di Catania, cui va rimesso anche il regolamento tra le parti delle
spese del presente giudizio.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Catania, cui
rimette anche il regolamento tra le parti delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21/10/2014.

fatto che venne inizialmente assunto ad indizio.

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