Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4371 del 21/10/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4371 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NUZZO FRANCESCO N. IL 17/10/1976
avverso l’ordinanza n. 1409/2013 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
27/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/se.pide le conclusioni del PG Dott. `tk

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Uditi dif sor Avv.;

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Data Udienza: 21/10/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Trieste ha
dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza emessa il
3/2/2011, divenuta irrevocabile il 22/3/2011 – dal Giudice dell’udienza
preliminare presso il Tribunale di Bolzano, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.,
nei confronti di Nuzzo Francesco, al quale è stata applicata la pena per il reato di
cui all’art. 73 T.U. Stup., costituito dalla coltivazione illecita di 7 piante di

2. L’avvocato Michele Massella, nell’interesse del condannato, ha proposto
ricorso per cassazione deducendo un primo motivo ) la carenza di motivazione del
/
provvedimento impugnato in ordine alla censura che contestava la
corrispondenza tra il materiale sequestrato e quello essiccato ed analizzato al
quale ha fatto riferimento la sentenza di condanna.
Con un secondo motivo deduce illogicità motivazionale con riferimento alla
circostanza della mancata autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria
dell’essicazione della sostanza sequestrata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. La revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la
sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, comporta una valutazione di
queste ultime alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo, con la
conseguenza che le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare la
sussistenza di cause di proscioglimento dell’interessato secondo il parametro di
giudizio dell’art. 129 cod. proc. pen., sì come applicabile nel patteggiamento.
(Sez. 6, n. 10299 del 13/12/2013 – dep. 04/03/2014, K, Rv. 258997)
La giurisprudenza di questa Corte ha messo in evidenza come l’estensione
del rimedio straordinario alla sentenza di patteggiamento, ad opera della L. n.
234/2003, restituisca comunque una revisione connessa a presupposti più
stringenti rispetto a quella ordinaria, in quanto nel caso delle pronunce ex art.
444 cod. proc. pen., il giudice viene chiamato a stabilire se le prove
sopravvenute alla sentenza definitiva e quelle scoperte successivamente siano
tali da dimostrare “da sole” la necessità di un proscioglimento oppure se siano
autonomamente in grado di gettare una nuova luce e di fornire una chiave di
letture radicalmente alternativa degli atti del procedimento concluso con il
patteggiamento, atti che di per sè non erano tali da reclamare l’adozione di una
pronuncia ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (cfr., Sez. 6, sent. n. 8957 del 04/12/2006,
Tambaro, Rv. 235490). In caso contrario, “la revisione cesserebbe di essere un
mezzo di impugnazione straordinaria e diverrebbe, in relazione al

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marijuana.

patteggiamento, strumento a disposizione del patteggiante per revocare in
dubbio una decisione da lui stessa richiesta e riaprire integralmente la fase
dell’accertamento dei fatti e della responsabilità” (così, Sez. 6, n. 31374 del
24/5/2011, C., rv. 250684).
Quanto alla nozione di prove nuove, la posizione di minor favore per il
condannatchtienell’eChe in tema di revisione della sentenza di patteggiamento, in
ragione di un’inconciliabilità logica con le caratteristiche dell’accertamento
nell’applicazione di pena concordata, nella nozione di prove nuove non passono

acquisite, ma non valutate neanche implicitamente”, che invece rilevano per la
revisione delle ordinarie sentenze di condanna (Sez. 6, sent. n. 8957 del
04/12/2006, Tambaro, Rv. 235491). Ciò in quanto la valorizzazione – ai fini della
revisione – di prove “non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma
non valutate neanche implicitamente” (valida ed opportuna in relazione al rito
ordinario o comunque a riti diversi dall’applicazione della pena su richiesta delle
parti) non è logicamente conciliabile con la struttura del patteggiamento, nel
quale non vi è spazio per l'”acquisizione” di prove in senso tecnico giacché la
funzione del giudice, dopo che egli abbia escluso l’applicazione dell’art. 129 cod.
proc. pen., ed abbia valutato positivamente il quadro di legalità dell’accordo,
resta limitata al controllo di congruità della pena.
Deve trattarsi, quindi, esclusivamente di prove sopravvenute.
Un diverso e più persuasivo indirizzo, invece, ritiene ammissibile l’istanza di
revisione della sentenza di patteggiamento, non solo quando essa si fondi su
prove sopravvenute alla sentenza definitiva o scoperte successivamente ad essa,
ma anche quando invochi situazioni probatorie non valutate neanche
implicitamente, sempre che non si tratti di prove dichiarate inammissibili o
ritenute superflue (Sez. 6, Sentenza n. 32540 del 28/05/2007, Cortese, Rv.
237655; Sez. 5, Sentenza n. 10167 del 24/11/2009, Zitouni Noureddine, Rv.
246883, per la quale non può ritenersi che l’adesione all’accordo per
l’applicazione della pena implichi la rinuncia a sottoporre alla cognizione del
giudice prove già presenti in atti, in quanto, e da un lato, le prove nuove
rilevanti, ex art. 630, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., sono, non solo
quelle sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte
successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio
ovvero acquisite ma non valutate neanche implicitamente).
3.2. Nel caso in esame la Corte d’appello ha escluso che la prospettazione
del condannato facesse riferimento a prove nuove perché in realtà ciò che
segnalava era l’esistenza di un dubbio in ordine alla effettiva corrispondenza tra
il materiale sequestrato e quello sottoposto ad analisi previa essiccazione.

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essere ricomprese le prove “non acquisite nel precedente giudizio ovvero

L’affermazione è fondata; la prova, nuova, nella disciplina della revisione è
l’elemento di prova, ovvero il fattore che può essere utilizzato dal giudice per la
successiva attività inferenziale: la dichiarazione testimoniale, il contenuto di un
documento, le caratteristiche dell’oggetto in sequestro. Non ricade nel perimetro
concettuale di una siffatta prova né l’indicazione di un diverso risultato di prova
(ché si tratta in realtà della prospettazione di una diversa valutazione della prova
già valutata), né la prospettazione di un dubbio circa l’inerenza al tema
decidendunn dell’elemento di prova valutato.

ricorrente rappresenta l’estraneità del campione della sostanza stupefacente
analizzata a quanto caduto in sequestro, per di più in termini dubitativi. Non vi è
quindi indicazione di un diverso elemento di prova rispetto a quelli già valutati
(sia pure nei termini caratteristiche del giudizio per l’applicazione della pena
concordata) ma deduzione di una inattendibilità di quello valutato.
Peraltro, con eccesso di prudenza, la Corte di Appello ha anche operato una
valutazione di merito, escludendo con motivazione sostenuta da puntuali
riferimenti ai dati di fatto che si sia verificato l’errore del quale dubita
l’esponente ancora con il ricorso.

4. In conclusione va rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21/10/2014.

E’ appunto questo secondo caso che si rinviene nella fattispecie, in cui il

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