Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43689 del 26/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 43689 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FENUCCI CLAUDIO N. IL 19/11/1960
avverso la sentenza n. 10930/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
03/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. -fc’tb “jt(
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che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
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4

Data Udienza: 26/06/2015

,

RILEVATO IN FATTO
1. Con sentenza n. 40380 del 2012 la Sezione Quinta di questa Corte ha
annullato la sentenza della Corte d’Appello di Roma che in data 4.2.2011 aveva
confermato quella del Tribunale di Roma con cui Sensi Franco era stato assolto
dal reato di false comunicazioni sociali commesse -quale amministratore della
società sportiva AS. Roma S.p.A.- nella redazione del bilancio di esercizio
2001/02. Per le operazioni di cessione del giocatore Nakata i giudici romani

attraverso cui due società di calcio si vendono reciprocamente allo stesso prezzo
e con le stesse modalità di regolazione finanziaria il diritto alla prestazione
sportiva di un giocatore ciascuna, avevano dichiarato la prescrizione del reato; ai
sensi del D. Lgs. n. 231 del 2001, art. 25 ter e 69, la società AS. ROMA era stata
dichiarata invece responsabile degli illeciti amministrativi concernenti le
operazioni relative ai trasferimenti derivanti da operazioni incrociate di 22
giocatori, che avevano comportato una variazione in attivo del risultato
economico di esercizio e del patrimonio netto, con applicazione dellav sanzione
pecuniaria di 60.000 euro.

3. La società sportiva aveva interposto ricorso contestando la sussistenza
del requisito dell'”interesse” che ai sensi degli artt. 25 ter e 5, comma 1, D.Lgs.
n. 231 del 2001 consente l’addebito all’ente dei reati commessi da coloro che
rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione.

4. La Corte di Cassazione, con la sentenza sopra indicata, ha ritenuto che i
giudici di merito non avessero accertato che il fatto generatore della
responsabilità dell’ente fosse stato commesso nell’interesse o a vantaggio di
esso. Ha specificato che poiché l’assenza di un interesse esclusivo proprio o di
terzi rappresenta un limite negativo della fattispecie, era onere del giudice
corredare il proprio convincimento con una qualche precisa motivazione al
riguardo. Ha osservato che “nel caso di specie, la lettura delle voci indicate come
infedeli dai giudici di merito evidenzia, nel complesso, una prevalenza (anche in
termini quantitativi) di sottrazione dell’utile alla pretesa tributaria, donde è
plausibile l’opinione per cui l’intenzione decettiva si proiettasse verso un
“risparmio” (sia pur illecito) di gravame tributario. In questa prospettiva,
pertanto, il fatto risulterebbe – in via di logica astratta – pur sempre riconducibile
ad una (punto commendevole) persecuzione dell’interesse dell’organismo
societario”. Trattandosi di accertamento riservato al giudice di merito la Quinta
sezione ha disposto l’annullamento con rinvio della sentenza “perché il giudice di
1

avevano dichiarato che il fatto non sussiste, mentre per le operazioni incrociate,

merito fornisca un chiarimento sulla effettiva ricorrenza dell’interesse dell’ente
nella commissione del mendacio ed anche in quali termini si prospetti detto
interesse, coinvolgente la responsabilità dell’ente sportivo”.

5. La Corte di appello di Roma, a sostegno della conferma della sentenza di
primo grado e sulla scorta di quanto rilevato dalla Corte di Cassazione, ha
ritenuto che le voci indicate come infedeli evidenziavano una prevalenza di
sottrazione dell’utile alla pretesa tributaria e che da ciò derivava un illecito

un interesse della società. Osservava che l’appellante non aveva fornito elementi
per ritenere che le operazioni fossero state poste in essere nell’esclusivo
interesse proprio o di terzi.

6.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso Claudio Fenucci,

rappresentante legale della AS. Roma S.p.A., a mezzo del difensore di fiducia,
per mancanza, manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione
della legge sostanziale e ne chiede l’annullamento. In particolare, ribadisce
l’assenza del requisito dell’ “interesse” che consente l’addebito dell’illecito
all’ente. Rileva che l’interesse rilevante ai fini del giudizio di responsabilità è solo
quello inerente al titolo di reato in contestazione. Nella specie, nella
contestazione di falso in bilancio finalizzato a trarre in inganno i soci ed i terzi,
era assente una finalità di evasione fiscale orientata al risparmio di imposta.
L’interesse codificato dalla norma, quindi, non era coerente con il titolo di reato
contestato. In ogni caso, osserva che il giudice del rinvio avrebbe dovuto
valutare sulla base di elementi specifici che vi fosse stata attività ingannatoria
sul piano tributario, considerando che vi erano state sia rilevazione di
plusvalenze, sia l’indicazione di maggiori minusvalenze. Se effettivamente si
fosse voluto conseguire un vantaggio di imposta vi sarebbe stata univocità nelle
appostazioni in bilancio, ancora considerando che non era mai stato contestato
nessun reato tributario.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
La Quinta sezione ha ritenuto plausibile che l’appostazione delle voci infedeli
potessero avere una finalità di risparmio fiscale tale da configurare l’interesse
della società, e ne ha demandato l’accertamento al giudice di rinvio. La Corte di
appello nella sentenza impugnata ha dato per certo quello che dal giudice di
legittimità era stato prospettato in termini di possibilità, testualmente, “in via di
logica astratta”, e ha affermato che le operazioni decettive che avevano
2

risparmio di imposta. Di guisa che il fatto era riconducibile al perseguimento di

comportato false appostazioni nei bilanci (in termini di plusvalenze,
minusvalenze e maggiori ammortamenti) relativamente alla “compravendita” di
22 giocatori (per svista nella sentenza della Quinta sezione si indica che gli illeciti
hanno riguardato le operazioni non, come contestato, “da Guastella a Quadrini”,
ma “di Guastella e Quadrini” ) si proiettavano verso un illecito risparmio di
gravame tributario.

2. Così facendo, la Corte è incorsa in un duplice errore: da un lato ha dato

che la normativa fiscale (art. 109 TUIR) prevede che i componenti positivi
(quindi, le plusvalenze) concorrono a formare il reddito, e formano integralmente
massa imponibile, nell’esercizio di competenza ovvero nell’esercizio in cui
risultano verificate le condizioni di certezza nell’an e nel quantum dei componenti
stessi, e sono soggette a tassazione. Con la conseguenza che all’aumento delle
plusvalenze corrisponde una maggiore tassazione. Va ancora considerato che la
sentenza di primo grado aveva affermato che la falsità contestata nel capo
d’imputazione “era di pura contabilità e gestita nel bilancio con valori fasulli oltre
ogni immaginazione” e che “solo grazie a questo tipo di operazioni scorrette, (la
AS Roma) ha potuto portare una voce attiva dei valori precisati nel capo
d’imputazione” realizzando plusvalenze che hanno consentito di chiudere il
bilancio dell’esercizio 2001/2002 senza perdite. Indicando, quindi, che i reati di
falso contestati erano finalizzati ad un maquillage dei bilanci che, per una
società quotata in borsa, si riflette sul valore delle azioni. In effetti, il
meccanismo di sopravvalutazione dei giocatori ha come effetto principale di
aumentare i valori dell’attivo patrimoniale, anche se, nel complesso meccanismo
realizzato, non possono essere esclusi risparmi sul piano fiscale. In questo caso,
come rileva la sentenza della Quinta sezione ricorrerebbe l’interesse dell’ente,
diverso dal vantaggio che costituisce una sorta di variabile casuale, nei termini
posti dall’art. 5, comma 2, d.lgs. 231 che ne esclude la responsabilità se le
persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di
terzi, circostanza questa che farebbe venir meno lo schema di immedesimazione
organica, ragion per cui l’illecito commesso, pur tornando di fatto a vantaggio
dell’ente, non potrebbe più ritenersi come fatto suo proprio. In tal caso, si è
osservato, «si tratterebbe di un vantaggio “fortuito”, in quanto non attribuibile
alla “volontà” dell’ente» (Cass., sez. VI, 23 giugno 2006 n. 32627). Era questo,
quindi, l’accertamento che la Corte di appello avrebbe dovuto compiere ed ha,
invece, omesso.

3

per certo quello che era solo una possibilità, dall’altro ha omesso di considerare

3. Alla stregua di quanto sopra, nella reiterata totale carenza illustrativa dei
presupposti per ritenere che la falsità sia stata effettivamente finalizzata alla
sottrazione di utili alla pretesa tributaria, in presenza tuttavia di elementi
contrari, s’impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

ascritto come illecito amministrativo alla AS Roma S.p.A. al capo a).

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