Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43684 del 17/06/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 43684 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CARUSO CORRADO N. IL 14/10/1975
avverso la sentenza n. 1291/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
16/04/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 17/06/2013

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Catania, ridotto la pena, ha confermato nel resto,
la sentenza emessa in data 12 novembre 2010 dal Tribunale di Siracusa, Sezione distaccata di
Avola, appellata da CARUSO Corrado, dichiarato responsabile del delitto di furto aggravato in
concorso.
Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo vizio di motivazione sulla responsabilità e
sulle doglianze circa la dichiarazione di irreperibilità in primo grado.
Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato e tendente
a sottoporre al giudizio di legittimità questioni relative alla ricostruzione dei fatti escluse dalla
cognizione di questa Corte, poiché la Corte di merito ha chiaramente evidenziato come
l’individuazione del prevenuto come autore del furto fosse avvenuta ad opera della p.l. che aveva
inseguito l’autore del reato per un certo tratto riconoscendolo chiaramente, così come aveva fatto
anche il nipote presente sulla sua auto, tanto da averlo subito denunciato alla polizia giudiziaria.
Si tratta di valutazioni di fatto relative all’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa
che, per essere complete e del tutto logiche (nessuna contraddizione nell’affermare che il prevenuto frequentava il locale e che si trattava di cliente sporadico, posto che con il termine frequentare un locale non si intende certo un’assidua presenza in un locale, quanto piuttosto l’essere
cliente, così poi da venir riconosciuto come tale, anche se la frequentazione sporadica non aveva
consentito di conoscere il nome o il nomignolo dell’avventore) si sottraggono alle censura del ricorrente.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.000,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di €. 1.000,00# in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17 giugno 2013.

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