Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43681 del 13/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 43681 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

Data Udienza: 13/05/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
CATANZARO
ZITO ANTONIO N. IL 14/07/1960
GABRIELE GIOVANNI
ANASTASIO FRANCESCA
ANASTASIO MIRELLA
ANASTASIO TERESINA
IENOPOLI GIUSEPPE
nei confronti di:
TORNICCHIO FRANCESCO N. IL 09/04/1979
TORNICCHIO ANDREA N. IL 09/05/1990
LEROSE DONATELLO N. IL 16/01/1973
DATTOLO VINCENZO N. IL 27/02/1984
inoltre:
TORNICCHIO FRANCESCO N. IL 09/04/1979
TORNICCHIO ANDREA N. IL 09/05/1990
DATTOLO VINCENZO N. IL 27/02/1984
avverso la sentenza n. 22/2013 CORTE ASSISE APPELLO di
CATANZARO, del 25/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. AR-0 13640 A.Lt -LOLO
che ha concluso per j12.
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RITENUTO IN FATTO

1. Le due decisioni di merito, pienamente conformi – emesse in data 9 agosto
2012 dalla Corte di Assise di Catanzaro ed in data 25 febbraio 2014 dalla Corte
di Assise d’Appello della medesima sede – hanno preso in esame due distinti
episodi delittuosi, che si assumono funzionali agli interessi della cosca Tornicchio,
collegata alla cosca Giglio di Strangoli ed operante in Crotone, contrada di
Cantorato.

avvenuto in Strangoli il 29 novembre del 2007 con relativi reati connessi (capi 23-4), contestato nel presente procedimento, in concorso, a Tornicchio Francesco
e Lerose Donatella .
Il secondo è rappresentato dalla strage (con due vittime ed otto feriti) avvenuta
in Crotone, località Margherita, in data 25 giugno 2009 .
In tale occasione hanno perso la vita Marrazzo Gabriele classe ’74 – ritenuto la
vittima designata – e il piccolo Gabriele Domenico, classe ’98, deceduto a tre
mesi di distanza dal fatto ed in conseguenza delle gravi lesioni cerebrali
provocate dai pallettoni esplosi tramite un fucile calibro 12.
Circa tale episodio delittuoso i fatti (capi 81 e 82) sono stati contestati a
Tornicchio Francesco, Tornicchio Andrea e Dattolo Vincenzo.
Quanto agli esiti processuali cui si è pervenuti nelle due decisioni citate va detto
che :
– quanto all’omicidio Masucci, è stata affermata la penale responsabilità di
Tornicchio Francesco ed è stato assolto Lerose Donatella per non aver commesso
il fatto;
– quanto alla strage del 25 giugno 2009, è stata affermata la penale
responsabilità di Tornicchio Andrea e Dattolo Vincenzo mentre è stato assolto
Tornicchio Francesco per non aver commesso il fatto.
La pena inflitta a Tornicchio Francesco risulta essere quella dell’ergastolo con
isolamento diurno per anni uno e statuizioni accessorie di legge; la pena inflitta a
Tornicchio Andrea e Dattolo Vincenzo risulta essere quella dell’ergastolo con
isolamento diurno per anni tre.
Tornicchio Andrea e Dattolo Vincenzo, oltre alle statuizioni accessorie di legge,
sono stati condannati ad operare il risarcimento dei danni nei confronti delle
numerose parti civili costituite, cui sono state attribuite provvisionali.
1.1 L’estrema complessità della istruttoria, specie per quanto riguarda l’episodio
della strage avvenuta in Crotone il 25 giugno del 2009, impone di indicare in
questa sede le sole linee ricostruttive essenziali, sviluppate nelle due decisioni,
essendo il contenuto degli atti noto alle parti ricorrenti.
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Il primo è rappresentato dall’omicidio commesso in danno di Masucci Michele,

1.2 L’episodio delittuoso «omicidio Masucci» è stato ricostruito sulla base delle
risultanze di prova generica nonchè in riferimento a contenuti dichiarativi resi
dallo stesso Tornicchio Francesco in data 7 gennaio 2008 nel corso di un
interrogatorio.
In tale periodo (inizio del 2008) Tornicchio Francesco, già detenuto ma libero al
momento del fatto delittuoso (novembre del 2007) aveva intrapreso un percorso
di collaborazione con la giustizia, successivamente interrotto, ed aveva – in tale
contesto – riferito circa la genesi e le modalità di realizzazione dell’omicidio di

Pur se in dibattimento il Tornicchio si è sottratto all’esame, dette dichiarazioni nella parte confessoria – sono state acquisite ed utilizzate a carico del medesimo
Tornicchio e hanno determinato l’affermazione di penale responsabilità
dell’imputato.
In sintesi, il Tornicchio ha ammesso non soltanto di essere al corrente della
decisione – presa e realizzata da altri – di eliminare il Masucci ma ha altresì
riferito di aver fornito un consapevole contributo di tipo organizzativo, prendendo
in custodia prima del fatto un ciclomotore e l’arma, oggetti poi consegnati ad uno
degli esecutori la sera antecedente il giorno del delitto.
In sede di merito tale contributo, valutabile ad esclusivo carico del dichiarante, è
stato ritenuto affidabile in chiave confessoria, risultando sostenuto anche da
elementi di conferma esterni al narrato.
Ne è stata invece dichiarata la inutilizzabilità a carico, per quanto qui rileva, di
Lerose Donatello, la cui assoluzione – oggi contestata dal ricorso interposto dal
Procuratore Generale territoriale – è derivata proprio dalla impossibilità di
valutare i contenuti in origine riversati nel procedimento dal Tornicchio, cui sono
state unite considerazioni di merito circa il valore dimostrativo insufficiente di
una intercettazione ambientale (ci si riferisce ai contenuti di un colloquio a più
voci, cui non ha preso parte il Lerose, avvenuto il 6 novembre del 2008
all’interno della casa circondariale di Siano, riportato da pagina 35 a pagina 37
della decisione di primo grado).
Ad avviso dei giudici del merito, l’interpretazione di tale captazione non può dirsi
univoca, non essendo chiari alcuni passaggi espressivi nè certa la riferibilità a
Lerose Donatello della narrazione riportata nel corso del colloquio dal Tornicchio
Andrea, pur se di certo viene evocato durante il colloquio il fatto delittuoso
rappresentato dall’omicidio del Masucci.
Gli altri elementi indizianti, sterilizzati dalla lettura congiunta con i contenuti
dell’interrogatorio del Tornicchio, non forniscono un contenuto esplicativo
dell’ipotesi di accusa sufficiente ad affermare la responsabilità del Lerose.

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Michele Masucci, soggetto appartenente anch’egli alla cosca Giglio.

1.3 Quanto alla strage dei ‘campetti’ di Crotone, avvenuta intorno alle ore 22.00
del giorno 25 giugno 2009, oltre agli imponenti dati di prova generica, che
evidenziano l’utilizzo di un fucile calibro 12 caricato a panettoni, con cui vennero
esplose cinque cartucce (per complessivi 45 panettoni) in direzione di un gruppo
di persone – tra cui Marrazzo Gabriele classe ’74 – intente a giocare a calcetto, le
decisioni di merito evidenziano una serie di dati probatori, la cui lettura
congiunta ha determinato – con valutazioni sostanzialmente conformi – la
condanna di Tornicchio Andrea e Dettolo Vincenzo e l’assoluzione di Tornicchio

In sintesi, il fatto risulta inquadrato nell’ambito di un conflitto «territoriale»
insorto tra diverse famiglie di ‘ndrangheta operanti in Crotone e zone limitrofe, in
particolare per la percezione delle estorsioni nella zona del ‘Cantorato‘,
tradizionalmente appannaggio della famiglia dei Tornicchio.
Approfittando dello stato detentivo di Tornicchio Francesco (ripristinatosi dopo la
interruzione correlata alla collaborazione con la giustizia) gli esponenti della
cosca di Rocca di Neto, tra cui Gabriele Marrazzo, avevano esteso le loro pretese
su tale zona (in particolare nei confronti degli impenditori Maneli) e ciò aveva
determinato il risentimento di Tornicchio Francesco che, dal carcere,
lamentandosi della gestione degli affari potata avanti – sul territorio – dal fratello
Andrea e da altri (tra cui il Dettolo Vincenzo) avrebbe in un primo momento
assecondato i propositi di eliminazione del Marrazzo, successivamente invitando
il fratello Andrea ad imporre a costui una ripartizione degli utili, in attesa di una
sua possibile scarcerazione.
Una volta eseguito il delitto – secondo la decisione impugnata – da Tornicchio
Andrea e Dattolo Vincenzo, Tornicchío Francesco si sarebbe più che compiaciuto
per l’avvenimento ed avrebbe, a quel punto, esortato i suoi sodali ad andare
avanti nella ‘cacciata dei Rocchitani’ dal territorio del cantorato, sì da riprendere
a pieno ritmo le attività estorsive, sfruttando il clima di terrore correlato al
terribile fatto di sangue appena avvenuto.
Le fonti probatorie, per quanto risulta dalle due decisioni di merito, non sono di
tipo dichiarativo sul fatto specifico, nel senso che su tale episodio non vi è stata
acquisizione di dichiarazioni di collaboranti o di testimoni oculari in grado di
riconoscere lo sparatore.
Sono invece rappresentate da numerose intercettazioni ambientali relative a
colloqui registrati in carcere ed intervenuti tra il Tornicchio Francesco, all’epoca
detenuto, e i suoi familiari (tra cui il fratello Andrea) cui si uniscono i contenuti di
missive scritte dal Tornicchio Francesco e rinvenute e sequestrate presso
l’abitazione di Tornicchio Andrea.

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Francesco.

A tali contenuti si uniscono apporti dichiarativi di natura testimoniale che
concernono fatti antecedenti o successivi (in particolare le dichiarazioni rese da i
fratelli Maneli – vittime delle estorsioni – e dal Macrillà Giovanni, gestore dei
campi di calcetto) nonchè decisioni giudiziarie che inquadrano il contesto
criminale di riferimento.
Vi sono, altresi, le risultanze dì una complessa indagine tecnica circa l’utilizzo
degli apparecchi cellulari in uso a Tornicchio Andrea e Dattolo Vincenzo subito
prima e subito dopo il momento del delitto che attestano, quantomeno sul piano

veniva consumata.
A carico del Tornicchio Andrea viene posto anche l’esito negativo della verifica
processuale del prospettato alibi.
Ad avviso dei giudici del merito non vi è dubbio alcuno, in rapporto all’analisi
delle fonti, circa la compartecipazione criminosa tra Tornicchio Andrea e Dattolo
Vincenzo, mentre non viene ritenuto provato il contributo morale in capo al
Tornicchio Francesco.

2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore
Generale territoriale e le parti civili, nei sensi che verranno in seguito precisati,
nonchè gli imputati condannati Tornicchio Francesco, Tornicchio Andrea e Dattolo
Vincenzo.
2.1 I! Procuratore Generale territoriale ricorre avverso entrambe le statuizioni
sfavorevoli alla originaria opzione di accusa e dunque contro l’assoluzione di
Lerose Donatello dal concorso nell’omicidio Masucci e contro l’assoluzione di
Tornicchio Francesco dal concorso nella strage.
Quanto al primo tema la denunzia è di vizio dì motivazione e di violazione
dell’art. 192 cod.proc.pen. .
Ferma restando la inutilizzabilità a carico del Lerose del verbale contenente le
originarie accuse del Tornicchio, il PG impugnante ritiene che i restanti dati
indizianti, nella loro doverosa coordinazione logica, avrebbero dovuto
determinare la condanna del Lerose.
In particolare, si afferma che il contenuto della intercettazione ambientale del 6
novembre 2008 era di per sè chiaro, nel senso che Tornicchio Andrea riportava
agli altri colloquianti le affermazioni rese da Lerose Donatello sul delitto Masucci,
con particolari che denotavano la presenza del Lerose al momento della
esplosione dei colpi.
Tale dato non è stato, pertanto, correttamente interpretato ed andava letto
unitamente ad altre fonti dimostrative di sostegno, che attestavano
l’appartenenza del Lerose alla cosca Giglio, la sua frequentazione con la vittima e
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indiziario, che i due si trovavano nei pressi del luogo del delitto quando l’azione

gli altri dati evidenziati nell’atto di appello he viene integralmente allegato al
ricorso.
Quanto al secondo tema, la denunzia di vizio è analoga.
Le due decisioni di merito avrebbero infatti sottovalutato alcuni dati probatori,
antecedenti al fatto, che dimostrano come il Tornicchio Francesco abbia
«assecondato» il proposito di eliminazione del Marrazzo, in ciò esprimendo pieno
ed univoco concorso morale.
Inoltre, si sostiene che in un ulteriore interrogatorio – quello del 16 dicembre

da parte del Tornicchio, non oggetto di valutazione espressa.
Si ritiene pertanto incongrua la complessiva ricostruzione operata in sede di
merito – che valorizza alcune frasi captate in chiave di modifica
dell’atteggiamento iniziale dell’imputato – posto che in realtà l’analisi del
complesso materiale probatorio (che viene analiticamente indicato e rieditato nel
ricorso) portava ad escludere che l’iniziativa di sopprimere Marrazzo Gabriele
fosse esclusivamente il frutto di una determinazione presa da Tornicchio Andrea
e da Dattolo Vincenzo detto cecè.
Si insiste pertanto per l’annullamento – in tale parte – della decisione impugnata.
2.2 Il ricorso delle parti civili rappresentate e difese dall’avv. Giuseppe Napoli è
rivolto verso l’assoluzione di Tornicchio Francesco dal concorso nel delitto di
strage.
Si deduce erronea applicazione della disciplina in tema di concorso di persone nel
reato e vizio di motivazione.
E’ stato sottovalutato il ruolo di vertice del gruppo criminoso che il Tornicchio
Francesco nonostante lo stato detentivo, continuava a ricoprire.
Ciò emerge ampiamente dalle captazioni ambientali riportate nelle due decisioni
di merito, che vengono indicate e riportate per stralci nell’atto di ricorso.
Tornicchio Francesco impartisce direttive al fratello Andrea ed è il primo soggetto
ad essere interessato alla eliminazione del Marrazzo, che aveva osato riscuotere
il pizzo nel territorio sottoposto al controllo della famiglia Tornicchio.
Pertanto, le missive che, dopo la strage dei campetti, indicano la linea operativa
da seguire, provenienti dal Tornicchio, non rappresentano una adesione postuma
al progetto criminoso – penalmente irrilevante – ma la prosecuzione di una linea
che lo stesso Tornicchio Francesco aveva caldeggiato in precedenza.
Si trattava, pertanto, di pieno concorso morale realizzato tramite azione
istigatrice.
Tali considerazioni vengono ribadite anche sotto il profilo del vizio di
motivazione, ravvisandosi contraddittorietà interna del percorso decisòrio lì dove
l’analisi del movente ricomprende ampiamente la figura di Tornicchio Francesco,
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2010, acquisito mediante lettura – vi sarebbe stata una sostanziale ammissione

la cui penale responsabilità è stata esclusa sulla base di un supposto
ripensamento.
2.3 La parte civile Zito Antonio impugna le sole statuizioni patrimoniali, ritenendo
non congrua la provvisionale liquidata.
2.4 Tornicchio Francesco, con due distinti atti, ricorre a mezzo dei difensori
avverso l’affermazione di penale responsabilità per il concorso nell’omicidio
Masucci.
Nel primo dei ricorsi, a firma dell’avv. Salvatore Staiano, si articolano più motivi.

nelle due decisioni di merito per omessa trasmissione dei decreti di
autorizzazione, relativi al medesimo procedimento, da parte dell’ Ufficio di
Procura.
La difesa sostiene di aver articolato il motivo di doglianza in secondo grado,
senza ottenere risposta alcuna.
Con il secondo si deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione dei canoni
di valutazione probatoria di cui all’art. 192 cod.proc.pen.
Si afferma, con diffuse argomentazioni, che le dichiarazioni, ritenute confessorie,
rese dal Tornicchio Francesco in sede di indagine e non confermate in
dibattimento – pur se utilizzabili – avrebbero dovuto trovare elementi indizianti di
sostegno del tutto autonomi per poter fondare il giudizio di penale responsabilità,
secondo le ricadute logiche e giuridiche della regola contenuta nell’art. 533 co.1
cod. proc. pen .
Nel caso in esame, l’andamento altalenante della collaborazione del Tornicchio
era – di per sè – fattore di inattendibilità delle dichiarazioni rese, anche nella
parte auto-accusatoria.
Anche gli indicati – in sentenza – elementi di sostegno alla dichiarazione sono
fragili e mancano di reale autonomia.
Si afferma inoltre che la sottrazione della fonte al contraddittorio – pur
trattandosi dello stesso imputato – crea perplessità in rapporto al rispetto dei
principi del giusto processo ed impone la verifica – secondo la giurisprudenza
della Corte Europea dei diritti dell’Uomo – di dati di asseverazione del tutto
autonomi.
La Corte di secondo grado, nel ricostruire la genesi e le ragioni dell’omicidio
Masucci ha invece fatto riferimento a dichiarazioni di collaboranti senza
rispondere alle critiche formulate in punto di attendibilità dei medesimi con l’atto
di appello.
Con il terzo motivo si deduce erronea applicazione della norma regolatrice del
concorso di persone nel reato.

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Con il primo si deduce la inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali utilizzate

Dalle stesse dichiarazioni del Tornicchio non emerge con certezza che costui
fosse a conoscenza delle effettive intenzioni degli esecutori e la sua condotta si è
limitata a custodire una moto ed un’arma poi restituite ad altro soggetto prima
del fatto delittuoso.
Con il quarto motivo si deduce erronea applicazione della legge regolatrice e
vizio di motivazione in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti
generiche.
Non risultano valutati in modo adeguato due aspetti essenziali, ossia la

confessione) e la estrema marginalità del preteso apporto.
2.5 Nel secondo dei ricorsi, a firma dell’avv. Fabrizio Salviati, si formulano
censure analoghe in tema di vizio di motivazione della sentenza ed in tema di
erronea applicazione delle disciplina regolatrice del concorso di persone nel
reato.
Conviene evidenziare, pertanto, esclusivamente punti non trattati nel ricorso
illustrato sinora.
Si formula specifico motivo in relazione alla inutilizzabilità per violazione del
diritto di assistenza difensiva degli interrogatori resi da Tornicchio Francesco nel
dicembre del 2010, contestando i contenuti della ordinanza reiettiva emessa in
sede di merito il 26 maggio 2011.
Per il resto si ribadisce il deficit di attendibilità delle dichiarazioni autoaccusatorie
rese da Tornicchio Francesco sull’omicidio Masucci nel gennaio del 2008 (di tale
verbale non si contesta la utilizzabilità a carico). Manca una seria analisi, in
motivazione, della attendibilità del dichiarante ed i pretesi riscontri non hanno
alcuna reale portata di accrescimento conoscitivo.
2.6 Tornicchio Andrea ricorre – a mezzo dei difensori avv. Salvatore Staiano e
avv. Francesco Laratta – avverso l’affermazione di penale responsabilità per il
concorso nel delitto di strage del 25 giugno 2009.
Vengono articolati quattro motivi di ricorso.
Con il primo si deduce la inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali utilizzate
nelle due decisioni di merito per omessa trasmissione dei decreti di
autorizzazione, relativi al medesimo procedimento, da parte dell’ Ufficio di
Procura.
La difesa sostiene di aver articolato il motivo di doglianza in secondo grado,
senza ottenere risposta alcuna.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione della decisione
impugnata in riferimento a quanto previsto dall’art. 603 cod.proc.pen. ed in
rapporto alle conclusioni tratte in sede di merito circa la localizzazione del
Tornicchio e del coimputato Dattolo attraverso l’uso del telefono cellulare.
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collaborazione prestata (tanto che la decisione è essenzialmente basata sulla

In fatto, la difesa rappresenta che l’accertamento tecnico ruota essenzialmente
sull’avvenuto aggancio della ‘cella’ con numero finale 847 (tesa a coprire la zona
dei ‘campetti’) da parte del cellulare in uso al Dattolo alle ore 21.57 ed alle ore
22.06.
Tale dato tecnico era stato tuttavia contestato, rispetto alle sue ricadute in tema
di ‘localizzazione’ , con riferimento al contenuto di una dichiarazione scritta
proveniente dal responsabile della società WIND (in cui si afferma che tra il mese
di giugno del 2009 ed il periodo di esecuzione del test da parte del consulente

escludere la certezza dei risultati delle rilevazioni) e con riferimento ai contenuti
di una consulenza di parte, tesa ad affermare che l’impegno di detta cella con
finale 847 può essere derivato dall’eccessivo carico di una cella diversa e
limitrofa.
Circa tali aspetti era stata chiesta, pertanto, la parziale rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale per l’ascolto del tecnico della società WIND,
richiesta respinta dalla Corte di secondo grado con motivazione ritenuta non
congrua ed illogica.
La Corte ha motivato il diniego, tra l’altro, con la medesima osservazione già
espressa in primo grado e relativa al fatto che il cellulare di Macrillò Giovanni,
pacificamente presente ai campetti, quella sera alle ore 21.55 ha impegnato
durante una conversazione la medesima cella con il finale n. 847.
Tale dato, a parere del difensore, non era idoneo a determinare il rigetto della
richiesta istruttoria, posto che la cella n.847 serve un’area particolarmente
ampia e pertanto non vi è certezza alcuna circa il fatto che il Dattolo alle 21.57 si
trovasse nei pressi dei campetti (potendo l’apparecchio trovarsi in zona diversa
ed essere traslato per eccessivo traffico dì detta zona sulla cella 847). Peraltro
nel corso della conversazione successiva (quella delle 22.06) il telefono del
Dattolo stacca la cella 847 ed occupa la cella n.942, posta a considerevole
distanza ed anche tale dato non appare congruamente valutato.
Vi sarebbe pertanto, rilevante e specifico vizio motivazionale.
Con il terzo motivo si deduce ulteriore violazione di legge e vizio di motivazione
della decisione impugnata.
Si analizzano, in tale motivo, le emergenze probatorie poste a carico di
Tornìcchio Andrea e se ne contesta la valenza indiziante.
La descritta causale – ingerenza di Marrazzo Gabriele nelle pretese estorsive dei
Tornicchio – è meramente ipotetica. Da diversi elementi è apparsa, per converso,
una volontà di ripartizione dei proventi che contrasta con la scelta di sopprimere
il Marrazzo. Del resto, è pacifico che il Marrazzo si frequentava con il Tornicchio
Andrea ed il Dattolo Vincenzo, come la stessa decisione gravata afferma.
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della procura vi sono stati ‘significativi cambiamenti’ sugli impianti tali da

Da qui la non certezza del dato, peraltro solo di sostegno alla più complessiva
ricostruzione, nonchè la irragionevolezza della scelta, ove realmente operata dal
Tornicchio Andrea, di sopprimere il Marrazzo durante la partita di calcetto – con il
rischio di colpire, come è avvenuto, altri soggetti – e non in un luogo diverso e
più appartato, osservazione cui in sentenza è fornita risposta reputata illogica.
Sono rimaste inesplorate le ipotesi alternative di un omicidio commesso dal
gruppo dei ‘rocchitani’, irragionevolmente escluse in sentenza.
Così come alcune emergenze probatorie smentiscono, secondo il ricorrente, la

dopo la soppressione del Marrazzo.
Quanto alla videoregistrazione del colloquio del 18 settembre 2009, tra
Tornicchio Francesco, Tornicchio Andrea e la madre, il ricorrente ne evidenzia lo
scarso significato dimostrativo, in rapporto alla genericità delle affermazioni (si
riportano voci correnti) peraltro precedute da uno scambio di battute che i due
fratelli rendono non percepibile, il che esclude che un argomento così delicato
come la ‘strage dei campetti’ potesse venir affrontato senza precauzione alcuna
in caso di fondatezza di simili ‘voci’.
La condotta del Tornicchio Andrea in tale contesto non è dunque interpretabile
come confessione stragiudiziale, a differenza di come ritenuto dalla Corte
territoriale.
Quanto alla pretesa localizzazione tramite l’utilizzo del cellulare, si rieditano le
opposizioni logiche già illustrate in precedenza e ci si sofferma sui contenuti della
consulenza di parte, superati in sentenza in modo apodittico e travisante.
Non vi è alcuna certezza di tipo scientifico generalmente accettata circa tale
metodologìa di rilevazione della posizione di un apparecchio cellulare, il che
rende assente la valenza indiziante attribuita al dato, in una corretta chiave di
lettura delle attuali regole di giudizio normative.
Anche in rapporto al preteso valore indiziante dell’alibi indimostrato, il ricorrente
osserva che non vi è alcuna prova di ‘preordinazione’ delle deposizioni tese ad
asseverarlo che sono risultate fallaci solo per vizio nel ricordo. Non può pertanto
elevarsi la mancata conferma ad ulteriore indizio.
Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento al diniego delle
circostanze attenuanti generiche, motivato esclusivamente in considerazione
della gravità del fatto.
2.7 Nell’interesse di Dattolo Vincenzo sono stati proposti due atti di ricorso.
Con il primo, a firma dell’avv. Giovanni Aricò, vengono articolati quattro motivi di
ricorso.

11

ritenuta pressione estorsiva dei Tornicchio verso i fratelli Maneli immediatamente

Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione della decisione impugnata e
violazione del canone legale di valutazione della prova di cui all’art. 192 co.2
cod.proc.pen. .
Le emergenze probatorie poste a carico del Dattolo sono di natura indiziaria. Ciò
posto, il ricorrente sostiene che le decisioni di merito non hanno fatto corretta
applicazione dei criteri normativi e della elaborazione giurisprudenziale sul tema,
anche in riferimento alla necessaria tenuta logica del ragionamento probatorio
affermativo della responsabilità, al di là di ogni ragionevole dubbio.

giustificativo, divise per temi.
Quanto al ritenuto movente, si rappresenta che l’intromissione di Marrazzo
Gabriele negli affari illeciti di tipo estorsivo già gestiti dalla famiglia Tornicchio
nella zona del Cantorato non è un dato processualmente assistito dalla certezza
e che anche i pretesi propositi di soppressione del Marrazzo da parte dei
Tornicchio non risultano certi.
Peraltro nella conversazione intercettata nel febbraio 2009 è proprio Tornicchio
Andrea a rappresentare al fratello Francesco una necessaria convivenza, il che
renderebbe irragionevole la successiva deliberazione omicidiaria in capo al solo
Andrea, come ritenuto in sede di merito.
Si fa inoltre riferimento al travisamento della deposizione resa da Maneli
Giancarlo, posto che costui non avrebbe confermato la ripresa delle attività
estorsive da parte di Tornicchio Andrea una volta avvenuta l’eliminazione del
Ma rrazzo.
Pertanto, non potrebbe confermare il preteso movente il contenuto della
successiva missiva inviata dal carcere da parte di Tornicchio Francesco alla
famiglia Maneli, posto che la stessa decisione impugnata ha escluso il concorso di
Tornicchio Francesco.
In ogni caso il preteso movente riguardarebbe, al più, Tornicchio Andrea ma non
certo il Dattolo.
Quanto al sistema di localizzazione, si ritiene anche in tal caso, l’accertamento
compiuto privo di efficacia indiziante reale, posto che la zona «servita» dalla
cella agganciata dal Dattolo è – di per sè – molto ampia e pertanto il dato non
offre certezza alcuna circa la presenza dell’imputato in prossimità dei campi di
calcetto.
Quanto ai contenuti della intercettazione ambientale del 18 settembre 2009, al di
là di ogni altra considerazione, si rappresenta che nella stessa si parla di ‘un
Dattolo’ mentre i conversanti quando si riferiscono all’attuale ricorrente lo
indicano con il diminutivo ‘cecè’

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Anche in tale ricorso, pertanto, vengono articolare critiche al ragionamento

Con il secondo motivo di ricorso si deduce erronea applicazione della legge
penale, con riguardo al contenuto dell’art. 422 cod.pen. .
A parere del ricorrente tale qualificazione giuridica è errata.
Il dolo del delitto di strage deve essere univocamente orientato alla esposizione
a pericolo della pubblica incolumità, con uteriore direzione della volontà a
provocare altresì la morte di una o più persone.
Nel caso in esame la decisione impugnata valorizza la volontà omicida in danno
del Marrazzo, come dato primario, in ciò trascurando il dettato normativo.

del Marrazzo, con ascrivibilità degli ulteriori eventi lesivi ai sensi dell’art. 83 co.2
cod. pen. (aberratio plurilesiva).
Con il terzo motivo si deduce erronea applicazione della norma di cui all’art. 7
legge n.203 del 1991.
Valgono, sul punto, le considerazioni espresse in rapporto all’assenza di prova
del movente, per come ricostruito in sentenza. Ciò esclude l’applicabilità, in ogni
caso, della circostanza aggravante in parola, peraltro governata da dolo specifico
in punto di coefficiente soggettivo di tipo finalistico.
Con il quarto motivo si deduce erronea applicazione della legge penale e vizio di
motivazione in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La motivazione è meramente apparente e non realizza la necessaria
individualizzazione del trattamento sanzionatorio, prescritta dall’art. 133
cod.pen. .
L’ulteriore ricorso riproduce, essenzialmente, le medesime doglianze.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi – sia quello proposto dalla pubblica accusa che quelli proposti dagli
imputati – risultano infondati e vanno pertanto rigettati, per le ragioni che
seguono.
2. Conviene esaminare separatamente i diversi episodi delittuosi, partendo dalla
vicenda rappresentata dall’omicidio avvenuto in data 29 novembre 2007 in
danno di Masucci Michele.
In rapporto a tale episodio è stata affermata la penale responsabilità di
Tornicchio Francesco ed è stato assolto Lerose Donatello.
2.1 Il ricorso proposto dal Procuratore Generale territoriale e relativo a Lerose
Donatello è infondato e va pertanto rigettato.
I vizi metodologici denunziati nell’atto di ricorso non sono, a parere del Collegio,
sussistenti, posto che le due decisioni di merito hanno sottoposto a valutazione in modo completo – le emergenze probatorie (depotenziate dalla scelta di
13

Si tratterebbe, pertanto, di azione da qualificarsi in omicidio volontario in danno

Tornicchio Francesco di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale, con
conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni erga alios rese in sede di indagini)
ed hanno, in modo non illogico, assegnato alle stesse un «valore dimostrativo»
che non consente l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato per il
concorso dell’omicidio, in virtù di quanto previsto dagli articoli 530 e 533
cod.proc.pen. .
Non si è negato, pertanto, che alcune circostanze probatorie (l’appartenenza del
Masucci alla medesima cosca Giglio, i contrasti interni, i sospetti degli stessi

raggiunto da un complesso di elementi (in senso ampio) indizianti ma si è
affermato – più semplicemente – che nessuno di tali indizi ha una consistente
«forza indicativa» (ben potendo, sul piano logico, il delitto essere stato
commesso da un ‘diverso’ appartenente alla cosca Giglio) tale da consentire
l’affermazione di penale responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.
Tale affermazione – non essendo frutto di incompletezze valutative o
travisamenti del contenuto informativo – non è sindacabile nella presente sede di
legittimità, non potendo questa Corte operare una semplice ‘sostituzione’ dei
parametri di apprezzamento della singola fonte, posto che ciò determinerebbe un
improprio ‘scivolamento’ del giudizio di legittimità verso un terzo grado di merito.
Il giudizio di legittimità, infatti, non si costruisce sull’esame delle possibilità
rappresentative – anche plausibili – del fatto, ma sulla opzione del fatto come
recepita dal giudice di merito, nel senso che il controllo sulla corretta
applicazione dei canoni logici e normativi che presidiano l’attribuzione del fatto
all’imputato passa necessariamente attraverso l’analisi dello sviluppo
motivazionale della decisione impugnata e della sua interna coerenza logicogiuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove»
attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati
dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura,
maggiormente esplicativa, e sempre che non sia rilevabile un vizio tale da
comportare l’annullamento (si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012,
Lupo, Rv 252178) .
Tale ragionamento va esteso alla «interpretazione» fornita dai giudici del merito
dei contenuti della conversazione tra presenti del 6.11.2008, elemento che nell’ottica seguita dal ricorrente – viene indicato come potenzialmente idoneo a
dissipare i dubbi circa la compartecipazione del Lerose al fatto criminoso.
Per costante orientamento espresso nella presente sede di legittimità (di recente
ribadito da Sez. U. n. 22471 del 26.2.2015, rv 263715) è possibile prospettare
una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella
proposta dal giudice del merito solo in presenza del travisamento della prova
14

familiari della vittima sul Lerose e sul Fazio) consentono di ritenere l’imputato

(indicazione del contenuto in modo difforme da quello reale) o in presenza di una
manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione espressa sul punto (tra
le molte ( Sez. II n. 35181 del 22.5.2013 rv 257784; Sez. VI n. 11189 del
8.3.2012, rv 252190).
Nessuna di dette ipotesi è dato apprezzare, nel caso in esame.
Le decisioni infatti, evidenziano un contenuto della conversazione conforme al
reale e non negano che nel corso della conversazione si parli, tra l’altro,
dell’omicidio commesso in danno del Masucci ma – al contempo – manifestano

presente il Lerose) circa l’identità del soggetto che, per come riferito da
Tornicchio Andrea agli astanti, avrebbe riferito i dettagli raccapriccianti (lo
scoppio del cranio) di tale delitto.
Il dubbio non è irragionevole posto che, effettivamente, nel corso della
conversazione Tornicchio Andrea attribuisce a tale Montesano l’azione narrativa
specifica (.. lo sai che ha detto Montesano ?…).
Sul punto, come osservato nella decisione di primo grado, non appare decisiva al fine di superare l’obiettiva incertezza – la circostanza, pure esposta da Andrea
..tremava .., apparendo logicamente

Tornicchio, che lo stesso Montesano

possibile che tale stato d’animo descritto derivasse non già dal fatto di
raccogliere una narrazione altrui ma dalla rievocazione di un fatto (almeno in
parte) proprio.
Non appare, inoltre, illogica la considerazione (espressa nella decisione
impugnata) per cui – in ogni caso – la distanza temporale dal fatto e la nota
Icircolarità’ delle informazioni in ambito criminale determina ulteriore incertezza
circa l’effettiva partecipazione al delitto dell’ipotetico narratore (Montesano o
Lerose).
Inoltre, correttamente non è stata assegnata alcuna valenza indiziante alla mera
sottoposizione del Lerose (e del Fazio) all’esame dello stub, dato l’esito negativo
del medesimo.
Pertanto, secondo le linee qui esposte, il ricorso non può trovare accoglimento.
2.2 Il ricorso proposto da Tornicchio Francesco è parimenti infondato, per le
ragioni che seguono.
Va premesso che alcuni dei motivi proposti risultano del tutto inconferenti
rispetto al contenuto ed al tenore della motivazione, posto che l’affermazione di
penale responsabilità di Tornicchio Francesco è essenzialmente basata sul
contenuto confessorio delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio in data 7
gennaio 2008, confrontate con informazioni probatorie di prova generica
(modalità del fatto e utilizzo di un fucile calibro 12 caricato a pallettoni).

15

dubbi non irragionevoli (in un contesto espressivo che non vede fisicamente

Non vi è pertanto alcuna rilevanza delle doglianze proposte in punto di
intercettazioni ambientali o relative alla utilizzabilità di interrogatori realizzati in
epoca successiva.
Ciò consente di restringere l’esame delle doglianze ai punti effettivamente
rilevanti, nei modo che segue.
2.3 Nessun dubbio può essere formulato in punto di piena utilizzabilità ai fini
della decisione delle dichiarazioni contra se contenute nel verbale prima indicato.
La scelta processuale dell’esercizio del diritto al silenzio in dibattimento azzera il

della parte autoincriminante di quel verbale, ai sensi dell’art. 513 comma 1
cod.proc.pen. .
Fuorviante è, sul tema, la prospettazione difensiva nella parte in cui si ritiene
necessaria l’asseverazione del narrato tramite elementi di riscontro – in senso
proprio – del tutto autonomi in virtù della «sottrazione al contraddittorio» della
fonte (secondo motivo di ricorso a firma avv. Staiano).
I principi costituzionali (art. 111 co.3 e co.4) e convenzionali (art. 6 co.3 Conv.
Eur.) pongono la garanzia del contraddittorio – quale metodo di formazione della
prova – e la direzionano come garanzia dell’individuo ‘accusato’ di poter rivolgere
domande dirette alla fonte probatoria a carico (tese alla verifica coram partibus
della attendibilità) implicando la diversità antologica della fonte dimostrativa
rispetto alla persona dell’imputato.
La confessione è, infatti, trasferimento all’autorità investigante di un patrimonio
conoscitivo «proprio» , effettuata in un contesto formalizzato e con previa
informazione delle conseguenze giuridiche del proprio dire, il che – sul piano
logico prima ancora che giuridico – esclude che possa porsi il tema dell’ineludibile
controllo di attendibilità successivo mediante la escussione corale della fonte.
D’altra parte, a conferma di tale profonda diversità di condizione giuridica tra le
dichiarazioni «proprie» (sempre utilizzabili a carico) e quelle «altrui» sta l’intera
elaborazione dell’istituto del ‘diritto al confronto con l’accusatore’ maturata in
sede sovranazionale e i numerosi precedenti giurisprudenziali (di recente Cedu
Sez. Il, Ogaristi contro Italia, decisione del 18.5.2010) che sottolineano la
necessità di tutela del diritto in questione ed escludono che una condanna possa
basarsi – lì dove sia consentito il recupero delle dichiarazioni del teste rese al di
fuori del contraddittorio – unicamente o in misura determinante su tale fonte.
Da ciò deriva il filone interpretativo – del tutto condivisibile – per cui in caso di
acquisizione – per sopravvenuta impossibilità di ripetizione – di dichiarazioni (rese
da altri) raccolte in assenza di contraddittorio la affermazione di responsabilità
deve trovare sostegno anche in altre risultanze probatorie (Sez. U. n. 27918 del
25.11.2010 rv 250199; Sez. H n. 13387 del 14.3.2012, rv 252708).
16

valore ricostruttivo delle dichiarazioni eteroaccusatorie ma fa salva l’utilizzabilità

Nel caso di confessione, dunque, resta ferma – anche in ipotesi di acquisizione
dell’atto di indagine che la contiene – la posizione interpretativa che evidenzia la
libera valutazione dei contenuti (con eventuale scindibilità, nei modi evidenziati
tra le altre da Sez. I n. 35933 del 14.6.2011, rv 250774) secondo le ordinarie
coordinate di prudenza espresse, tra le altre, da Sez. I n. 12227 del 2014 ove si
è affermato che la confessione può essere posta a base del giudizio di
colpevolezza dell’imputato nelle ipotesi nelle quali il giudice ne abbia
favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l’attendibilità, fornendo

autocalunniatorio o di intervenuta costrizione sul soggetto, cosicché ove tale
indagine, estesa al controllo su tutte le emergenze processuali, non conduca a
smentire le originarie ammissioni di colpevolezza, dovrà allora innegabilmente
riconoscersi alla confessione il valore probatorio idoneo alla formazione del
convincimento della responsabilità dell’imputato, anche se costui, dopo aver reso
confessione del delitto di omicidio alla polizia giudiziaria, al pubblico ministero ed
al giudice per le indagini preliminari, abbia ritrattato in dibattimento le
precedenti dichiarazioni.
2.4 Nel caso in esame, circa le modalità realizzative di detto controllo di
attendibilità, le critiche mosse nel ricorso risultano del tutto infondate.
Le due decisioni di merito sviluppano il tema in modo del tutto adeguato e senza
vizi logici, posto che il primo indice rivelatore di attendibilità intrinseca è dato
dalla constata appartenenza – realizzata anche attraverso altre fonti e del resto
dimostrata dall’istruttoria svolta anche sull’ulteriore episodio delittuoso – di
Tornicchio Francesco alla consorteria criminale della cosca Giglio, il che rende del
tutto credibile la narrazione anche sotto il profilo del movente dell’omicidio
(anche in tal caso asseverato da fonti autonome e convergenti).
A tale indicatore – di certo rilevante – si è unita la considerazione della
«rispondenza» della narrazione operata alle risultanze di generica (luogo del
fatto e sue modalità realizzative) il che esclude – sul piano logico – il rischio di
dichiarazioni rilasciate al mero scopo di compiacere gli inquirenti e rafforza, al
contempo, i sintomi di veridicità dei contenuti.
Per il resto, il valore dimostrativo della confessione è ricollegato – in via generale
– ad una massima di esperienza della cui validità non è lecito dubitare, contenuta
nella constatazione per cui chi si espone – senza costrizioni – alle conseguenze
negative di una affermazione propria (nel caso di specie così rilevanti) racconta
fatti rispondenti al vero.
La successiva condotta tenuta dal Tornicchio Francesco è ricollegata – per come
esposto nella decisione sulla base delle evidenze disponibili ed in modo non
illogico – alla volontà del medesimo di rientrare nel contesto associativo di
17

ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di intendimento

riferimento, il che non può comportare alcuna riduzione del «valore persuasivo»
delle precedenti affermazioni, come si è ritenuto in sede di merito.
Trattasi, anche in tal caso, della applicazione di ordinari canoni logici ed
esperenziali per cui la scelta di ‘abbandonare’ un percorso collaborativo, ove
sostenuta dalla volontà di rientrare in contesti criminali omertosi implica quantomeno – la sottrazione al contraddittorio dibattimentale.
Tali aspetti, pertanto, risultano coerentemente e logicamente valutati nella
decisione impugnata.

potessero essere interpretate come affermative di un concorso nel reato di
omicidio ai sensi dell’art. 110 cod.pen. (terzo motivo di ricorso a firma avv.
Staiano).
Il contributo fornito, come si è evidenziato in sede di merito, riguarda infatti la
«semplificazione» della fase esecutiva attraverso la temporanea custodia di
strumenti essenziali (lo scooter e il fucile) per l’esecuzione del delitto ed è stato
assistito – secondo lo stesso contenuto delle dichiarazioni – dalla piena
consapevolezza circa il fatto che gli strumenti in questione sarebbero stati, il
giorno successivo alla consegna, utilizzati per l’esecuzione dell’omicidio del
Masucci.
Vi è pertanto piena rispondenza del fatto alla fattispecie incriminatrice di
riferimento posto che l’estensione di tipicità di cui all’art. 110 cod.pen. consente
di ricomprendere nella punibilità concorsuale ogni tipologìa di consapevole
agevolazione, nel caso in esame ben identificata in fatto (Sez. U. n. 42756 del
30.10.2003).
2.6 Infondato è altresì il quatto motivo, sul tema del diniego delle circostanze
attenuanti generiche.
La Corte di merito ha valorizzato a tal fine l’estrema gravità del fatto, i plurimi
precedenti dell’imputato, il contesto mafioso di riferimento.
Detta motivazione, di per sè sufficiente ad escludere la possibile attenuazione del
trattamento sanzionatorio, va calata nella dinamica processuale, ove a fronte di
una confessione resa in sede di indagini (con annessa chiamata in correità) è
subentrata la scelta del silenzio in dibattimento.
La difesa del ricorrente evidenzia che in ogni caso, andava valutata in modo
favorevole la confessione resa (ed utilizzata) anche se non confermata,
unitamente alla marginalità del ruolo.
Si tratta, tuttavia, di aspetti la cui mancata considerazione espressa non dà
luogo ad alcun vizio, posto che – per le ragioni che seguono – non hanno capacità
di modifica del segmento del giudizio qui considerato.

18

2.5 Nè può sostenersi che le dichiarazioni «originarie» del Tornicchio non

Appare dunque possibile rettificare in parte la motivazione espressa (secondo la
interpretazione dell’art. 619 co.1 cod.proc.pen. sostenuta, tra le altre, da Sez. I
n. 9707 del 10.8.1995, rv 202302) con le considerazioni che seguono.
Corretta risulta essere la considerazione – in chiave di limite alla applicazione
dell’art. 62 bis cod.pen. – della gravità del fatto e della negativa personalità
dell’imputato.
Al contempo, la valutazione – in tesi – della confessione, qui apprezzabile
esclusivamente sul piano della sua efficacia probatoria (e non come indice di

luogo, nel caso in esame, ad alcuna attenuazione della pena. Non può ritenersi,
inoltre, ‘marginale’ il ruolo svolto, data l’effettiva incidenza nella attività
esecutiva del reato (per come ricostruita in sede di merito), pur se in un
momento antecedente a quello esecutivo in senso proprio.
Le circostanze attenuanti atipiche, introdotte dal decreto legislativo
luogotenenziale n. 288 del 14.9.’44, rappresentano infatti uno strumento di
individualizzazione della risposta sanzionatoria lì dove sussistano – in positivo elementi del fatto o della personalità, tali da rendere necessaria la mitigazione,
ma non previsti espressamente da altra disposizione dì legge.
L’applicazione della norma in tal senso necessita di un substrato cognitivo e di
una adeguata motivazione, ed è da escludersi l’esistenza di un generico potere
discrezionale del giudice di riduzione dei limiti legali della sanzione, dovendo di
contro apprezzarsi e valorizzarsi un «aspetto» del fatto o della personalità
risultante dagli atti del giudizio (tra le molte Sez. VI 28.5.1999 n. 8668).
Da qui, stante l’ampia tipizzazione di fattori circostanziali da un lato e la
necessità di ancorare l’applicazione della norma ad un preciso indicatore di minor
disvalore del fatto-reato dall’altro, è derivato il filone interpretativo che individua
proprio nelle categorie generali descritte nell’art. 133 cod.pen. il principale
‘serbatoio’ di ipotesi, capace di razionalizzare e rendere controllabile la
valutazione del giudicante.
In tal senso, si è ritenuto che la valutazione sotto diversi profili (commisurazione
della pena nell’ambito edittale e riconoscimento o negazione delle attenuanti
generiche) della stessa situazione di fatto è del tutto legittima, ben potendo un
dato polivalente essere utilizzato più volte per distinti fini e conseguenze (Sez. I
n. 1376 del 28.10.1997, rv 209841).
Le linee-guida della «gravità del reato» (art. 133 co.1) e della «capacità a
delinquere del colpevole» (art. 133 co.2) restano pertanto gli indicatori essenziali
cui ancorare la particolare valutazione postulata dall’art. 62 bis cod.pen. e ciò
conduce – da sempre – a ritenere il «fatto» della confessione processuale come
possibile fattore di attenuazione della sanzione ai sensi dell’art. 133 co.2 n.3
19

effettiva resipiscenza, date le condotte successive) pur se omessa non può dar

(sub specie condotta susseguente al reato e sua possibile incidenza sulla
valutazione della capacità a delinquere).
Pur a fronte della commissione di un fatto-reato di elevata gravità (come nel
caso qui in esame) non vi è dubbio – pertanto – che l’apporto confessarlo può
fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sempre che – ed
è questo il tema – lo stesso non sia un ‘semplice’ fattore di agevolazione nella
ricostruzione del fatto controverso ma un preciso «indicatore» di riconsiderazione
critica del proprio operato e discontinuità con il precedente modus agendi (tra le

27.1.2012, rv 252229).
Ciò, a ben vedere, è imposto dalla correlazione – interna alla norma dell’art. 133
– tra la ‘condotta susseguente al reato’ e la categoria della ‘capacità a delinquere’
(nel senso che ciò che emerge nel primo ambito va qualificato come incidente
sulla seconda), specie in un contesto sostanziale e processuale la cui evoluzione
«storica» consegna ad altri istituti – a cavallo tra diritto e processo – il compito di
attenuare la sanzione in «cambio» di scelte di semplificazione processuale (riti
speciali di cui agli artt. 438 ss. e 444 e ss.).
Non è un caso, pertanto, che anche lì dove si sia riaffermata – come valore
costituzionale – la libertà del giudice di valorizzare come indicatore positivo ai fini
previsti dall’art. 62 bis la condotta susseguente al reato ( Corte Cost., sentenza
n. 183 del 2011 dichiarativa della illegittimità del limite dì apprezzamento che
era stato introdotto dal legislatore del 2005 in ipotesi di recidiva qualificata) si è
precisato a più riprese che l’irragionevolezza della scelta legislativa era nel suo
automatismo di inibizione, posto che la condotta susseguente al reato «può
segnare una radicale discontinuità negli atteggiamenti della persona e nei suoi
rapporti sociali, di grande significato per valutare l’attualità della capacità a
delinquere» . Il finalismo rieducativo della pena trova dunque un riconoscimento
lì dove – in sede di quantificazione processuale – si possa dare peso a condotte
«che manifestino una riconsiderazione critica del proprio operato».
Anche la – ricordata – lettura data dal giudice delle leggi al rapporto tra condotta
susseguente al reato ed applicazione delle attenuanti generiche conferma,
pertanto, una rilevanza «mediata» della confessione processuale, da ritenersi
indicatore utile solo nei limiti di «effettiva incidenza» sulla capacità a delinquere
e non come mero strumento di semplificazione probatoria.
Nel caso in esame la condotta successiva al momento confessarlo non avrebbe in ogni caso – reso possibile la valorizzazione del dato nei sensi qui considerati,
posto che la ripresa dei rapporti con l’organizzazione criminale da parte di
Tornicchio Francesco- valorizzata in altra parte della decisione di merito – esclude

20

molte Sez. VI n. 3018 del 11-10.1990, rv 186592; Sez. VI n. 11732 del

che possa parlarsi di effettiva «discontinuità» con le precedenti condotte e
sistema di vita e rende immune da vizi il diniego opposto in sede di merito.
Può dunque ritenersi, anche alla luce delle precisazioni operate, infondato il
motivo di ricorso.
3. Quanto al secondo episodio delittuoso preso in esame (la strage dei campetti
di via delle orchidee del 25 giugno 2009) è stata affermata, come esposto in
parte narrativa, la penale responsabilità di Tornicchio Andrea e Dattolo Vincenzo
ed è stato mandato assolto Tornicchio Francesco.

seguono.
3.1 Quanto ai motivi proposti – dal Procuratore Generale e dalle parti civili – in
riferimento alla assoluzione di Tornícchio Francesco, va affermato che nessun
vizio logico o giuridico è dato rinvenire nella doppia decisione conforme di
merito.
Anche in tal caso, infatti, ci si trova di fronte a valutazioni del «peso
dimostrativo» di talune emergenze probatorie a carico – in rapporto al necessario
rispetto della regola di giudizio di cui agli art. 530 e 533 cod.proc.pen. – che
risultano realizzate in modo non illogico e senza omissione di dati rilevanti .
Va infatti preso atto della condizione detentiva di Tornicchio Francesco al
momento del fatto e nel periodo storico che lo precede, il che impone di
individuare – in tesi favorevole all’ accusa – una precisa ed inequivoca condotta
«istigatrice» (come del resto ipotizzato nella imputazione) tale da rappresentare
una tangibile forma di realizzazione e manifestazione del concorso morale,
antecedente al fatto delittuoso, secondo le linee interpretative tracciate – sul
tema – da Sez. U. n. 45276 del 30.10.2003, rv 226101.
Le due decisioni di merito dopo aver illustrato ed analizzato il materiale
istruttorio – essenzialmente consistente in captazioni di colloqui intrattenuti da
Tornicchio Francesco durante il periodo detentivo con il fratello Andrea e altri
congiunti, cui si unisce il contenuto di missive provenienti dallo stesso ed oggetto
di sequestro – escludono che sia rinvenibile in tali informazioni probatorie un
«mandato» o una concreta «attività istigatoria» finalizzata a rafforzare il
proposito criminoso di eliminazione di Gabriele Marrazzo (coltivato da Tornicchio
Andrea e da costui realizzato in concorso con Dattolo Vincenzo).
L’analisi si fonda sulla «sequenza storica» dei dati e sulla interpretazione del
contenuto delle conversazioni e delle missive, secondo una linea ricostruttiva che
può essere sintetizzata nel modo che segue :
a) Tornicchio Francesco sul finire dell’anno 2008 e nei primi mesi del 2009 è di
certo estremamente polemico (anche rabbioso) nei confronti del fratello Andrea
che, sul territorio del cantorato, non riesce ad imporre il prelievo estorsivo 21

I ricorsi proposti avverso dette statuizioni sono infondati, per le ragioni che

vitale per la sopravvivenza della cosca – e che ‘tollera’ come il gruppo criminoso
di Rocca di Neto (cui appartiene il Marrazzo) interferisca nelle attività di raccolta
del denaro. Tale dato, tuttavia, è solo in apparenza interpretabile come indizio a
carico di Tornicchio Francesco (attiene al movente ma non alle scelte soggettive
dell’imputato per risolvere il problema) posto che la «linea» da lui suggerita non
è mai – nei colloqui e nelle missive, unici dati probatori valutabili – quella della
eliminazione fisica del Marrazzo, quanto quella della «convivenza» (sia pure mal
digerita) con divisione in modo equo (ed anche con il Marrazzo) dei proventi

b)

tale linea viene caldamente raccomandata da Tornicchio Francesco a

Tornicchio Andrea anche nel periodo immediatamente precedente a quello
dell’omicidio (missiva inoltrata dal carcere di Potenza in data 11 giugno 2009) ;
c) solo dopo l’esecuzione del delitto (a partire dalla missiva del 18 luglio 2009)
Tornicchio Francesco si mostra ‘esaltato’ per l’accaduto e tende a sfruttarne gli
esiti intimidatori, da un lato indicando al fratello Andrea ed al cecè le attività da
compiere in chiave di ulteriore riaffermazione della supremazia del ‘gruppo
Tornicchio’ e dall’altro indirizzando – sempre dal luogo di reclusione – una missiva
all’imprenditore Maneli in cui riafferma l’attualità della imposizione estorsiva e la
pressante esigenza di denaro.
Ora, trattandosi di motivazione che – in larga misura – si fonda sull’analisi degli
esiti captativi (conversazioni e missive) va qui ribadito quanto si è già affermato
nel trattare la posizione di Lerose Donatello, in particolare per quanto riguarda i
limiti ontologici del giudizio di legittimità (è possibile prospettare una
interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta
dal giudice del merito solo in presenza del travisamento della prova indicazione del contenuto in modo difforme da quello reale – o in presenza di una
manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione espressa sul punto).
I ricorsi proposti non individuano né una frattura logica del ragionamento
probatorio nè un travisamento – in senso stretto – del contenuto delle fonti
dimostrative.
Anzi, sono gli stessi ricorsi a mal confrontarsi con il percorso motivazionale
espresso nelle due decisioni.
In nessun punto delle due motivazioni si afferma – infatti – che Tornicchio
Francesco avrebbe in un primo momento «sollecitato» in modo chiaro
l’eliminazione fisica del Marrazzo , salvo poi avere un «postumo ravvedimento».
La sentenza impugnata, in particolare, individua in modo chiaro la «carenza ab
origine del centrale aspetto della istigazione o della determinazione riferibile
all’appellato» (pag. 105 della decisione) precisando – peraltro – che la mera
conoscenza del proposito criminoso altrui (che emerge in modo chiaro dalle
22

delle estorsioni ;

inequivoche affermazioni rese da Tornicchio Andrea nel corso della conversazione
con Tornicchio Francesco captata in data 9 ottobre 2008, al di là di quanto
affermato dall’imputato nell’interrogatorio del 2010) non costituisce di per sè
concorso morale, specie nel caso in cui alla animosità del fratello Andrea nei
confronti del Marrazzo sia stata opposta – nel medesimo contesto – la frase ..
lascialo perdere quello stupido.. .
Tale considerazione – espressa dalla Corte di secondo grado – oltre ad essere
logicamente ineccepibile è corretta in diritto, posto che il concorso morale

modo espresso all’altrui proposito delittuoso, in ciò realizzando un effetto di
effettivo rafforzamento del proposito criminoso.
L’errore di impostazione, pertanto, vizia in radice le argomentazioni dei ricorrenti
(tanto la parte pubblica che le parti private) e finisce con il rendere «deassiale» il
contenuto dei ricorsi rispetto alle esigenze di confronto con il testo della
decisione impugnata.
Le restanti argomentazioni sollecitano questa Corte a realizzare un diverso
apprezzamento del «peso dimostrativo» delle singole informazioni probatorie,
operazione – come si è detto più volte – non realizzabile nella presente sede di
legittimità.
I due ricorsi qui in esame, pertanto vanno – entrambi e nel complesso – rigettati.
12 Il ricorso proposto nell’interesse di Tornicchio Andrea risulta infondato, per le
ragioni che seguono.
Quanto al primo motivo, va qui ribadito che in tema di intercettazioni, i decreti
autorizzativi non rientrano tra gli atti che devono essere inseriti nel fascicolo per
il dibattimento ex art. 431, primo comma, cod. proc. pen., sicché il loro mancato
inserimento nello stesso non determina alcuna inutilizzabilità degli esiti delle
attività di captazione, salvo che non sia prospettata l’inesistenza o la nullità degli
stessi (Sez. I n. 7845 del 21.1.2015, rv 262533). Nel caso in esame, pertanto, il
motivo va – in ogni caso – disatteso, non essendo stata prospettata alcuna
specifica questione di inutilizzabilità ma esclusivamente l’omessa allegazione
(prospettata dalla difesa) di detti decreti.
3.3 Il secondo motivo di ricorso va esaminato in via congiunta con il contenuto
del terzo motivo.
Al fine di valutare, infatti, la congruità della motivazione espressa dalla Corte di
merito – con cui si è negata la parziale rinnovazione del dibattimento in secondo
grado – è necessario comprendere l’incidenza della richiesta di ulteriori
accertamenti formulata dalla difesa (ai sensi dell’art. 603 cod.proc.pen.) sul
tema della «localizzazione» delle utenze cellulari del Tornìcchio e del Dattolo la
sera del 25 giugno 2009, secondo gli esiti della consulenza di parte.
23

sussiste se ed in quanto l’ipotizzato concorrente aderisca – quantomeno – in

La difesa ha rappresentato nel ricorso l’avvenuta violazione dell’art. 603 co.3
codice di rito in rapporto alla «assoluta necessità» quantomeno dell’ascolto del
teste Del Buono, estensore della nota della compagnia WIND del 13 luglio 2012
con cui si attestava l’esistenza di «significativi cambiamenti» intervenuti sugli
impianti tra il 2009 e il 2011, con sostanziale inutilità del «drive test» (eseguito
dai consulenti del pubblico ministero) a fini di esatta individuazione della
posizione degli apparecchi riceventi.
La motivazione del diniego espressa in sentenza (alle pagine 97 e seguenti) si

Del Buono (circa i riferiti cambiamenti sulla rete di impianti), sul dato obiettivo
rappresentato dal fatto che la ‘cella’ con finale numero 847 è rimasta – dal
momento del fatto a tutt’oggi – ubicata nella medesima posizione (e dunque
continua a ‘coprire’ anche la zona dei campetti), nonché sulla mera ipoteticità
della ipotesi alternativa dell’eccesso del traffico telefonico al momento del fatto
nella zona interessata (con traslazione su impianti più distanti), ipotesi
logicamente smentita dal fatto che il cellulare del Macrillò – pacificamente
presente presso i campetti – impegnò pochi attimi prima del fatto la stessa cella
con finale 847.
Ciò posto, va anzitutto precisato che la richiesta difensiva, per come formulata,
non poteva rientrare nell’ambito applicativo della previsione di legge di cui all’art.
603 co.3 cod.proc.pen. (norma che ricollega l’esercizio del potere istruttorio alla
‘assoluta necessità’) trattandosi di sollecitazione tesa ad introdurre non già un
elemento capace di apportare – sul tema – una certezza scientifica, quanto una
mera informazione tesa a criticare gli esiti (solo probabilistici) della consulenza
tecnica elaborata dall’accusa (introduzione dunque di un tema meramente
espolrativo, non rispondente ai contenuti della norma data la presunzione di
tendenziale completezza dell’istruttoria svolta in primo grado, così Sez. III n.
23058 del 26.4.2013, rv 2562173) .
In tal senso, va affermato che al più la richiesta era da inquadrarsi nell’ambito
del co.1 dell’art. 603, il che impone di valutare la motivazione del diniego in
rapporto al diverso parametro della decidibilità o meno allo stato degli atti.
E la motivazione espressa, nel suo complesso, dalla Corte di secondo grado
appare logica e coerente, in riferimento al complesso delle informazioni
probatorie raccolte e al valore «probabilistico» della localizzazione operata
tramite l’utilizzo degli apparecchi telefonici, valutabile in una con altri dati
indizianti.
Sul tema va operata, infatti, una precisazione di ordine generale che riguarda il
frequente utilizzo processuale dei dati informativi tratti dai sistemi-radio che
consentono alle utenze cellulari di inviare o ricevere comunicazioni.
24

fonda essenzialmente sulla genericità dei contenuti della nota redatta dall’ing.

E’ infatti del tutto pacifico che nessuna «certezza scientifica» può essere
attribuita ad una rilevazione di posizione sul territorio realizzata mediante
l’utilizzo di un comune apparecchio cellulare (che non sia dotato di GPS).
Per comune esperienza, il funzionamento delle architetture di telefonia mobile basato sulla elaborazione del segnale da parte di stazioni radio collocate sul
territorio – rappresenta un sistema qualificabile solo come

orientativo di

localizzazione, data da un lato l’ampiezza del possibile «irradiamento» di
ciascuna «stazione radio base» sul territorio circostante (l’area di copertura di

impianto – fino a dieci o più chilometri, in assenza di ostacoli dovuti alla
conformazione del territorio e specie in zone extraurbane) dall’altro l’influenza di
variabili di funzionamento (dipendenti anche dal volume di traffico) che possono
determinare lo «scorrimento» della conversazione da una cella (più vicina in
linea d’aria al luogo ove si trova l’apparecchio telefonico) ad un’altra contigua.
Tali variabili tuttavia, se da un lato determinano una possibile ‘imprecisione’ del
dato (agganciare una data cella, in prima approssimazione, può significare anche
trovarsi ad una distanza relativamente consistente dal luogo di ubicazione
dell’antenna che la governa) dall’altro non consentono di predicare la totale
inutilità dello strumento in questione a fini di localizzazione dell’utenza telefonica
(chiamante o ricevente) lì dove concorrano

altre evidenze o comunque si

compiano verifiche sperimentali relative al concreto funzionamento, in una data
zona, delle diverse celle che interagiscono in tali luoghi (con perimetrazione
affidabile della zona di irradiamento del segnale).
Ciò è stato tenuto ben presente nel caso in esame, tanto che la rilevanza
probatoria (sempre in termini probabilistici) dei dati relativi al traffico telefonico
si è alimentata da verifiche sperimentali realizzate nei luoghi di interesse, che
hanno evidenziato come la località dei «campetti«, teatro del fatto, fosse servita
in modo statisticamente preferibile proprio dalla ‘cella’ avente il numero finale
847.
E’ noto infatti che in ogni zona vi è una cella «statisticamente preferibile» proprio
perché «prossima» al luogo in cui va gestita la conversazione e tale aspetto (qui
confermato dal dato empirico relativo al funzionamento del cellulare del teste
Macrillò al momento del fatto) consente di attribuire alla informazione in
questione una effettiva «valenza indiziante», nei limiti che derivano dalla
consapevolezza del margine di errore prima descritto e che impongono una
validità attenuata dell’indizio (concorrente con altri dati informativi).
Del tutto diversa, infatti, è la valenza che può essere attribuita – ad esempio – al
sistema di posizionamento globale GPS, sistema che attraverso una rete
dedicata di satelliti artificiali in orbita (attualmente in numero di 31) fornisce
25

una singola stazione radio può arrivare – in rapporto alla potenza del singolo

informazioni sulle precise coordinate geografiche del ricevitore, con un grado di
accurattezza generalmente stimato nell’ordine di pochi metri di possibile scarto.
Ora, è evidente che la «esplorazione» chiesta dalla difesa, in assenza di
informazioni desumibili da un sistema GPS (pacificamente assenti), era inidonea
– di per sè – a portare elementi di assoluta certezza sulla effettiva posizione degli
apparecchi in uso a Tornicchio Andrea e a Dattolo Vincenzo, posto che si tratta di
mera discussione dei «risultati» della verifica già operata.
In tal senso, non soltanto la risposta fornita dalla Corte di merito in punto di

che era già in atti) ma non contiene alcun aspetto dissonante con il successivo
utilizzo, in chiave dimostrativa, del dato tecnico emerso (contestato dalla difesa
al terzo motivo).
Si è già detto, infatti, che la localizzazione derivante dall’utilizzo del cellulare, pur
non assistita da assoluta certezza scientifica, è statisticamente orientativa – con
elevata probabilità – della prossimità fisica dell’utilizzatore alla stazione radio ove
il segnale è stato elaborato.
Non vi è ragione alcuna, pertanto, di escludere il dato informativo che ne deriva
dalla più ampia valutazione probatoria, in presenza di ulteriori elementi aventi
carattere di precisione e convergenza finalistica.
3.4 Va infatti ricordato come la classificazione logica e giuridica degli elementi
probatori tra prova storica (o diretta) e prova critica (o indiziaria) si muove
esclusivamente sul piano della loro «idoneità rappresentativa» (dello specifico
contenuto informativo) rispetto al fatto da provare.
Tale partizione non riguarda la tipologia della fonte probatoria (un testimone può
essere portatore, ad es., quanto dell’una che dell’altra ‘classe’ di elementi), bensì
il rapporto esistente tra la

‘capacità dimostrativa’,

del singolo elemento

considerato, ed il ‘fatto da provare’ nella sua oggettiva materialità, così come
descritto nella imputazione.
In tal senso, è definibile quale prova critico-indiziaria, ogni contributo conoscitivo
che, pur non rappresentando in via diretta il fatto da provare, consenta – sulla
base di una operazione di raccordo logico tra più circostanze – di contribuire al
suo disvelamento (dal fatto noto, l’indizio, si perviene alla conoscenza di quello
ignoto).
L’ indizio, pertanto, ha una sua autonoma capacità rappresentativa, che tuttavia
per la sua parzialità, – e per il rappresentare una circostanza diversa (pur se
logicamente collegata) rispetto al fatto da provare – , consente esclusivamente di
attivare, nella mente del soggetto chiamato ad operare la ricostruzione, un
meccanismo di inferenza logica capace di condurre ad un accettabile risultato di
conoscenza di ciò che rileva ai fini del giudizio .
26

rinnovazione istruttoria è del tutto congrua (trattandosi, in effetti, di valutare ciò

Ed è proprio in ragione di tale «deficit strutturale» di capacità dimostrativa, che
la prova indiziaria è oggetto di una particolare cautela valutativa da parte del
legislatore, che ancora il risultato probatorio (art. 192 co.2) all’esistenza di
particolari caratteristiche degli elementi posti a base della suddetta inferenza
(gravità, precisione, concordanza),

il tutto nell’ambito di una doverosa

valutazione unitaria e globale dei dati raccolti ( Sez. U., 4.2.1992, ric. Ballan,
con insegnamento ribadito da Sez. U n. 33748 del 12.7.2005, ric. Mannino, rv.
231678 : poiché l’indizio è significativo di una pluralità, maggiore o minore di

indizi è necessaria una preventiva valutazione di indicatività di ciascuno di essi sia pure di portata possibilistica e non univoca – sulla base di regole collaudate di
esperienza e di criteri logici e scientifici, e successivamente ne è doveroso e
logicamente imprescindibile un esame globale e unitario, attraverso il quale la
relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio possa risolversi,
perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli
altri, sì che il limite della valenza di ognuno risulta superato e l’incidenza positiva
probatoria viene esaltata nella valutazione unitaria, in modo da conferire al
complesso indiziario pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale
può affermarsi conseguita la prova logica del fatto) .
Il singolo indizio, inteso come dato con contenuto informativo tale da
‘concorrere’ all’accrescimento della verità contenuta nell’ipotesi di partenza, va
pertanto sottoposto a verifica al fine di individuarne il «grado di persuasività» (si
veda, sul tema, Sez. I n. 42750 del 9.11.2011, rv 251502) fermo restando che
non può pretendersi che il giudizio di ‘gravità’ (ossia il peso dimostrativo in
rapporto al fatto da provare) sia uguale per ogni singolo dato indiziante, essendo
del tutto possibile – nell’ambito della valutazione unitaria richiesta dalla norma la concorrenza di elementi indizianti di

maggiore o minore gravità, ferma

restando la necessaria (al fine di raggiungere il risultato dimostrativo) precisione
(intesa come direzione tendenzialmente univoca del contenuto informativo) e
concordanza (il che implica – almeno sul piano tendenziale – la pluralità dei dati
sottoposti a valutazione, la loro convergenza dimostrativa e, in ogni caso,
l’assenza di dati antagonisti, di ‘smentita’).
Il diverso ‘grado’ di gravità del singolo indizio influisce sulla valutazione
complessiva, nel senso che, come è stato ribadito, di recente, da Sez. V n.
16397 del 21.2.2014, rv 259552, in tema di prova indiziaria, il requisito della
molteplicità, che consente una valutazione di concordanza, e quello della gravità
sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di
indizi poco significativi, può assumere rilievo l’elevato numero degli stessi,
quando una sola possibile è la ricostruzione comune a tutti, mentre, in presenza
27

/47

fatti non noti – tra cui quello da provare-, nella valutazione di una molteplicità di

di indizi particolarmente gravi, può essere sufficiente un loro numero ridotto per
il raggiungimento della prova del fatto.
Dunque nel caso in esame risulta del tutto logica e coerente, nè viola alcuna
regola normativa, l’attribuzione di valenza indiziante – nei confronti di entrambi i
ricorrenti Tornicchio Francesco e Dattolo Vincenzo – ai dati relativi al traffico
telefonico e all’aggancio, in ora quasi coincidente con quella del fatto delittuoso,
della stazione radio base avente numero finale 847, nel modo operato nelle due
decisioni di merito.

assegnato detto valore indiziante sulla base di più circostanze di fatto che
dimostrano – sul piano logico – non solo che i due imputati erano in luogo
‘prossimo’ ai campetti ma, soprattutto, che erano insieme al momento della
consumazione del fatto delittuoso (circostanza negata dal Tornicchio Andrea
nella prospettata prova d’alibi).
Non è un fuor d’opera, sul tema, ricordare che – come ricostruito nella decisione
di primo grado – l’utenza di Tornicchio Andrea ha ricevuto – quel giorno – solo
chiamate e messaggi in entrata perchè (verosimilmente) priva di credito.
Tra tali comunicazioni, i numerosi messaggi che provenivano dalla fidanzata
Manica Roberta – rimasti senza risposta – in rapida sequenza tra le ore 21.00 e
le ore 21.44, l’ultimo dei quali (ore 21.44.26) viene gestito dalla ‘cella’ avente
numero finale 847.
Ora, posto che replosione dei colpi è stata ricostruita – in modo affidabile intorno alle 21.58/21.59 – è effettivamente significativo che alle ore 22.06
l’utenza cellulare risultata in uso al Dattolo venga impiegata per effettuare una
conversazione «verso» quella in uso a Manica Roberta (v. pag. 72 della decisione
di primo grado) fidanzata del Tornicchio, fatto mai verificatosi in precedenza.
Anche tale chiamata viene gestita, nella fase iniziale dalla cella avente numero
finale 847 per poi transitare, in seguito, su altra stazione radio-base (segno del
fatto che l’utenza era in movimento).
Se a ciò si aggiunge che l’utenza del Dattolo era stata anch’essa raggiunta da un
sms della fidanzata in orario ancora più prossimo a quello dell’omicidio (ore
21.57.40) ed aveva impegnato la medesima cella 847, ne deriva la non illogica
«assegnazione» di valore indiziante, a carico di entrambi gli imputati, non
soltanto per la «localizzazione» delle utenze in area prossima a quella dei
‘campetti’ in un momento coincidente con quello del delitto ma per la stessa
«sequenza» delle ricezioni degli sms, rimasti – non a caso – senza risposta sino
ad un momento successivo di soli 6 o 7 minuti alla esplosione dei colpi, momento
che vede – ragionevolmente – Tornicchio Andrea e Dattolo Vincenzo insieme (il

28

Va infatti ricordato che l’analisi operata nelle due decisioni ha corentemente

primo utilizza il cellulare del secondo per chiamare la fidanzata) mentre si
allontanano (con una certa rapidità) dalla zona teatro dei fatti.
Entrambi i ricorrenti, dunque ( e si anticipano qui argomentazioni relative anche
al ricorso del Dattolo) non si confrontano in modo adeguato con la particolare
valenza indiziante del dato istruttorio qui scrutinato, posto che l’essere
«insieme» al momento del fatto delittuoso (ed in luogo prossimo a quello della
esecuzione) è circostanza che in modo del tutto logico è stata valorizzata nella
economia della decisione di condanna, attesa la comunanza del movente, i

Tornicchio Andrea e il fratello Francesco e gli eventi successivi alla consumazione
del delitto.
3.5 La critica esposta nel ricorso alla trama motivazionale si mostra pertanto
parcellizzante e tende a sminuire la validità dimostrativa dei singoli frammenti
della ricostruzione, elaborata coerentemente nelle decisioni di merito.
Il dato indiziante prima esaminato, infatti, è stato rapportato / in modo niente
affatto illogico, alla ulteriori emergenze istruttorie, trattandosi di dato pienamente
convergente con i contenuti informativi delle medesime.
L’intera sequenza delle conversazioni intercorse tra Tornìcchio Francesco ed il
fratello Andrea (attuale ricorrente) è stata correttamente interpretata come
indizio a carico di Tornicchio Andrea (nonchè di Dattolo Vincenzo) circa la volontà
omicida maturata nei confronti di Marrazzo Gabriele e non risulta realizzato alcun
travisamento dei contenuti di tale fonte.
Va, sul punto, riproposto l’aspetto di metodo già esposto nella presente
motivazione in sede dì rigetto del ricorso proposto dalla pubblica accusa (verso
l’assoluzione di Tornicchio Francesco e, ancor prima, di Lerose Donatello) non
potendo questa Corte procedere ad una ‘nuova’ e ‘diversa’ lettura dei dati
istruttori in questione, data l’assenza di profili di illogicità interna.
Del resto, l’interpretazione del contenuto dei colloqui appare del tutto agevole,
posto che sin da quello captato nel mese di ottobre del 2008 emerge con
assoluta chiarezza il proposito criminoso specifico coltivato da Tornicchio Andrea
nei confronti del Marrazzo (..

vuole caricato a pallettoni l’automatico..), da

realizzare proprio insieme al fidato cecè (.. mò sai come si incaponisce con lui
Cecè avantieri è andato a caccia..) .
Si tratta, in effetti, di un dato probatorio che non può essere – semplicemente qualificato come indizio relativo al movente, ma che esprime una forza
individualizzante molto precisa circa l’appartenenza del proposito criminoso (poi
realizzato, non a caso nel modo ipotizzato) alla coppia Tornicchio Andrea-Dattolo
Vincenzo.

29

complessivi contenuti delle captazioni ambientali reative alle conversazioni tra

Anche tale aspetto non è oggetto, peraltro, di considerazione espressa nel
ricorso, il che indebolisce fortemente la tenuta delle opzioni critiche.
Le conversazioni successive (febbraio 2009) consentono – come esplicitato nella
motivazione della decisione di merito – di comprendere la dinamica criminale
sottostante al proposito che era stato già espresso da Tornicchio Andrea
(l’ingerenza del Marrazzo nel prelievo estorsivo nella zona del cantorato, peraltro
confermata anche dalla deposizione degli imprenditori Maneli) attraverso
numerosi riferimenti che rasentano l’autoevidenza dimostrativa.

il movente sarebbe ‘incerto’, posto che Tornicchio Francesco – durante i colloqui
captati – indica al fratello la ‘linea’ della spartizione dei proventi tra il suo gruppo
e quello del Marrazzo.
Tale, infatti, era – effettivamente – la linea ‘attendista’ che Tornicchio Francesco
(per questa ragione assolto) caldeggiò più volte, ma tale dato assume valenza a
discarico per il solo Tornicchio Francesco, posto che proprio il tenore «animato»
dei colloqui (durante quello del febbraio 2009 i due fratelli arrivano a colpirsi) è
dimostrativo della piena «autonomia di pensiero» di Tornicchio Andrea rispetto
alle indicazioni provenienti dal fratello detenuto.
Così come non appare rilevante, come dato a discarico o comunque tale da
ridurre la valenza del compendio indiziario a carico, nè la accertata
«frequentazione» tra la vittima e Tornicchio Andrea (insieme al Dattolo) né la
scelta del luogo della esecuzione (il campo di calcetto) con il rischio di
coinvolgere terzi estranei (come è tristemente avvenuto).
Il dato della frequentazione va letto, infatti, unitamente ai motivi della
medesima, ampiamente scrutinati in sede di merito.
Marrazzo Gabriele risulta inquadrato (con dati probatori autonomi e non
contestati) nel gruppo dei ‘rocchitani’, con cui i Tornicchio, nel periodo in esame,
furono costretti a «convivere» sul piano della influenza mafiosa nel territorio del
cantorato. Non si tratta, pertanto, nè di una frequentazione ‘amichevole’ nè dì un
dato che esclude, sul piano della esperienza, la volontà di sopprimere
fisicamente il soggetto in tal modo ‘frequentato’, posto che nell’ambito delle
relazioni umane nei consorzi mafiosi è del tutto frequente la «dissimulazione»
dell’astio, al fine di creare una apparenza di normalità, tale da ridurre le difese
della persona che si desidera – in realtà – eliminare.
La scellerata scelta del luogo della esecuzione – attuata con volume di fuoco tale
da determinare il coinvolgimento di terzi – non è un dato cui è possibile attribuire
alcuna valenza probatoria specifica, posto che ciò che rileva è la ‘destinazione’
dell’azione – questa emersa con certezza – alla eliminazione di Gabriele Marrazzo
(persona verso il quale furono indirizzati il maggior numero di colpi, il che porta
30

In tale quadro, del tutto fuorviante è la prospettazione del ricorrente secondo cui

a ritenere logica la conclusione esposta in sentenza circa la destinazione
principale dell’azione).
L’attribuzione di specifiche ragioni alla scelta del luogo è meramente
congetturale (vuoi in senso accusatorio che difensivo) non essendo emersa una
evidenza sul tema, il che rende irrilevante la verifica di logicità della risposta
fornita, su tale aspetto, dalla Corte di secondo grado (maggiore vulnerabilità
della vittima in tale contesto) da ritenersi, in ogni caso, non implausibile.
Ciò che rileva – invece – è la deposizione resa dal gestore dei campetti, Macrillò,

prima del fatto, deposizione che concorre, in modo legittimo, ad accrescere il
numero e la consistenza degli indizi.
Ed ancora, va precisato che parimenti significative, nonchè convergenti con la
ritenuta responsabilità dei due ricorrenti Tornìcchio Andrea e Dattolo Vincenzo,
sono le conversazioni captate e gli accadimenti successivi al fatto di sangue.
E’ lo stesso Tornicchio Francesco, come si è ampiamente evidenziato in sede di
merito, a diventare – con la trasmissione del suo rinnovato entusiasmo, avente
come destinatari Andrea Tornicchio e Cecè – la fonte di prova a carico dei due,
dato che il contenuto delle missive è stato ragionevolmente interpretato come
«compiacimento» per l’azione commessa, il che logicamente implica la sicura
riferibilità del gesto delittuoso in capo ai destinatari delle missive.
Nè può dirsi contrastata da altra evidenza di segno contrario la chiarissima
«offensiva» che lo stesso Francesco Tornicchío promuove – approfittando del
rinnovato potere intimidatorio del suo gruppo e della eliminazione del Marrazzonei confronti degli imprenditori Maneli, testimoniata dalla – anche qui
autoevidente – lettera caduta in sequestro ed indirizzata a Maneli Giancarlo nel
mese di ottobre del 2009.
In tale contesto – qui sinteticamente rievocato – vanno calate le considerazioni
espresse dalla Corte di secondo grado e relative alla interpretazione dei
contenuti del colloquio del 18 settembre 2009, intervenuto tra Tornicchio
Francesco, Tornicchio Andrea e la loro madre.
Anche in tal caso, il limite del sindacato correlato alla sede di legittimità
comporta la insindacabilità dell’apprezzamento del dato (quale ulteriore indizio a
carico) posto che la logicità (almeno in parte) delle considerazioni espresse sta
nella manifestata preouccupazione – da parte degli interlocutori – circa la
possibilità di tramutamento dei ‘sospetti’ degli investigatori (gravanti su
Tornicchio Andrea e Dattolo Vincenzo, per il fatto dei ‘campetti’) in certezze (..
ora non hanno le prove..una minima scintilla.., afferma la donna).
Da ciò trae alimento il senso indiziante, atteso che nel medesimo contesto
Tornicchio Francesco raccomanda al fratello Andrea di occultare bene le armi in
31

che ha riferito di una immotivata «visita» del Dattolo ai campetti alcuni giorni

suo possesso (-nascondili, nascondili..) . Si tratta di una conversazione ove non
viene – di certo – registrata alcuna esplicita affermazione di tipo confessorio (in
ciò si concorda, in parte, con la difesa del ricorrente) ma che al contempo non si
limita a riportare i sospetti degli investigatori ma rivela la preoccupazione circa la
loro fondatezza, il che non irragionevolmente ha dato luogo ad una ‘inserzione’
nell’ampio catalogo degli indizi a carico.
Da ultimo, anche la doglianza relativa alla rilevanza indiziante della falsità
dell’alibi è priva di pregio.

dell’omicidio, ove risulti sostenuta in modo artificioso e falsificante (ritenuta tale
con considerazioni del tutto logiche, data l’ampia motivazione espressa sul punto
in sede di merito ) ben può essere interpretata come ulteriore indizio a carico (in
termini generali Sez. I n. 18118 del 11.2.2014, rv 261993).
Da tutto quanto affermato deriva, pertanto, l’infondatezza del secondo e del
terzo motivo di ricorso.
3.6 Ai limiti della ammissibilità è, infine il quarto motivo di ricorso. La
motivazione espressa dalla Corte di merito in tema di diniego delle circostanze
attenuanti generiche – rapportata alla particolare gravità del fatto ed alle
modalità della sua realizzazione – non presenta alcuna illogicità o vizio in diritto.
Si è già osservato, infatti, esaminando la posizione di Tornicchio Francesco, che
l’applicazione dell’art. 62 bis postula la ricorrenza di elementi «positivi» cui
ancorare un giudizio di minor disvalore del fatto o di attenuata capacità a
delinquere che nel caso in esame non sono emersi nè appaiono prospettati in
modo concreto.
4. Infondati sono i ricorsi proposti nell’interesse di Dattolo Vincenzo.
4.1 In relazione alle censure motivazionali, la posizione del Dattolo non differisce
da quella già esaminata di Tornicchio Andrea, data la sostanziale identità di
tipologìa e contenuti delle fonti a carico.
Vanno pertanto richiamate tutte le considerazioni esposte ai punti che
precedono, con ritenuta assenza di vizi logici interni alla motivazione o
inosservanza della regola di giudizio di cui all’art. 533 cod.proc.pen., stante la
piena convergenza dei corposi dati indizianti a carico .
La persona del Dattolo – identificata in modo certo attraverso i costanti
riferimenti espressivi dei conversanti a Cecè – compare sin dalla conversazione
intercorsa nell’ottobre del 2008 tra Tornicchio Francesco e Tornicchio Andrea
come soggetto che unitamente al secondo si occupava della raccolta del denaro
nella zona del cantorato e che assecondava i propositi di soppressione del
Marrazzo (chiaramente espressi da Tornicchio Andrea).

32

La volontà del Tornicchio Andrea di tenersi «fisicamente distante» dal luogo

Dattolo viene costantemente accomunato al Tornicchio Andrea nelle missive
indirizzate all’esterno del carcere da Tornicchio Francesco, sia prima che dopo
l’evento delittuoso ed è peraltro raggiunto – oltre ai dati già commentati, ivi
comprese le risultanze del traffico telefonico e l’aggancio della cella avente
numero finale 847 – dall’ulteriore elemento rappresentato dalla dichiarazione del
teste Macrillò circa la anomala ‘visita’ ai campetti realizzata alcuni giorni prima
del fatto.
Le critiche esposte appaiono pertanto frammentarie e parcellizzanti e non si

Si è già notato come le argomentazioni circa la rilevanza del movente contenute nella decisione impugnata – non subiscono alcuna riduzione del valore
dimostrativo in rapporto alla assoluzione di Tornicchio Francesco, data l’evidente
autonomia decisionale di Tornicchio Andrea che può essere ragionevolmente
estesa alla persona del Dattolo, per quanto logicamente argomentato in
sentenza.
Nè le argomentazioni difensive incrinano la linea logica che partendo dal comune
intento dei due (Tornicchio Andrea e Dattolo Francesco) ricollegano l’evento
delittuoso all’azione congiunta di tali imputati, valorizzando i dati tecnici che come si è evidenziato – li collocano ‘insieme’ in zona prossima al delitto nel
momento della esecuzione.
Detto percorso è infatti rafforzato – sotto il profilo della sua tenuta logica – dagli
accadimenti successivi (la ripresa della pressione ‘esclusiva’ dei Tornicchio sulle
vittime delle estorsioni), ricostruiti in modo del tutto pacifico attraverso la
missiva indirizzata da Tornicchio Francesco al Maneli, già rievocata.
Sotto tale profilo nessun rilievo antagonista è dato cogliere nelle dichiarazioni dei
Maneli, confermative – in effetti – di tale sequenza storica dei fatti.
Già si è detto anche del rilievo della intercettazione abientale del settembre 2009
nel cui ambito il riferimento al ‘Dattolo’ (invece che al soprannome cecè) non può
ingenerare alcuna confusione, posto che non solo mantiene la sua efficacia
connotativa (trattandosi del cognome dell’imputato) ma appare in tutta evidenza
ricollegato al contesto della conversazione nel cui ambito si parla dei sospetti
degli inquirenti (e delle correlate preoccupazioni) il che rende comprensibile la
diversa forma espressiva utilizzata.
L’ipotesi alternativa, invocata dalla difesa, appare meramente teorica e non trova
sostegno in alcun elemento emerso dall’istruttoria. Dovrebbe ipotizzarsi che nell’ambito mafioso di riferimento – il Marrazzo sia stato eliminato dai suoi stessi
sodali ‘rocchitani’ (per conto dei quali stava svolgendo il ruolo di esattore) e
nonostante ciò il gruppo dei Tornicchio si sia successivamente ‘impadronito’ delle
conseguenze di una simile azione. L’opzione è del tutto illogica e contrasta con
33

confrontano con il reale tessuto argomentativo delle due motivazioni conformi.

dati di comune esperienza, il che porta a ritenere corretta la sua esclusione dal
quadro decisorip trattandosi di dubbio astratto e congetturale. Va ricordato,
infatti, che il rispetto del canone decisòrio secondo cui la colpevolezza
dell’imputato deve risultare «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533 cod.
proc. pen. come novellato dalla legge n.46 del 2006) non introduce un ulteriore
‘tipologia’ di vizio, tale da consentire – di fatto – l’esame del merito, ma si pone
come criterio generale alla cui stregua valutare la consistenza logica (e dunque
la tenuta dimostrativa) delle affermazioni probatorie contenute nella sentenza

particolare di «apparenza» di motivazione, secondo quanto affermato da Sez. VI
n. 8705 del 24.1.2013). Il dubbio, peraltro, per determinare l’ingresso di una
reale ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti, tale da determinare una
valutazione di inconsistenza dimostrativa della decisione, è solo quello
«ragionevole» e cioè quello che trova conforto nella buona logica, non certo
quello che la logica stessa consente di escludere o di superare (in tal senso Sez.
I n.3282 del 2012 del 17.11.2011) . Così come la sua riconoscibilità – dunque la
presa d’atto dell’esistenza del limite alla affermazione di responsabilità
dell’imputato – impone un confronto con le emergenze processuali, nel senso che
per convalidare sul piano logico l’ affermazione di responsabilità è necessario che
il dato probatorio acquisito deve essere tale da lasciar fuori solo eventualità
remote, pur astrattamente formulabili come possibili ‘in rerum natura’ ma la cui
effettiva realizzazione nella fattispecie concreta risulti priva del benchè minimo
riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale
delle cose e della ordinaria razionalità umana, come affermato da Sez. I n.
31456 del 21.5.2008, ric. Franzoni rv 240763, con orientamento ripreso, di
recente, da Sez. IV n. 22257 del 25.3.2014, rv 259204 (ove si è esplicitamente
escluso che possa aver rilievo, a fini inibitori della pronunzia di sentenza di
condanna, una ipotesi alternativa del tutto congetturale, pur se in astratto
plausibile) .
Del resto, la prova indiziai-ha – raccolta nel presente giudizio – proprio in rapporto
alle sue caratteristiche ontologiche, non può – per definizione – offrire una
rappresentazione del fatto sovrapponibile a quella di una prova diretta, posto che
la dimostrazione è figlia non già di una conclamata affidabilità di una voce
narrante (o di un documento) in grado di riprodurre l’azione criminosa (in quanto
tale) ma di un «raccordo logico» tra un fatto ‘secondario’ e il ‘fatto da provare’.
La prova indiziaria, dunque, conduce alla scoperta dell’identità dell’auore di un
fatto di reato attraverso ‘significati intermedi’, tali da attivare un fondato e
rassicurante percorso logico di dipendenza tra più circostanze, dunque, ferma
restando la certezza (in senso processuale) del risultato di prova, non può
34

impugnata (sicchè il mancato rispetto del criterio rifluisce come ipotesi

pretendersi dalla prova indiziaria un tasso esplicativo delle ‘modalità realizzative’
del fatto che vada oltre i limiti ontologici della prova stessa (questa Corte, in più
occasioni ha affermato che il procedimento logico deve condurre alla conclusione
caratterizzata da un alto grado di credibilità razionale, quindi alla certezza
processuale che, una esclusa l’interferenza di decorsi alternativi, la condotta sia
attribuibile all’agente come fatto poprio; così Sez. I n.17921 del 3.3.2010, rv
247449).
Il collegamento logico realizzato – tra i singoli dati indizianti – dalla Corte di

l’affermazione di penale responsabilità di Dattolo Vincenzo.
4.2 Anche in rapporto alla ritenuta qualificazione giuridica del fatto il ricorso del
Dattolo è infondato.
La norma applicata (art. 422 cod.pen.) è collocata nel titolo VI del libro II
deducato ai delitti contro la incolumità pubblica.
Trattasi, pertanto di fattispecie incentrata sul dato obiettivo della esposizione a
pericolo della «pubblica incolumità», bene giuridico che va ritenuto solo
parzialmente autonomo, trattadosi – come segnalato in dottrina – di una
astrazione concettuale comprensiva dei singoli beni individuali concreti.
La tecnica normativa di tipizzazione è quella tipica del reato di pericolo, nel senso
che la ‘finalità di uccidere’ è posta a fondamento della punibilità lì dove gli atti
posti in essere posseggano – in concreto – la capacità di ‘porre in pericolo’
l’incolumità pubblica (da intendersi come capacità di offesa contestuale a più
persone) .
L’eventuale esito letale (anche nei confronti di una sola persona) comporta
l’applicazione della pena dell’ergastolo, mentre nel caso in cui non si produca tale
effetto la pena edittale è quella della reclusione non inferiore ad anni quindici.
L’opnione interpretativa prevalente è quella che considera la strage ‘effettiva’
(con morte di una o più persone) un delitto aggravato rispetto all’ipotesi comune
di ‘pericolo di strage’ (di cui al secondo periodo del comma 2) .
Ciò che deve essere oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell’agente
– in ogni caso – è oltre alla finalità specifica di uccidere almeno una persona la
consapevolezza di cagionare, in virtù delle modalità prescelte, un concreto
pericolo per una pluralità di altri soggetti, il cui eventuale decesso non deve,
pertanto, essere necessariamente coperto dal dolo (v. Sez. I 7.12.1987) .
In tal senso, al fine di ritenere integrata la fattispecie di strage si è ritenuto che
non è dirimente l’avvenuto utilizzo di mezzi dalla intrinseca capacità distruttiva
(bombe o esplosivi) quanto la verifica delle concrete modalità del fatto, nel senso
che lì dove l’uso di armi – dalla potenza consistente – denoti, oltre alla volontà di
uccidere un soggetto, la suddetta consapevolezza della contestuale esposizione a
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merito porta, pertanto, a ritenere del tutto conforme ai canoni normativi

pericolo di più individui, la fattispecie è integrata (Sez. VI n. 3333 del
20.11.1998, rv 213579).
Il caso in esame rientra – senza dubbio – in tale ipotesi, posto che al fine di
eliminare Marrazzo Gabriele (finalità ampiamente dimostrata in sentenza) è stata
scelta una modalità realizzativa – utilizzo di un fucile a pompa calibro 12 caricato
a pallettoni ed esplosione in sequenza di 5 colpi ognuno dei quali comporta il
lancio di 9 pallettoni 11/0 per un totale di 45 pallettoni – in uno spazio non
particolarmente ampio e visibilmente affogato da un numero consistente di altri

questi uno – il piccolo Gabriele Domenico – mortalmente.
La verifica dell’elemento doloso va pertanto ritenuta realizzata con esito positivo,
in virtù da un lato della chiara direzione della volontà lesiva verso la persona del
Marrazzo ma al contempo, in rapporto ad un dato empirico di piena evidenza, la
altrettanto chiara consapevolezza in capo agli autori del fatto delle alte capacità
lesive dell’arma utilizzata e della ineludibile compresenza (dato il luogo
prescelto) di un numero consistente di altri soggetti.
Non può pertanto accedersi alla diversa prospettazione – in diritto – contenuta
nel ricorso.
4.3 Le doglianze in punto di trattamento sanzionatorio sono infondate, per le
medesime ragioni già esposte in riferimento al ricorso proposto da Tornicchio
Andrea, mentre inammissibile è la doglianza relativa all’aggravante della finalità
di agevolazione del gruppo mafioso, date le considerazioni già esposte circa la
assenza di vizi motivazionali nella individuazione del movente.
5. Il ricorso proposto dalla parte civile Zito Antonio è infondato, e va pertanto
rigettato, data la costante affermazione – operata nella presente sede – della non
impugnabilità con ricorso per cassazione delle statuizioni in tema di entità della
provvisionale, data la natura non definitiva di tale pronunzia (tra le molte, Sez. V
n. 40410 del 18.3.2004, rv 230105).
6. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna degli imputati e delle parti civili al
pagamento delle spese processuali.
Gli imputati Tornicchio Andrea e Dattolo Vincenzo vanno inoltre condannati, data
la soccombenza, al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili nel
presente giudizio, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

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individui, nove dei quali (oltre al Marrazzo) sono stati anch’essi colpiti, e tra

Rigetta tutti i ricorsi e e condanna gli imputati e le parti civili ricorrenti al
pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre Tornicchio Andrea e
Dattolo Vincenzo a rifondere le spese sostenute in questo giudizio dalle parti
civili, che liquida in favore dello Stato, in complessivi euro 3.500,00 per Cerarii
Fiorina e Gabriele Rosa e in complessivi euro 5.000,00 per Gabriele Giovanni,
Anastasio Francesca, Anastasio Mirella, Anastasio Teresina, e Ienopoli Giuseppe
ed in euro 2.500,00 per Zito Antonio.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso il 13 maggio 2015

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