Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43678 del 12/11/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 43678 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COSTA NICOLA, nato il 12/05/1950
avverso la sentenza n. 3102/2011 CORTE APPELLO di GENOVA del
07/11/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 12/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Massimo Galli, che
ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente il difensore avv. Eugenia Laura Baudinelli, che
ha chiesto l’accoglimento dei motivi del ricorso.

Data Udienza: 12/11/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7 novembre 2012 la Corte di appello di Genova ha
confermato la sentenza dell’Il maggio 2011 del Tribunale di Massa, che aveva
dichiarato Costa Nicola colpevole del reato di tentato omicidio aggravato in
danno di Sandu Sebastian, commesso in Massa il 28 maggio 2010, e l’aveva
condannato, previa concessione delle attenuanti generiche giudicate prevalenti

reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore della persona offesa,
costituita parte civile, liquidato equitativamente in euro trentamila.
1.1. La Corte, che procedeva dalla descrizione del contesto della vicenda
delittuosa, ritenuto esplicativo del comportamento tenuto dalle persone coinvolte
ancor più delle plurime testimonianze che il primo Giudice aveva diffusamente
ripercorso e commentato, evidenziava che la persona offesa e Filippi Lara erano
da oltre un anno, alla data del fatto, ospitati dall’imputato, che, in condizioni
economiche disagiate e seguito dai servizi sociali, era assegnatario di
un’abitazione popolare, in cambio di un aiuto domestico e di un modesto
contributo economico.
1.2. Della convivenza a volte burrascosa tra i tre aveva parlato la teste
Alfano Rosalia, vicina di casa, che aveva sentito spesso “alzare il tono della voce”
e riferito circa dissapori correlati forse alla presenza del vecchio cane
dell’imputato, oltre a ricordare che lo stesso faceva uso di alcool, cui neppure era
estranea la persona offesa, che aveva tra l’altro ammesso di avere bevuto alcuni
bicchieri di whisky il giorno del fatto.
Secondo la Corte, l’appellante, che nella lunga prospettazione delle sue
censure aveva teso a dimostrare la sua posizione di aggredito che si era dovuto
difendere rispetto alla forza preponderante della vittima, non aveva fornito una
coerente spiegazione alternativa della vicenda, omettendo di rendere
dichiarazioni in dibattimento e di chiedere il proprio esame, dopo le spontanee
dichiarazioni iniziali, acquisite, su consenso delle parti, agli atti del processo.
Nella immediatezza dei fatti l’imputato aveva dichiarato di essere stato
trascinato nella sua camera dalla persona offesa, che, chiusa la tapparella della
finestra e strappatagli la maglietta che indossava, lo aveva aggredito per la
pretesa di cinquanta euro e percosso con pugni e schiaffi, fino a che egli aveva
peso il coltello, che teneva sotto il cuscino, colpendo alla gola la persona offesa,
subito allontanatasi con la compagna.
1.3. Tale scarna versione dei fatti, non meglio chiarita, era ritenuta dalla
Corte di appello contrastata dagli elementi obiettivi acquisiti, essendo emerso
che:

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sulla contestata e ritenuta aggravante dei futili motivi, alla pena di anni cinque di

- la persona offesa era stata ferita oltre che al collo anche alla mano e
presentava tagli sul pantalone;
– l’imputato, pure sottoposto a visita medica lo stesso giorno del fatto, non
aveva alcuna ferita dipendente dagli indicati pugni e schiaffi.
Gli evidenziati elementi, che confermavano, in relazione all’assoluta
sproporzione della rivendicazione economica rispetto all’operato accoltellamento,
la fondatezza della contestata e riconosciuta aggravante dei futili motivi,
escludevano la sussistenza di alcuna giustificazione del fatto, non avendo la

ferite da difesa derivanti da una espressa avversa intenzione offensiva.
1.4. Concordava con le risultanze obiettive la deposizione della persona
offesa e della compagna, escussa come teste, mentre, a fronte delle indicate
emergenze, non rilevava sapere se la vittima conoscesse l’abitudine
dell’imputato di tenere il coltello sotto il cuscino, verificare la circostanza che la
teste Filippi, in relazione all’apertura o meno della porta, potesse vedere la scena
del crimine, o approfondire altri segnalati particolari, non incidenti sulle
circostanze essenziali e sulla loro congruenza rispetto ai dati obiettivi delle lesioni
e dell’arma utilizzata, o ricostruire le copiose tracce di sangue rilevate,
dimostrative della serietà delle ferite e della perdita di sangue da parte della
vittima e non probative della dinamica dei fatti.
1.5. Sussistevano tutti i presupposti del tentativo di omicidio, avuto riguardo
alla idoneità degli atti, dotati di sicura efficienza causale in ordine alla
determinazione dell’evento, poiché il fendente al collo, sede di organi vitali, era
idoneo a cagionare la morte, come dichiarato dai medici sentiti come testi, in
coerenza con la documentazione medica acquisita, e in ordine alla volontà di
uccidere, confermata dai plurimi e reiterati colpi sulla persona offesa che cercava
di difendersi, scientemente rivolti contro zone vitali.
Rimaneva, invece, irrilevante che la vittima non fosse mai stata in concreto
pericolo dì vita, in dipendenza della fatalità e non della decisione dell’imputato.
Né era configurabile la desistenza volontaria, essendosi già consumato il
reato ascritto quando l’aggressione era terminata.

2. Avverso la sentenza di appello, l’imputato ha proposto ricorso per
cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia avv. Eugenia Laura Baudinelli,
chiedendone l’annullamento sulla base di sei motivi, alla cui esposizione ha
premesso il richiamo alla vicenda e allo svolgimento del processo.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia mancanza o manifesta
illogicità della motivazione o erronea applicazione delle legge penale e delle
norme processuali in ordine al teste di accusa Sandu Sebastian.

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persona offesa, non armata, colpito l’aggressore, mentre presentava diverse

Secondo il ricorrente, la Corte di appello non ha proceduto alla valutazione
logica e complessiva della deposizione testimoniale della indicata persona offesa,
in relazione alle prove oggettive costituite dalle macchie di sangue rinvenute
nella camera da letto, e in particolare sulle pareti, sulle porte, sui suppellettili e
sulla coperta, ritratte nelle fotografie a colori eseguite dalla Polizia e depositate
in atti, che ne smentivano la ricostruzione.
Le dichiarazioni della persona offesa, che ha espresso freddezza e capacità
dialettica, dovevano, pertanto, essere oggetto di specifico esame, valutando

fronte di plurimi riproposti interrogativi, rendeva più verosimile una ricostruzione
della vicenda che vedeva esso ricorrente sbattuto sul letto dalla persona offesa e
reagire alla ennesima sopraffazione tirando fuori il coltello da sotto il cuscino per
difendersi.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia mancanza o manifesta
illogicità della motivazione o erronea applicazione delle legge penale e delle
norme processuali in ordine al teste di accusa Filippi Lara.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello non ha proceduto alla valutazione
logica e complessiva anche della deposizione della indicata teste nella
ricostruzione del fatto in relazione alle emergenze dei rilievi fotografici e al
contenuto della testimonianza del sovrintendente Nasta, omettendo di esaminare
le censure mosse con il secondo motivo di appello, limitandosi ad affermare la
superfluità delle deposizioni dei testi Sandu e Filippi per valutare la sua
colpevolezza, e aggiungendo il riferimento alle ammissioni di esso ricorrente,
invece mai rilasciate in alcuna fase del processo, né acquisite (quelle rese nella
immediatezza del fatto alla Volante intervenuta) agli atti processuali.
In particolare, dalla foto a colori n. 6 è risultato che la persona offesa ha
lasciato tracce evidenti di sangue sulla parte interna della porta e sulla maniglia,
in tal modo rimanendo provato che la porta della camera da letto era chiusa e la
teste Filippi, che era in bagno, non poteva aver assistito ai fatti.
Il teste Nasta, sentito il 2 marzo 2011, inoltre, ad avviso del ricorrente, ha
smentito in più punti la indicata teste, poiché, riferendo quanto raccontatogli
dalla stessa nella immediatezza, ha puntualizzato che, secondo detto racconto, la
teste uscita dal bagno, la cui porta era socchiusa, sentendo urlare aveva visto la
persona offesa perdere sangue dal collo che teneva con una mano, ed esso
ricorrente seduto sul letto con il coltello e la maglietta strappata, mentre la teste
ha insistito nel contrario, cercando, in sede dibattimentale, di aggravare la sua
posizione.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione sulla
censura svolta con il quarto motivo di appello, afferente alla eccepita
inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 192, comma 1, cod. proc. pen., in
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punto per punto le sue affermazioni e ricostruendo il contesto dei fatti che, a

relazione all’art. 546 punto e) cod. proc. pen., per omesso esame e omessa
enunciazione delle ragioni per le quali si sono ritenute inattendibili le prove a
contrario emerse durante la istruttoria dibattimentale.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello, che non ha dato alcun rilievo alle
tracce di sangue, che ha ritenuto solo confermative del referto medico e non
dimostrative della dinamica dei fatti, non ha considerato che da dette tracce
erano desumibili elementi a suo favore e che l’assenza di segni di percosse
provava la prontezza della sua difesa e non la mancanza di aggressione in suo

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia omessa o illogica
motivazione sulla censura svolta con il quinto motivo di appello, afferente alla
non chiara esplicitazione da parte del Tribunale della circostanza che la persona
offesa non è mai stata in pericolo di vita, come puntualizzato da tutti i medici
escussi in sede istruttoria.
In particolare, la circostanza che un unico colpo è stato da lui inferto non in
profondità e che la persona offesa è stata ferita solo alla mano, unitamente alla
presenza di macchie diffuse sulla coperta, e non sul muro e sul pavimento, e poi
sopra il baule fino alla porta, è indicativa della colluttazione avvenuta sul letto e
della verosimile posizione della persona offesa su esso ricorrente che l’ha colpita
per allontanarla, spingendola contro il baule, da dove la persona offesa ha poi
raggiunto la porta, uscendo.
Esso ricorrente è, invece, rimasto disarmato e spaventato sul letto, dove è
stato trovato dalla Polizia, cui ha indicato dove aveva appoggiato il coltello.
2.5. Con il quinto motivo è denunciata omessa o illogica motivazione sulla
esclusione della esimente della legittima difesa.
Secondo il ricorrente, le indicate emergenze e i dubbi sull’attendibilità dei
testi dovevano indurre la Corte a meglio valutare detta esimente e la personalità
dei due protagonisti della vicenda, considerando le risultanze dei luoghi e delle
tracce, la sproporzione di età e forza tra i due e l’ingerimento da parte della
persona offesa di superalcolici.
2.6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia omessa o illogica motivazione
sulla esclusione della desistenza volontaria di cui all’art. 56, ultima comma, cod.
pen., e sulla non configurabilità del meno grave reato di lesioni volontarie.
Secondo il ricorrente, la Corte non ha preso in considerazione l’ipotesi delle
lesioni volontarie, che trovava invece fondamento nella insussistenza del pericolo
di vita, nella entità non grave delle lesioni, nell’assenza di volontà omicida, né ha
apprezzato la circostanza che egli, pur avendo il coltello a disposizione e
l’avversario ferito in sua balia, ha desistito dal suo proposito.
Neppure si è apprezzata la concedibilità delle attenuanti generiche,
prevalenti sulle contestate aggravanti, al fine del contenimento della pena nei

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danno.

limiti dell’applicabilità dei doppi benefici della sospensione della pena e della non
menzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, proposto sulla base di censure manifestamente infondate o non
consentite, deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di legge.

dedotta nullità della sentenza per vizio di motivazione e violazione di legge, ai
rilievi attinenti, sotto concordanti profili, alla omessa o errata valutazione del
materiale probatorio del processo, costituito dalle dichiarazioni dei testi di
accusa, Sandu Sebastian e Filippi Lara, e dalle emerse prove “a contrario”
(tracce di sangue all’interno della stanza, assenza di segni di percosse sul
ricorrente, pregresso ingerimento di alcool da parte della persona offesa).
2.1. L’evidente infondatezza di tali censure consegue al rilievo che la
valutazione organica delle risultanze processuali, che si contesta, è stata
compiutamente condotta dalla Corte di merito secondo un iter argonnentativo,
che, progredendo secondo linee logiche e giuridiche congruenti con il richiamato
e condiviso sviluppo decisionale della sentenza di primo grado, ha fornito, con
considerazioni esenti da evidenti incongruenze e da interne contraddizioni nella
critica disamina delle emergenze probatorie, una esauriente e persuasiva
ricostruzione dei dati fattuali concernenti la vicenda delittuosa e delle fonti di
prova, rappresentando le ragioni significative della decisione adottata, a fronte
del compiuto vaglio delle doglianze di merito svolte con i motivi d’appello.
In questo percorso (sintetizzato sub 1.1., 1.2. e 1.3. del “ritenuto in fatto”)
la Corte, in particolare, dopo aver valorizzato il contesto, emerso dalle prove
dichiarative, in cui si è svolto il delitto:
– ha, ripercorso, con ragionevole approccio logico, facendone oggetto di
specifica analisi, il contenuto delle dichiarazioni spontanee rese, nella
immediatezza del fatto, dall’imputato, non seguite da ulteriori dichiarazioni e
utilizzate con il consenso delle parti;
– ha sottolineato che la scarna versione dei fatti, rimasta non meglio
rappresentata e circostanziata, contrastava con puntuali elementi obiettivi
accertati, che neppure l’imputato aveva potuto contestare, e correlati da un lato
alla pluralità e alla localizzazione dei colpi inferti alla vittima e dall’altro
all’assenza di ferite o tracce di percosse sulla persona dell’imputato,
contrariamente all’affermata inflizione da parte sua del solo colpo al collo della
vittima e all’affermata scarica di pugni e schiaffi subita;

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2. Le censure svolte con i primi tre motivi sono correlate, nel contesto della

- ha evidenziato che l’ammissione dell’accoltellamento alla gola della
persona offesa da parte dell’imputato, in un diverbio cagionato dalla
rivendicazione di cinquanta euro da parte della prima, congiunta al rilievo che
solo l’imputato era armato di coltello e che la vittima, non armata, presentava
diverse ferite anche da difesa e non aveva colpito il suo aggressore, rendeva
conto della colpevolezza dell’imputato, oltre che della manifesta sussistenza
dell’aggravante dei futili motivi.
2.2. Né la Corte, che ha ritenuto sufficienti tali, qui riprese, riflessioni, ha

(come sintetizzato sub 1.4. del “ritenuto in fatto”) ha logicamente rappresentato
che la insussistenza di un contrasto delle dichiarazioni della vittima e della sua
compagna, escusse quali testi, con i dati obiettivi, confermava la sostanziale
attendibilità del loro narrato; ha congruamente messo in evidenza la subvalenza
di circostanze segnalate dall’imputato (quali la conoscenza o meno da parte della
vittima della sua abitudine di tenere un coltello sotto il cuscino, la chiusura o
meno della porta della stanza nella quale è avvenuto il fatto), la velocità degli
accadimenti (incidente sulla coerenza dei racconti) e la significatività delle
circostanze essenziali descritte (coerente con i fatti obiettivi evidenziati); ha
ulteriormente segnalato la dimostrazione della certa serietà delle ferite, attestata
dai referti medici e traibile dalla presenza, in diversi punti della casa, di copiose
tracce di sangue, giudicate non rilevanti quanto alla dinamica del fatto.
2.3. Si tratta di una valutazione congrua e ragionevole che resiste alle svolte
censure, che, senza una effettiva correlazione con l’articolato ragionamento
probatorio espresso in sentenza e ricorrendo alla scelta metodologica di ribadire
interrogativi e osservazioni minuziose su singoli dettagli dei luoghi, già
adeguatamente presi in esame e confutati in sentenza, si risolvono, invadendo il
campo della discrezionalità nelle valutazioni di merito delle risultanze probatorie,
in aspecifiche censure sul significato e sulla interpretazione degli elementi
probatori utilizzati in giudizio, nell’ottica di impegnare questa Corte in una non
consentita revisione in fatto dell’oggetto delle analisi svolte e delle conclusioni
raggiunte.

3. Prive di alcun pregio, inoltre, sono le censure sviluppata con il quarto, il
quinto e il sesto motivo, che attengono alla contestata qualificazione giuridica del
fatto ascritto al ricorrente quale tentato omicidio, invece che in termini di lesioni
volontarie (sesto motivo) -cui sono collegate la doglianza afferente alla dedotta
desistenza volontaria (sesto motivo) e quella relativa alla eccepita assenza del
pericolo di vita della vittima (quarto motivo)-, e alla contestata esclusione della
scriminante della legittima difesa (quinto motivo).

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omesso di confrontarsi con le ulteriori osservazioni e obiezioni difensive, poiché

3.1. Deve premettersi in diritto che, per aversi il reato tentato, l’art. 56 cod.
pen. richiede la commissione di atti idonei, diretti in modo non equivoco a
commettere un reato. È, quindi, elemento strutturale oggettivo del tentativo,
insieme alla direzione non equivoca degli atti, l’idoneità degli stessi, dovendosi
intendere per tali quelli dotati di una effettiva e concreta potenzialità lesiva per il
bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, alla luce di una valutazione
prognostica compiuta ex post (e quindi postuma), con riferimento alla situazione
così come presentatasi al colpevole al momento dell’azione in base alle

condizionata dagli effetti realmente raggiunti (tra le altre, Sez. 1, n. 39293 del
23/09/2008, dep. 21/10/2008, Di Salvo, Rv. 241339; Sez. 1, n. 32851 del
10/06/2013, dep. 29/07/2013, Ciancio Cateno, Rv. 256991), e quindi tenendosi
conto con giudizio ex ante, nella prospettiva del bene protetto, delle circostanze
in cui ha operato l’agente e delle modalità dell’azione (tra le altre, Sez. 6, n.
27323 del 20/05/2008, dep. 04/07/2008, P., Rv. 240736; Sez. 1, n. 19511 del
15/01/2010, dep. 24/05/2010, Basco e altri, Rv. 247197; Sez. 1, n. 27918 del
04/03/2010, dep. 19/07/2010, Resa e altri, Rv. 248305).
Questa Corte ha anche ripetutamente affermato che, al fine della
qualificazione del fatto quale lesione personale o quale tentato omicidio, si deve
aver riguardo al diverso atteggiamento psicologico dell’agente e alla diversa
potenzialità dell’azione lesiva. Se nel primo reato la carica offensiva dell’azione si
esaurisce nell’evento prodotto, nel secondo vi è un quid pluris che tende ed è
idoneo a causare un evento più grave di quello realizzato in danno dello stesso
bene giuridico o di uno superiore, riguardante lo stesso soggetto passivo, che
non si realizza per ragioni estranee alla volontà dell’agente (tra le altre, Sez. 1,
n. 35174 del 23/06/2009, dep. 11/09/2009, M., Rv. 245204; Sez. 1, n. 37516
del 22/09/2010, dep. 20/10/2010, Bisotti, Rv. 248550; Sez. 1, n. 51056 del
27/11/2013, dep. 18/12/2013, Tripodi, Rv. 257881).
Con riferimento particolare all’elemento psicologico del dolo, riguardo al
reato di tentato omicidio, è costante l’orientamento alla cui stregua la figura di
reato prevista dall’art. 56 cod. pen., che ha come suo presupposto il compimento
di atti finalizzati (“diretti in modo non equivoco”) alla commissione di un delitto,
non ricomprende quelle condotte rispetto alle quali un evento delittuoso si
prospetta come accadimento possibile o probabile non preso in diretta
considerazione dall’agente, che accetta il rischio del suo verificarsi (c.d. dolo
eventuale) (tra le altre, Sez. 1, n. 44995 del 14/11/2007, dep. 04/12/2007,
Strimaitis e altro, Rv. 238705; Sez. 1, n. 25114 del 31/03/2010,
dep. 02/07/2010, Vismara, Rv. 247707; Sez. 6, n. 14342 del 20/03/2012,
dep. 16/04/2012, R., Rv. 252565), ricomprendendo invece gli atti rispetto ai
quali l’evento specificamente richiesto per la realizzazione della fattispecie
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condizioni umanamente prevedibili del caso particolare, che non può essere

delittuosa di riferimento si pone come inequivoco epilogo della direzione della
condotta, accettato dall’agente che prevede e vuole, con scelta sostanzialmente
equipollente, l’uno o l’altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua
condotta cosciente e volontaria (c.d. dolo diretto alternativo), o specificamente
voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale o perseguito
come scopo finale (c.d. dolo diretto intenzionale) (tra le altre, Sez. U, n. 748 del
12/10/1993, dep. 25/01/1994, Cassata, Rv. 195804; Sez. 6, n. 8745 del
01/06/2000, dep. 02/08/2000, P.G. in proc. Spitella e altro, Rv. 217559; Sez. 1,

12594 del 29/01/2008, dep. 27/03/2008, Li e altri, Rv. 240275; Sez. 1, n.
11521 del 25/02/2009, dep. 16/03/2009, D’Alessandro, Rv. 243487; Sez. 1, n.
9663 del 03/10/2013, dep. 27/02/2014, Nardelli, Rv. 259465).
È evidente che il giudice non può entrare nella psiche dell’uomo, al fine di
valutare l’esistenza del dolo omicida e di verificare se l’evento sia stato escluso o
sia stato visto dall’agente come possibile, come probabile o come certa
conseguenza diretta della sua azione, e che deve, quindi, attenersi a una
indagine sintomatica, e cioè agli elementi fattuali indicativi all’esterno della
volontà omicida dell’agente.
La prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato,
deve essere, in particolare, desunta attraverso un procedimento inferenziale,
analogo a quello utilizzabile nel procedimento indiziario, da fatti esterni o certi,
aventi un sicuro valore sintomatico, e in particolare da quei dati della condotta
che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei a
esprimere il fine perseguito dall’agente secondo

l’id quod plerumque accidit,

quali esemplificativamente il comportamento antecedente e susseguente al
reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la
reiterazione dei colpi (tra le altre, Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, citata; Sez.
1, n. 30466 del 07/07/2011, dep. 01/08/2011, Miletta e altro, Rv. 251014; Sez.
1, n. 35006 del 18/04/2013, dep. 14/08/2013, Polisi, Rv. 257208).
3.2. La Corte di merito, in coerenza con tali condivisi principi, ha dato
esaustivo conto, con argomentazioni sintetiche ma logicamente coordinate e con
richiami non incongrui ai dati fattuali esaminati, delle ragioni giustificative della
conferma delle valutazioni svolte dal primo Giudice, che aveva già posto in
debito risalto i dati probatori acquisiti e ritenuto l’infondatezza degli assunti
difensivi volti a escludere l’intento omicida.
Facendo logico riferimento agli elementi sintomatici, tratti dall’analisi delle
modalità della condotta tenuta dal ricorrente e dalla svolta ricostruzione della
vicenda, la Corte ha, in particolare, individuato, con ragionevole apprezzamento
ex ante di tutti gli elementi circostanziali del fatto, la idoneità del fendente

portato al collo, zona ristretta con organi vitali, a cagionare la morte; la

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n. 27620 del 24/05/2007, dep. 12/07/2007, Mastrovito, Rv. 237022; Sez. 1, n.

sussistenza della volontà omicida, ragionevolmente ritenuta esteriorizzata e
rappresentata dalla pluralità e reiterazione dei colpi inferti con il coltello su
persona che cercava di ripararsi e dalla zona vitale del collo scientemente
attinta, e la irrilevanza della circostanza che la vittima non fosse mai stata in
concreto pericolo di vita.
3.3. A fronte di tali rilievi, il ricorrente, nuovamente reiterando argomenti
già rappresentati e valutati nelle fasi di merito, deduce l’omesso corretto
apprezzamento della dislocazione delle macchie di sangue, inducenti diverse

mentre la vittima sanguinava dal collo (secondo le prime dichiarazioni rese da
Filippi Lara, compagna della vittima), non ha proseguito l’azione; della non
gravità delle ferite refertate a carico della vittima e dell’assenza del pericolo di
vita della stessa, incidenti sulla idoneità degli atti e sulla intenzionalità omicida.
Tali censure, tuttavia, corrispondono a non deducibili, e come tali
inammissibili, digressioni in rivalutazioni di merito nella proposta rilettura delle
emergenze fattuali, e procedono secondo una non corretta prospettiva di analisi

ex post del reato contestato e attribuito attraverso la insistita considerazione
delle conseguenze lesive e del contestato rischio mortale da esse derivato,
infondatamente rapportando a un giudizio concreto ex post l’apprezzamento
della idoneità degli atti, laddove la prognosi postuma deve essere riferita
all’adeguatezza causale della condotta avendo riguardo alla lesione del bene
protetto dalla norma incriminatrice e, quindi, alla situazione così come
presentatasi all’agente al momento dell’azione apprezzata in concreto

ex ante

senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, dovendo
diversamente l’azione ritenersi sempre inidonea, per non avere conseguito
l’evento.

4. Relativamente alla censura che attiene alla configurabilità nel
comportamento tenuto dal ricorrente della volontaria desistenza dalla condotta
criminosa, è sufficiente rilevare l’esatta interpretazione e applicazione da parte
della Corte di appello del condiviso principio di diritto costantemente affermato
da questa Corte, alla cui stregua la desistenza (art. 56, comma 3, cod. pen.) si
ha quando l’agente si arresta prima di avere posto in essere l’intera condotta
tipica, e non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui
origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento, a differenza del
recesso attivo, previsto dall’art. 56, comma 4, cod. pen., che si realizza quando il
soggetto, avendo esaurito la condotta tipica, agisce per impedire l’evento e
riesce, effettivamente, a impedirlo (tra le altre, Sez. 1, n. 42749 del 02/10/2007,
dep. 20/11/2007, Pepini, Rv. 238112; Sez. 1, n. 39293 del 23709/2008, dep.
21/10/2008, Di Salvo, Rv. 241340; Sez. 6, n. 32830 del 09/04/2009, dep.

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ricostruzioni fattuali; della sua condotta, che, pur avendo il coltello a disposizione

12/08/2009, Norci, Rv. 244602; Sez. 1, n. 43036 del 23/10/2012,
dep. 07/11/2012, Ortu, Rv. 253616).
La sentenza impugnata ha, infatti, correttamente argomentato che, alla luce
delle emergenze fattuali, quando è terminata l’aggressione, concretatasi in
diversi colpi inferti nei confronti della vittima, il reato di tentato omicidio si era
già consumato, mentre il ricorrente si limita a dedurre, in termini di
contrapposizione argomentativa, di non avere proseguito nell’azione quando il
coltello era ancora nelle sue mani e la persona offesa, già ferita al collo e alla

5. Manifestamente destituita di fondamento è anche la censura che attiene
al diniego della legittima difesa, contestato sotto il profilo della omessa e/o
illogica valutazione da parte della Corte di appello delle circostanze tratte dagli
acquisiti elementi probatori.
La Corte, esattamente interpretando il fondamento normativo della invocata
esimente, ha coerentemente rimarcato, nella svolta specifica analisi della
vicenda sostanziale, che la tesi difensiva -secondo cui l’imputato era l’aggredito
che si è difeso dalla forza preponderante della vittima- era smentita da specifiche
circostanze fattuali, dimostrative del fatto che la vittima, non armata, non ha
colpito l’imputato, che non ha riportato alcuna lesione, e che la stessa,
presentando diverse ferite, anche da difesa, non è stata colpita solo
accidentalmente da persona che voleva a sua volta difendersi, ma è stata colpita
da persona armata di coltello, che, infierendo con più colpi, ha dimostrato le sue
intenzioni offensive.
Tale compendio argomentativo -coerentemente inserito nel discorso
giustificativo della decisione, che supporta senza vuoti logici la decisione finale,
secondo cui la condotta volontaria del ricorrente, attuata negli emersi termini, ha
integrato con certezza, superando i confini dell’agire scriminato, il reato di
tentato omicidio- è contestato dal ricorrente, che, ulteriormente contrapponendo
la propria versione (che afferma supportata in fatto dagli elementi di prova
forniti dai luoghi, dalle tracce rinvenute e dall’esame delle ferite), reclama
genericamente l’esame della personalità, della sproporzione di forza e di età dei
due protagonisti e della ingestione di alcolici da parte della vittima, senza
rappresentarne la decisività ai fini della decisione, a fronte delle emergenze
valorizzate in sentenza, delle quali non si è fatto carico.

6. Il ricorrente, cui sono state già riconosciute in primo grado le attenuanti
generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, è all’evidenza
carente di interesse alla loro rinnovata richiesta, mentre la chiesta applicabilità
dei doppi benefici della sospensione della pena e della non menzione è preclusa
11

mano, era “in sua baria”.

ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., non avendo formato oggetto dei
motivi di appello avverso la sentenza di primo grado.

7. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di
elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa
d’inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di euro

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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