Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4367 del 12/12/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 4367 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

Data Udienza: 12/12/2012

SENTENZA

sul ricorso proposto da
La Gatta Alberto, nato a Moncalieri 1112/04/1957

avverso la sentenza del 23/11/2011 della Corte d’appello di Genova R.G. n. 1203/2011
visti gli atti, il prowedimento impugnato ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe De Marzo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Maria Giuseppina
Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 23/11/2011, la Corte d’appello di Genova, per quanto ancora rileva, in
riforma della sentenza di primo grado, ha condannato Alberto La Gatta alla pena di anni sei
di reclusione e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, in relazione ai
reati di cui agli artt. 582, 583, 585 cod. pen. per avere volontariamente cagionato ad Artur
Hinga lesioni personali gravissime esplodendo contro di lui un colpo di pistola (capo a) e di
cui agii art. 81 cpv., 2, 4 e 7 I. 2/10/1967, n. 895, per avere, in esecuzione dello stesso
disegno criminoso, detenuto e portato fuori della propria abitazione una pistola a tamburo,
con l’aggravante di cui all’art. 61, n. 2 cod. pen., per avere portato l’arma in luogo pubblico
al fine di eseguire il reato di cui al capo precedente (capo b).

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2. La sentenza ha ritenuto che la responsabilità dell’imputato trovi fondamento nelle
dichiarazioni rese dalla parte lesa, da due testi oculari e dalla stessa coimputata, che,
confermando la condotta addebitata al La Gatta, ha ammesso la propria responsabilità. Gli
elementi di dubbio valorizzati dal primo giudice sono stati considerati dalla Colte d’Appello
privi di incidenza sul nucleo fondamentale del fatto addebitato al La Gatta; inoltre la non
perfetta coincidenza dei racconti, oltre ad essere garanzia di genuinità trovava ragionevole
spiegazione nella concitazione dei fatti, nella pluralità dei soggetti a vario titolo coinvolti e
delle situazioni prese in considerazione. La sentenza impugnata ha aggiunto che possibili

di allontanare da sé ogni sospetto di possibile istigazione o coinvolgimento nella creazione
delle condizioni che avevano portato all’esplosione del colpo di pistola.
La sentenza ha aggiunto a conforto della conclusione raggiunta: a) che tutti i testavevano
riferito che il La Gatta, prima di scendere dall’autovettura, aveva chiesto alla sua compagna
di sedersi al posto di guida, in tal modo palesando l’intento di garantirsi una veloce fuga; b)
che non era privo di significato il fatto che gli albanesi avessero subito richiesto l’intervento
del soccorso medico e dei carabinieri, immediatamente indicando il La Gatta come l’autore
dello sparo; c) che quest’ultimo si era reso latitante per diversi giorni prima di consegnarsi,
fornendo una spiegazione (l’impossibilità di contattare i carabinieri) smentita dal servizio di
emergenza, dal fatto che gli albanesi erano riusciti nell’intento e infine dalle ammissioni dello
stesso imputato, il quale aveva riconosciuto che non era consono alla sua personalità
rivolgersi alle Forze dell’Ordine; d) che le iniziali dichiarazioni della compagna del La Gatta si
spiegavano con lo stato di sudditanza della donna, vittima di una dominazione psicologica e
fisica, accertata con sentenza acquisita agli atti; e) che l’esistenza all’interno dell’auto di
tracce compatibili ma non univoche dello sparo non assumeva rilievo determinante, tenuto
conto dei giorni trascorsi prima dell’accertamento e del fatto che il prelievo era avvenuto in
un punto non toccato dal La Gatta, che era entrato dal lato passeggero.
3. Il La Gatta ha proposto ricorso per cassazione, lamentando: a) che la sentenza sarebbe
frutto di prevenuta ostilità nei suoi confronti, come dimostrato dalla menzione di pregresse
vicende processuali relative ad episodi estranei ai fatti per cui è causa e risalenti ad epoche
diverse; b) che ergttate valorizzate in suo danno le contraddizioni in cui erano incorsi i
testimoni, tutti di nazionalità albanese e tutti legati da vincoli di parentela con la persona
offesa, nonostante l’ammissione di un accordo fra i testi finalizzato ad allontanare da loro
ogni sospetto nella creazione delle condizioni che avevano portato all’esplosione del colpo di
pistola; c) che la Corte aveva inteso far gravare su di lui l’onere di dimostrare la colpevolezza
di un terzo; d) che la Corte non aveva inteso che la sua decisione di far sedere la compagna
al posto di guida era irrilevante e piuttosto dimostrava la sua preoccupazione nell’affrontare
disarmato un gruppo di persone; e) che la Corte aveva posto a base della decisione anche le
dichiarazioni della sua compagna, nonostante le ragioni di astio nutrite nei suoi confronti; f)
che le riflessioni della Corte sull’esito delle indagini scientifiche si fondavano su un lavaggio
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reticenze o contraddizioni potevano essere spiegate come l’intento del gruppo degli albanesi

della vettura che nessuno aveva mai ipotizzato e trascuravano il fatto che l’auto era stata
sequestrata immediatamente dopo gli eventi, senza che venisse indviduata alcuna traccia di
detersivi e solventi; g) che se l’autovettura fosse stata lavata non si sarebbero dovute
rinvenire le tracce di piombo e antimonio che invece vennero trovate in abbondanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Seguendo l’ordine delle censure del ricorrente, si rileva: a) che la menzione da parte della
sentenza impugnata di altra decisione, pronunciata a carico dell’imputato e ritualmente

si giustifica, al fine di illustrare, nel percorso motivazionale della Corte territoriale, le ragioni
per cui la Panero, all’epoca vittima di dominazione psicologica e fisica da parte dell’imputato,
abbia inizialmente reso dichiarazioni a lui favorevoli, per poi trovare, a seguito dello stato di
carcerazione dell’ex – compagno, il coraggio di dire la verità; b) che non emerge alcuna
manifesta illogicità delle argomentazioni della Corte che, confrontandosi con le possibili
reticenze o contraddizioni fra la parte lesa e i testi – peraltro concernenti non il nucleo
essenziale della vicenda, ma gli spostamenti reciproci successivi alla lite in pizzeria e prima
dello sparo – le ha spiegate non, come ritiene il ricorrente, con un accordo fra i testi
(accordo, che, peraltro, non darebbe conto proprio delle contraddizioni rilevate), ma con
l’intento che ciascuno dei testi perseguiva di allontanare ogni sospetto nella creazione delle
condizioni che avevano portato all’esplosione del colpo di pistola; c) che la Corte non ha
fatto alcun malgoverno delle regole in tema di oneri dimostrativi, impegnandosi in una
positiva valutazione globale degli elementi istruttori, tra i quali, accanto alle dichiarazioni dei
testimoni, va sottolineato anche il comportamento del ricorrente immediatamente dopo lo
sparo; d) che, in questa prospettiva, la critica delle conclusioni raggiunte dalla Corte quanto
alla decisione dell’imputato di far sedere la compagna al posto di guida, non fondandosi su
elementi processuali idonei a palesarne la manifesta illogicità, si traduce nell’inammissibile
pretesa ad una rivisitazione del compendio istruttorio; e) che lo stesso deve dirsi, a fronte
dell’articolata motivazione della Corte territoriale, quanto alla valutazione delle dichiarazioni
della Panero; f) che le critiche rivolte alle riflessioni della Corte sull’esito delle indagini
scientifiche non toccano il rilievo secondo cui il prelievo era avvenuto in punto non toccato
dall’imputato; g) che, pertanto, il possibile lavaggio dell’autovettura rappresenta un
argomento ulteriore ed autonomo, che può anche essere eliminato senza per questo privare
di logicità le conclusioni raggiunte.
Le censure appaiono, in definitiva, manifestamente infondate.
3. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc. peri, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa
delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo
determinare in euro 1.000,00.

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acquisita agli atti del processo, lungi dall’esprimere una prevenuta ostilità nei suoi confronti,

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 12/12/2012

Il Presidente

Il Componente estensore

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