Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43655 del 25/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 43655 Anno 2015
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Volpini Diego, nato a Capriolo il 30/10/1964

avverso la sentenza emessa il 16/06/2014 dalla Corte di appello di Brescia

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Eugenio Selvaggi, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Diego Volpini ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe,
recante la conferma della sentenza emessa nei confronti del suo assistito, in data
07/02/2014, dal Tribunale di Bergamo.

Data Udienza: 25/05/2015

L’imputato risulta essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia per
reati di falso, sostituzione di persona e truffa, in ipotesi commessi in concorso
con Roberto Schioppetti, giacché il 21/12/2007 essi si erano presentati presso un
esercizio commerciale con un documento di identità contraffatto, su cui era
apposta la fotografia del Volpini ma apparentemente intestato a tale Carlo Bona,
deceduto circa un mese addietro; i due avevano poi pagato la merce acquistata
con un assegno bancario parimenti falsificato, che lo stesso Volpini aveva
compilato firmandosi con il nome del Bona (l’assegno de quo proveniva da un

Nella motivazione della sentenza della Corte territoriale si chiariva che le
testimoni Luisa Belotti e Maria Elena Zanotti (rispettivamente, titolare e
commessa del negozio) erano state incerte nel riconoscere in fotografia gli
imputati in occasione dell’udienza dibattimentale, ma ciò si giustificava con il
rilievo che il giudizio era stato svolto a distanza di sette anni dal fatto; non di
meno, nell’immediatezza, le stesse erano state certissime della ricognizione, e
quella sicurezza era stata attestata in dibattimento, essendone stata anche
«conservata prova con la sottoscrizione apposta a fianco delle fotografie
corrispondenti alle effigie di coloro che avevano perpetrato la truffa».
La Corte bresciana riteneva poi di non poter escludere la recidiva, atteso che
il Volpini risultava già condannato per gravi e specifici reati contro il patrimonio
(veniva menzionata una pregressa condanna per associazione per delinquere e
plurimi furti), perciò il reato di cui all’art. 640 cod. pen. doveva intendersi
«espressivo della maggior pericolosità del prevenuto, attestata dai precedenti».
Nel contempo, confermava il giudizio negativo del Tribunale in ordine alla
concedibilità delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la difesa dedotto
alcunché di valorizzabile a tal fine ed avendo il Volpini – al pari del coimputato scelto di rimanere contumace od assente, nonché omesso di manifestare
resipiscenza rispetto al reato commesso.
Con l’odierno ricorso, la difesa lamenta:
violazione di legge processuale
Nell’interesse dell’imputato, si rappresenta che nel caso di specie non
venne compiuto alcun atto di ricognizione fotografica in senso proprio,
pur trattandosi di prova atipica, dal momento che alle testimoni sopra
indicate venne esibito un solo album, e le stesse si limitarono a prendere
atto di avere a suo tempo apposto le loro sottoscrizioni in corrispondenza
di una di quelle foto (la Zanotti, in particolare, segnalò che non si sarebbe
ricordata di nulla, ove non avesse visto la propria firma). Le due donne,
peraltro, riferirono di non ricordare neppure di avere visionato fotografie
di sorta anni prima.

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conto corrente già estinto, effettivamente intestato al suddetto Bona).

Ne deriva, secondo la difesa, che «una o plurime individuazioni
fotografiche atipiche, effettuate nel corso del dibattimento, all’esito delle
quali i testi dichiarano di riconoscere nell’effigie mostrata loro l’imputato,
solo perché accanto alla fotografia è posta la loro sottoscrizione, non è
sufficiente a soddisfare il principio del libero convincimento del giudice,
anche laddove il teste ricordi, a seguito di contestazione, di avere avuto
certezza assoluta al momento dell’effettuazione del medesimo atto»
– violazione di legge penale

censurata l’affermazione della Corte di appello secondo cui il Volpini
(come pure il coimputato) non avrebbe offerto elementi valorizzabili al
fine di vedersi riconosciute le circostanze attenuanti generiche: al
contrario, nei motivi di gravame la difesa aveva invocato l’applicazione
dell’art. 62-bis cod. pen. in ragione della lontananza nel tempo dei fatti
contestati e del modesto danno patrimoniale arrecato.
Inoltre, i giudici di secondo grado non avrebbero proceduto ad una
«rituale, specifica e puntuale contestazione» della recidiva, indicata
genericamente in rubrica «senza riferimento ad alcuno dei reati al
medesimo attribuiti»

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, per manifesta infondatezza e
genericità dei motivi di doglianza.
1.1 Quanto alla presunta inaffidabilità dell’individuazione dell’imputato ad
opera delle testimoni escusse in dibattimento, va ricordato che – secondo la
giurisprudenza di questa Corte – «l’individuazione di un soggetto – sia personale
che fotografica – costituisce manifestazione riproduttiva di una percezione visiva
e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, soggetta,
alla stregua della deposizione testimoniale, alle regole processuali che
consentono l’utilizzabilità in dibattimento di dichiarazioni rese da un teste nella
fase delle indagini preliminari» (Cass., Sez. II, n. 50954 del 03/12/2013,
Corcione, Rv 257985). Questo è esattamente quanto accaduto nel caso di
specie, dove il ricordo della Belotti e della Zanotti venne sollecitato attraverso il
rituale meccanismo delle contestazioni, a nulla rilevando la circostanza – del
tutto fisiologica – che il decorso del tempo poté determinare inizialmente l’una o
l’altra delle testimoni a non confermare quel che risultava obiettivamente
documentato. Costituisce principio consolidato, del resto, l’affermazione che

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Con riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio, viene

«l’individuazione fotografica di un soggetto effettuata dalla polizia giudiziaria
costituisce una prova atipica la cui affidabilità non deriva dal riconoscimento in
sé, ma dalla credibilità della deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia,
si dica certo della sua identificazione» (Cass., Sez. VI, n. 49758 del 27/11/2012,
Aleksov, Rv 253910), e ciò vale anche quando la conclusione della certezza si
raggiunga – da parte di chi non abbia serbato memoria diretta delle sembianze
della persona da riconoscere – attraverso il richiamo di un giudizio espresso in
precedenza.

doglianze mosse dal ricorrente non si confrontano in alcun modo con gli elementi
di maggior spessore, e di portata assolutamente dirimente, acquisiti a suo
carico: infatti, nell’occasione della spendita dell’assegno e della esibizione del
documento apparentemente intestato al Bona è pacifico che la commessa Elena
Zanotti trattenne copia di quella carta d’identità, poi consegnata ai Carabinieri;
e, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, «nessun dubbio vi è in
merito alla circostanza che la stessa sia stata contraffatta proprio con
l’apposizione della fotografia del medesimo Volpini». La pronuncia di primo
grado chiarisce financo che dall’esame di un teste di p.g. «emergeva che la
medesima carta d’identità contraffatta era stata utilizzata dagli stessi Schioppetti
e Volpini per la realizzazione di reati analoghi, ai danni di attività commerciali
della zona, commessi nel medesimo periodo».
1.2 In ordine alle censure afferenti il trattamento sanzionatorio, la
giurisprudenza di questa Corte ha più volte ricordato che «la sussistenza di
circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un
giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle
sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di
legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure
quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori
attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato» (Cass., Sez. VI, n. 42688 del
24/09/2008, Caridi, Rv 242419); è stato parimenti precisato che «ai fini della
concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può
limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen.,
quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del
beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole
o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente
in tal senso» (Cass., Sez. II, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv 249163).
La motivazione adottata, sul punto, dalla Corte territoriale, si rivela pertanto
del tutto congrua, visto che – in relazione agli elementi sottolineati dalla difesa
nella contraria prospettiva – i giudici di appello valorizzano:

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Inoltre, e soprattutto, deve rilevarsi che nella fattispecie oggi sub judice le

la circostanza, a fronte della lontananza temporale del fatto rispetto alla
celebrazione del giudizio, dell’assoluta mancanza di segni concreti di
resipiscenza da parte dell’imputato;
le indicazioni ricavabili dalla stessa rubrica (circa il provento complessivo
della truffa, consistente in capi di abbigliamento per un totale ammontare
di 2.600,00 euro), sufficienti per smentire la tesi del presunto, modesto
valore dei beni acquistati con la frode.
Del tutto inconsistente è infine la doglianza della difesa a proposito della

evidenza che il riferimento alla specificità rispetto alle pregresse condanne
riportate dal Volpini riguardava il delitto di truffa, data la pluralità dei reati contro
il patrimonio (furto) già accertati a suo carico e risultanti dal certificato del
casellario, come puntualmente segnalato dalla Corte bresciana a pag. 5 della
motivazione della sentenza impugnata, illustrando le ragioni dell’impossibilità di
accogliere la richiesta di esclusione della recidiva medesima.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del Volpini al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, riconducibili alla volontà del
ricorrente – al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di
C 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 25/05/2015.

genericità della contestazione della recidiva: appare infatti di immediata

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