Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43654 del 22/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 43654 Anno 2015
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’AMICO ANTONIO N. IL 28/06/1978
PARTE CIVILE
avverso la sentenza n. 3170/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 14/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/05/2015 la relazione fatta dal
-Corsigliere Dott. GRAZTA. MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Do
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 22/05/2015

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Paola FILIPPI, ha concluso chiedendo
la declaratoria di inammissibilità.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 maggio 2014 la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della
pronunzia di primo grado emessa dal Tribunale di Termini Imerese, per quanto qui di interesse
ha ridotto la pena inflitta a Antonio D’AMICO, che era stato ritenuto, in concorso con il padre
Giuseppe D’AMICO, responsabile del reato di diffamazione perché, con esposto presentato al
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Termini Imerese, offendeva la reputazione dell’avvocato

abbandonava il proprio assistito per futili motivi o per denaro e che aveva arrecato danni per la
sua “ignoranza lavorativa”.
2.

Con atto sottoscritto dal suo difensore, viene proposto ricorso nell’interesse del D’AMICO

affidato ad un unico articolato motivo, con il quale si deduce vizio di motivazione in relazione
alla affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 595 cod. pen. in concorso con il
padre Giuseppe D’AMICO.
Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe trascurato le risultanze processuali dalle quali
emerge che egli non voleva firmare l’esposto diffamatorio e che era stato costretto a farlo dal
padre, ignorandone il contenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Le doglianze formulate sono del tutto scollegate dalle argomentazioni della sentenza
impugnata e peraltro finalizzate ad una inammissibile rivalutazione delle risultanze processuali,
sulle quali la Corte territoriale ha esaustivamente e logicamente motivato, rispondendo alle
analoghe censure già proposte negli stessi termini in appello.
Va a tal proposito rammentato il principio di diritto secondo il quale la mancanza di specificità
dei motivi deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma
anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del
giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, che comporta, a norma
dell’art. 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., l’inammissibilità (Sez. 5, n. 28011 del
15/02/2013 – dep. 26/06/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, 18.9.1997 – 13.1.1998, n.
256, rv. 210157; Sez. 5, 27.1.2005 -25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Sez. 5, 12.12.1996, n.
3608, p.m. in proc. Tizzani e altri, rv. 207389).
A questa Corte, peraltro, non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti
neppure alla luce del nuovo testo dell’art. 606, lettera e), cod. proc. pen.; la modifica
normativa di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia infatti inalterata la natura del
controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può
estendersi ad una valutazione di merito.
I motivi dedotti dal ricorrente si limitano a censurare proprio la sussistenza di prove a suo
2

Rosario Fertitta, affermando, tra l’altro, che lo stesso chiedeva soldi senza aver lavorato, che

carico. Quanto dedotto è però -come si è detto- del tutto generico e le censure sono
formulate senza alcuna effettiva considerazione degli elementi evidenziati e degli argomenti
spesi nella sentenza impugnata e in quella di primo grado, alla quale la Corte territoriale ha
fatto legittimamente rinvio.
Peraltro, l’esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la motivazione
sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza, proprio nella valutaizione di tutti gli
elementi a carico dell’imputato, evidenziando la manifesta infodatezza della tesi difensiva
secondo la quale egli non sarebbe stato a conoscenza del contenuto dell’atto diffamatorio

Né va trascurato nel caso in esame che la sentenza impugnata ha confermato quella di primo
grado, sicché vanno ribaditi i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione, quando
ci si trova dinanzi a una “doppia pronuncia conforme”, l’eventuale vizio di travisamento può
essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica
deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta
introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado
(Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi e altro, Rv. 258438).
2. In ragione dei suesposti motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente
va condannato al pagamento delle spese processuali, nonché della somma di euro 1000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2015
Il consigliere estensore

Il Presidente

redatto materialmente dal padre e da lui sottoscritto in bianco.

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