Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4362 del 11/12/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 4362 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dai difensori di:
Santaniello Debora, nata a Napoli, il 6/2/1968;
Granata Nunzio, nato a Napoli, il 29/9/1958;
Massaro Bentivoglio, nato a S. Michele al Tagliamento, 1’1/2/1955;

avverso la sentenza del 13/5/2011 della Corte d’appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. M.
Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato Massaro l’avv. Alessandro Bentivoglio, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 11/12/2012

RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 13 maggio 2011 la Corte d’appello di Bologna confermava la
condanna di Santaniello Debora e Granata Nunzio per il concorso in una serie di reati
di bancarotta fraudolenta, patrimoniali e documentali, relative ad alcune società del
c.d. gruppo Cosmi, nonché di Massaro Bentivoglio per il suo concorso nella distrazione
del valore di liquidazione di titoli di Stato destinati ad una delle suddette società (la

provvedendo però alla rimodulazione in senso favorevole agli imputati delle pene loro
rispettivamente irrogate dal giudice di prime cure, per quanto riguarda la Santaniello
ed il Granata in ragione dell’intervenuta prescrizione di alcuni dei reati originariamente
loro contestati, mentre per il Massaro in forza di una rivalutazione nel merito del
trattamento sanzionatorio.
2. Avverso la sentenza ricorrono a mezzo dei rispettivi difensori tutti e tre gli imputati.
2.1 Con il ricorso del Massaro si deducono innanzi tutto la violazione degli artt. 40 e
110 c.p. e vizi motivazionali della sentenza impugnata in merito al riconosciuto
concorso del medesimo nel reato ascrittogli pur avendo la Corte territoriale ammesso
che egli sarebbe concorso con persone ignote o rimaste impunite e senza che la stessa
precisasse quale tipologia di concorso sarebbe addebitabile all’imputato e quale la
prova della sua consapevolezza circa l’efficienza causale del presunto contributo dallo
stesso prestato, anche tenuto conto del fatto che il reato si sarebbe consumato alla
data del fallimento della società, quando cioè i rapporti del Massaro con la fallita erano
cessati da oltre tre anni. Ulteriori violazioni della legge sostanziale e vizi motivazionali
il ricorrente lamenta poi con riguardo alla ritenuta sussistenza della consapevolezza da
parte del Massaro del dissesto della società al momento della prestazione del suo
presunto contributo concorsuale, così come in merito alla mancata valutazione
dell’estraneità dell’imputato al contratto di permuta che avrebbe generato la
distrazione contestata e delle giustificazioni dallo stesso rese in merito alla vicenda,
compreso il disconoscimento della firma relativa al prelievo dal conto “Parsifal” sul
quale era stato depositato il provento della liquidazione dei titoli oggetto di distrazione.
2.2 Con il ricorso della Santaniello e del Granata si eccepisce la violazione della legge
penale fallimentare per essere stato addebitato agli imputati a titolo di distrazione il
mero disavanzo tra attivo e passivo delle società fallite, nonché per essere stata
disconosciuta l’attenuante speciale di cui al terzo comma dell’art. 219 legge fall.
ancora una volta in ragione dell’entità del complessivo danno “fallimentare” e non di
quello specificamente attribuibile ai fatti di bancarotta contestati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Studio 3B s.r.I.) in permuta di un immobile di pertinenza della medesima,

1.11 ricorso del Massaro è in parte infondato ed in parte inammissibile.
1.1 Quanto all’errata applicazione delle norme sul concorso di persone nel reato invero
le doglianze del ricorrente risultano infondate, atteso che il ruolo svolto dall’imputato
nella consumazione della distrazione addebitatigli è ben evidenziato nel capo
d’imputazione ed il provvedimento impugnato, nel riconoscere al Massaro il ruolo di
concorrente esterno nel reato, dimostra di essersi attenuto (così come la sentenza di
primo grado) a tale contestazione, ritenendo coerente con le risultanze processuali che

sui conti residenti in S. Marino, a realizzare la sottrazione delle risorse destinate a
compensare la Studio 36 s.r.l. dell’altrimenti ingiustificato trasferimento dell’immobile
di sua pertinenza.
1.2 Non di meno alcuna violazione delle norme menzionate consegue alla mancata
identificazione o al mancato perseguimento di alcuni degli autori del reato, atteso che,
ai fini della sussistenza della fattispecie concorsuale, la circostanza – contrariamente a
quanto dimostra di credere il ricorrente – è affatto irrilevante (Sez. 1, n. 23455 del 6
maggio 2003, Carraro e altri, Rv. 224598; Sez. 4, n. 16998 del 24 gennaio 2006, P.C.
in proc. Pisanu ed altri, Rv. 233832). Né la Corte distrettuale, nel rilevare per
l’appunto come non tutti i concorrenti nel reato siano stati portati a giudizio, ha voluto
affermare – come invece il ricorrente sembra voler insinuare – che non sia stata
acquisita la prova della struttura concorsuale del reato o che il Massaro non fosse
consapevole di agevolare con la propria condotta la consumazione dello stesso. Del
resto gli stessi giudici d’appello (e ancor prima quelli di primo grado) hanno
chiaramente evidenziato come la distrazione sia stata commessa quantomeno in
combutta con il Fenati ed il Bartolini (nei confronti dei quali si è proceduto
separatamente).
1.3 Le restanti doglianze avanzate sul punto con i due primi motivi di ricorso si
risolvono invece nella inammissibile sollecitazione di una rivalutazione del merito del
compendio probatorio, apparendo le stesse altresì generiche, atteso che il ricorrente
non ha spiegato quale sarebbe la decisività della lamentata assenza di contatti tra il
medesimo e la Santaniello e il Granata, nel mentre manifestamente infondato è il
rilievo sull’estraneità dell’imputato alle vicende della società al momento del suo
fallimento, atteso che la relativa declaratoria segna il momento in cui si perfezionano
le fattispecie di bancarotta prefallimentare, attribuendo rilevanza penale alle
precedenti condotte potenzialmente lesive degli interessi del ceto creditorio alla cui
consumazione deve invece guardarsi per stabilire la rilevanza del contributo
concorsuale contestato e rimanendo quindi del tutto ininfluente che tale contributo non
si sia protratto fino alla data della sentenza di fallimento.
1.4 Quanto alle censure avanzate con il terzo ed il quarto motivo deve innanzi tutto
ribadirsi in diritto che il dolo dell’extraneus concorrente nel reato di bancarotta

egli abbia per l’appunto materialmente contribuito, attraverso le operazioni compiute

fraudolenta distrattiva consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a
quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento
del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica
conoscenza del dissesto della società. Ne consegue che ogni atto distrattivo assume
rilievo ai sensi dell’art. 216 legge fall. in caso di fallimento, indipendentemente dalla
rappresentazione di quest’ultimo, il quale non costituisce l’evento del reato che,
invece, coincide con la lesione dell’interesse patrimoniale della massa, posto che se la

del terzo di arrecare danno ai creditori ciò non significa che essa non possa ricavarsi
anche da altri fattori (Sez. 5, n. 16579 del 24 marzo 2010, Fiume e altro, Rv.
246879). Non solo, va altresì ricordato come il delitto in questione sia reato di pericolo
e come pertanto risulti irrilevante che al momento della consumazione l’agente non
avesse consapevolezza dello stato d’insolvenza dell’impresa per non essersi lo stesso
ancora manifestato (Sez. 5, n. 44933 del 26 settembre 2011, Pisani, Rv. 251214).
Dunque prive di pregio risultano le obiezioni avanzate dal ricorrente con riguardo alla
mancata consapevolezza da parte dell’imputato del dissesto della fallita ovvero
all’intervento del fallimento solo tre anni dopo la consumazione della distrazione.
Non è invece in dubbio che il concorrente debba essere consapevole di come
attraverso il proprio contributo egli agevoli la lesione degli interessi creditori
perpetrata dall’imprenditore, ma in proposito i rilievi critici del ricorrente non colgono
nuovamente nel segno, atteso che la sentenza impugnata ha motivato adeguatamente
e in maniera logica sulla idoneità dimostrativa del compendio probatorio raccolto nel
giudizio di primo grado, evidenziando come il Massaro fosse consapevole della
sostanziale inattività della fallita e si sia dunque rappresentato il senso dell’anomala
operazione di permuta alla cui ideazione egli aveva peraltro partecipato, svolgendo poi
un ulteriore significativo ruolo nel successivo occultamento dei titoli e dei proventi
della loro liquidazione, nonché di come in tal senso risulti irrilevante la formale
estraneità del Massaro al contratto di permuta.
1.5 Quanto alle specifiche doglianze sull’effettivo significato probatorio degli elementi
posti dalla Corte territoriale a sostegno della propria decisione, deve evidenziarsi come
esse sostanzialmente si risolvano nella inammissibile sollecitazione di un riesame del
merito attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti, peraltro
fondata essenzialmente sul disconoscimento da parte dell’imputato della firma relativa
all’operatività del conto “Parsifal”, in merito al quale il provvedimento impugnato ha
fornito ancora una volta adeguata motivazione contrastata in maniera del tutto
generica dal ricorrente, il quale non ha saputo indicare, se non in modo del tutto
apodittico, le ragioni per cui la documentazione trasmessa dalla banca sanmarinese
presso cui era in esercizio il conto suddetto non poteva costituire logico presupposto
delle conclusioni assunte nella sentenza sul punto.

conoscenza dello stato di decozione costituisce dato significativo della consapevolezza

Manifestamente infondate sono poi le lamentele avanzate in ordine all’attribuzione da
parte della Corte territoriale di rilevanza probatoria alle dichiarazioni del curatore
fallimentare Flavio Vitali, giacché – come in definitiva riconosciuto dallo stesso
ricorrente – il riferimento allo stesso è l’evidente frutto di un lapsus calami, atteso che
i giudici d’appello intendevano evocare invece la deposizione del teste Zanoni (sulle cui
dichiarazioni in merito all’iniziativa assunta dal Massaro in merito alla permuta il
ricorso sostanzialmente glissa), come chiaramente si evince dal contesto della

quale si integra.

2. I ricorsi della Santaniello e del Granata sono invece inammissibili.
2.1 Quanto alla presunta identificazione della bancarotta patrimoniale con il disavanzo
fallimentare deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia congruamente risposto alla
doglianza, in realtà già avanzata con i motivi d’appello, spiegando come le distrazioni
contestate avessero ad oggetto specifici beni mobili ed immobili delle diverse società e
non già le perdite maturate nella loro gestione. Ed i ricorrenti non solo hanno avanzato
in proposito censure del tutto generiche, ma altresì non si sono minimamente
confrontati con la motivazione resa dai giudici d’appello, limitandosi sostanzialmente a
ribadire quanto obiettato con l’impugnazione di merito.
2.2 Manifestamente infondato è non meno generico è poi il secondo motivo proposto
dai ricorrenti. In proposito la sentenza impugnata ha infatti correttamente richiamato il
principio per cui, in tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo alla particolare
tenuità del fatto di cui all’art. 219, comma terzo, legge fall., deve essere posto in
relazione alla diminuzione (non percentuale, ma globale) che il comportamento del
fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove
non si fossero verificati gli illeciti; non essendo parimenti necessario che l’entità
dell’attivo sia interamente e dettagliatamente ricostruita, essendo sufficiente, al fine di
escludere la menzionata circostanza attenuante, la distrazione di beni di rilevante
entità, idonea di per sé ad incidere, in misura consistente, sul riparto. (Sez. 5, n. 5300
del 16 gennaio 2008, De Biase, Rv. 239118). E nell’applicare tale principio la Corte
territoriale ha in maniera del tutto logica ritenuto che i plurimi atti di distrazione
accertati abbiano influito in maniera rilevante sulla diminuzione della garanzia
patrimoniale dei creditori. Per contro i ricorrenti hanno in maniera del tutto
inconferente obiettato che non può confondersi il passivo fallimentare con il danno
penalmente rilevante causato ai creditori, ancora un volta omettendo il necessario
confronto con la motivazione del provvedimento impugnato e, per l’appunto, con la
circostanza che i giudici del merito non hanno ritenuto insussistente l’invocata
attenuante per le ragioni addotte nel ricorso.

motivazione e dal confronto con quella della conforme sentenza di primo grado con la

2.3 Va infine rilevato che i reati contestati alla Santaniello si sono in realtà estinti per
prescrizione già prima della pronunzia della sentenza d’appello, atteso che il relativo
termine deve essere calcolato ai sensi del previgente testo dell’art. 157 c.p. essendo
intervenuta la condanna di primo grado nel 2001 e rilevando dunque in tale calcolo il
riconoscimento delle attenuanti generiche effettuato in favore dell’imputata. Peraltro,
come ripetutamente affermato da questa Corte anche a Sezioni Unite, la rilevata
Inammissibilità del ricorso della Santaniello preclude ogni possibilità sia di far valere

prescrizione, pur maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello,
ma non dedotta né rilevata da quel giudice (Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005 – dep.
22/06/2005, Bracale, Rv. 231164).
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue pertanto ai sensi dell’art. 616
c.p.p. la condanna dei due ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al
versamento ciascuno della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla Cassa delle
Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi di Santaniello Debora e Granata Nunzio e condanna i
ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro
1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta il ricorso di Mssaro Bentivoglio e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso l’11/12/2012

sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., l’estinzione del reato per

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