Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4362 del 11/11/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4362 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LEVACOVIC TOMMASO N. IL 20/12/1971
avverso la sentenza n. 1933/2013 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
18/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Data Udienza: 11/11/2014

RITENUTO IN FATTO
1.1. Ricorre per cassazione Levacovic Tommaso avverso la sentenza
indicata in epigrafe con la quale la Corte di Appello di Venezia ha confermato
quella in data 30.11.2012 del Tribunale di Treviso, con la quale il predetto era
stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 186, commi 1, 2, lett. •c) e
2sexies C.d.S. (commesso 1’11.6.2010), ed era stato condannato, previa
riduzione per il celebrato rito abbreviato, alla pena di mesi due di arresto ed
Euro 1000,00 di ammenda, con la sospensione condizionale della patente di

Deduce violazione di legge in ordine al rigetto della richiesta, avanzata in
sede di conclusioni del giudizio di appello, della sostituzione della pena inflitta
con il lavoro di pubblica utilità, ex art. 186, comma 9bis C.d.S.
La Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che la richiesta di
sostituzione della pena principale avrebbe dovuto essere avanzata con specifico
motivo di appello; per l’esponente tanto viola l’art. 7 Cedu che “postula la
possibilità di far valere in ogni momento le cause estintive del reato”. Inoltre,
ricordato che l’applicazione della norma più favorevole al reo impone comunque
di fare integrale applicazione di tale disciplina, rileva che la giurisprudenza di
legittimità formatasi a riguardo della previsione dell’art. 186, co. 9bis Cod. str. è
nel senso che non è richiesta neppure l’istanza dell’imputato; pertanto ha errato
la Corte distrettuale a ritenere necessario il consenso del medesimo.
1.2. Con un secondo motivo l’esponente deduce vizio motivazionale,
enunciando poi un vizio di “violazione di legge in ordine alle motivazioni che
hanno sorretto il giudizio di responsabilità dell’imputato”.

I rilievi attengono

all’uso del libero convincimento e alla valutazione che deve farsi del verbale degli
operanti che riporta i sintomi manifestati dall’imputato al momento
dell’accertamento del fatto; nonché alla mancata esplicitazione dei criteri di
utilizzo dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è infondato.
2.1. Con la L. 29 luglio 2010, n. 120 da un canto è stato introdotto l’art.
186, comma 9bis C.d.S. (che prevede la pena sostitutiva del lavoro di pubblica
utilità, con l’aggiunta, in caso di esito positivo, dell’estinzione del reato, della
riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e della revoca
della confisca del veicolo sequestrato) e, dall’altro, è stata inasprita la pena
detentiva prevista (dal previgente D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 4) per il
reato di cui al comma 2, lett. c) dell’art. 186 C.d.S., con introduzione del minimo
edittale di sei mesi ed innalzamento del massimo ad un anno di arresto (ferma
restando la congiunta pena dell’ammenda da euro 1.500,00 ad euro 6.000,00).

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guida per due anni.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche ai fatti commessi sotto la
vigenza del precedente regime è applicabile siffatta pena sostitutiva. Inf .tti è
stato ritenuto che, nel complesso, la nuova disposizione, alla luce dei vantaggi
introdotti a fronte del contestuale inasprimento della sanzione, laddove . sia
intervenuta la specifica scelta dell’imputato ovvero la sua mancata opposizione,
divenga per lui oggettivamente ed in concreto più favorevole rispetto a quella
previgente. Infatti, “l’individuazione, tra una pluralità di disposizioni succedutesi
nel tempo, di quella più favorevole al reo, va eseguita non in astratto, sulla base

risultati che deriverebbero dall’effettiva applicazione di ciascuna di esse alla
fattispecie sottoposta all’esame del giudice” (Sez. 1, n. 40915 del 2.10.2003, Rv.
226475 ed altre conformi).
Tuttavia, proprio perché il maggior favore di una disciplina va valutato con
riferimento al complesso degli effetti che dispiega nel caso concreto, la pena
base di partenza deve comunque essere non inferiore, con attenuanti generiche
e la diminuzione per l’eventuale rito abbreviato o patteggiamento, a mesi due e
giorni venti di arresto ed Euro 667,00 di ammenda, come previsto dalla nuova
formulazione dell’art. 186, comma 2, lett. c) C.d.S. Infatti, il principio della
doverosa applicazione del trattamento più favorevole all’imputato non permette
di combinare un frammento normativo di una legge a frammento normativo di
altra legge, perché in tal modo si verrebbe ad applicare una terza fattispecie di
carattere intertemporale non prevista dal legislatore, violando così il principio di
legalità (cfr. Cass. Sez. 4, n. 36757 del 4.6.2004, Rv. 229687).
2.2. Nel caso in esame il giudice di primo grado, pur avendo pronunciato la
sentenza in data posteriore al 30.7.2010, ha inflitto una pena pari a mesi due di
arresto ed euro 1000,00 di ammenda, determinata a partire da pena inferiore al
minimo edittale previsto dall’art. 186, co. 2 lett. c) Cod. str. come modificato
dalla legge n. 120/2010, senza peraltro esplicitare le ragioni per le quali non ha
trovato applicazione la disciplina recata dalla legge da ultimo citata.
Tuttavia, anche per tale motivo l’imputato che avesse inteso dolersi della
mancata applicazione della più favorevole disciplina recata dalla legge n.
120/2010 avrebbe dovuto muovere specifico motivo di appello, con il quale
lamentare l’errata applicazione dell’art. 2 cod. pen. e/o il vizio motivazionale per
l’omessa motivazione. Non può reputarsi specifico motivo di gravame il mero
richiamo a tener conto della novella legislativa; tanto più che tale evocazione è
propedeutica all’affermazione per la quale,

“in virtù dell’art. 2 c.p. debba

applicarsi al caso in concreto la disciplina dell’art. 186 C.d.S. anteriore alla
riforma avvenuta con legge 29 luglio 2010, n. 120”

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della loro mera comparazione, bensì in concreto, mediante il confronto dei

Correttamente quindi la Corte di Appello ha rilevato che l’imputato non
aveva mosso rilievi con l’atto di appello.
Priva di pertinenza è l’evocazione dell’art. 7 C.e.d.u.; a tacer d’altro, rklla
specie non vi era alcuna estinzione del reato da rilevare, essendo questa esito
eventuale e futuro dell’accordata sostituzione della pena.
Né rileva il principio secondo il quale il giudice di ogni ordine e grado deve
fare applicazione della legge più favorevole, perché tale regola, di carattere
sostanziale, va coordinata con le regole processuali e quindi il giudice

questione dell’errato operato del primo giudice o se la lex mitior è intervenuta
dopo il primo grado (diffusamente, sul punto, Sez. 4, n. 42649 del 28/03/2013 dep. 17/10/2013, Perfumo, Rv. 257187).
2.3. Il secondo motivo di ricorso è aspecifico e come tale inammissibile. I
rilievi risultano del tutto privi di riferimenti ai contenuti della motivazione resa
dalla Corte di Appello, concretandosi in affermazioni astratte e generiche,
peraltro oscillanti tra riferimenti al giudizio di responsabilità e richiami alla
definizione del trattamento sanzionatorio.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Segue al rigetto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11.11.2014.

dell’appello può fare ossequio a siffatta prescrizione solo se investito della

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