Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4359 del 21/10/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4359 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GUERRIERI GIANNI N. IL 14/02/1991
avverso la sentenza n. 1380/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del
14/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. azuxrt
che ha concluso per

Udito, per l arte civile, l’Avv
Uditi dif.è6sor Avv.

Data Udienza: 21/10/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Lecce ha
riformato unicamente quanto alla pena inflitta la pronuncia con la quale il
)
/
Tribunale di Lecce aveva condannato Guerrieri Gianni e Guerrieri Andrea
avendoli giudicati responsabili del furto di un cicolomotore e di argenteria
commesso nell’abitazione di Spalluto Bruno e del furto in danno della chiesa di
Santa Maria delle Grazie ed il primo anche dell’indebito utilizzo di carta di

2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione Guerrieri Gianni a mezzo del
difensore di fiducia, avv. Alessandro Stomeo.
2.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale: dalla lettura della
motivazione appare evidente che la asserita prossimità temporale del furto in
danno dello Spalluto al rinvenimento dei Guerrieri con lo scooter sottratto a
quello abbia avuto rilevanza decisiva ai fini della condanna; senonchè la
sentenza non enuncia le ragioni per le quali è pervenuta alla ricostruzione
temporale dei fatti in modo che il furto sarebbe stato commesso poco prima del
fermo dei fratelli.
2.2. Con un secondo motivo si lamenta che la Corte di Appello abbia
illogicamente valutato la circostanza secondo la quale i fratelli Guerrieri al
momento del fermo non avevano con loro la refurtiva, ad eccezione dello scooter
sottratto allo Spalluto, e peraltro assumendo come premessa l’assunto
indimostrato che il furto fosse di poco anteriore al fermo.
2.3. Con un terzo motivo si deduce l’omessa considerazione di una
circostanza decisiva, ovvero che il furto venne denunciato dal fratello dello
Spalluto, che si trovava in vacanza fuori dal paese, sicché è verosimile che il
furto sia stato perpetrato a distanza di tempo considerevole rispetto alla
commissione del fatto.
2.4. Con un quarto motivo si deduce travisamento del senso delle parole del
teste Tricarico Carlo, che la Corte di Appello ha interpretato come affermative
della coincidenza tra i ragazzi notati uscire dall’istituto scolastico e quelli fermati
successivamente dai carabinieri; in realtà, rileva l’esponente, il teste avvistò i
ragazzi e poi li fermò in due momenti distinti, intervallati dall’allontanamento dal
posto del Tricarico per accompagnare a casa la propria famiglia.
2.5. Con un quinto motivo si deduce violazione di legge avendo la Corte di
Appello affermato la responsabilità dell’imputato nonostante la tesi difensiva
fosse oggettivamente possibile perché non smentita da alcuna risultanza
istruttoria.

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credito, commessi il 9.7.2012.

2.6. Con un ultimo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale
in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
La pena inflitta sarebbe sproporzionata e non sarebbe stata correttamente
valutata la confessione resa dall’imputato, la volontà di questi di riabilitarsi dalla
dipendenza da droghe, lo stato di incensuratezza, la giovane età.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. I motivi concernenti le valutazioni operate dalla Corte di Appello in

danno di Spalluto Bruno (risulta quindi esente da censure la condanna per il furto
nella chiesa di Santa Maria delle Grazie e per l’utilizzo indebito di carta di
credito), ancorchè articolati in una pluralità, risultano imperniati sul medesimo
nucleo critico, ovvero la ricostruzione operata dalla corte territoriale in ordine
alla relazione temporale tra il furto commesso nell’abitazione dello Spalluto ed il
rinvenimento dei fratelli Guerrieri, trovati in possesso di parte della refurtiva. Se
ne svolgerà, quindi, un’unitaria trattazione.
Onde sgombrare il campo da motivi inammissibili, va sin d’ora rilevato che il
dedotto travisamento della prova concreta censura inammissibile in queste sede,
stante la reciproca conformità delle sentenze di merito e non ricorrendo le ipotesi
che valgono a superare la preclusione che dalla conformità dei giudizi deriva
(Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 – dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv.
243636).
Orbene, il tema della collocazione temporale del furto in danno dello
Spalluto non era stato posto all’attenzione della Corte distrettuale con l’appello,
interamente polarizzato sulla non coincidenza tra i giovani visti dal Tricarico e gli
imputati e sull’unione dei fratelli la notte in cui fu commesso il furto. Ciò non
comporta alcuna preclusione; infatti, ha puntualizzato questa Corte, la nozione
“punti della decisione” di cui all’art. 597, comma primo, cod. proc. pen. va
collegata al momento dispositivo della sentenza appellata e deve riferirsi alla
decisione del giudice, sicchè la preclusione derivante dall’effetto devolutivo
dell’appello, concernente i punti della decisione che non sono stati oggetto dei
motivi di gravame e che acquistano autorità di giudicato, non riguarda gli
argomenti logici (Sez. 4, n. 47158 del 25/10/2007 – dep. 20/12/2007, Minardi,
Rv. 238353). Ma va non di meno rammentato perché chiarisce la ragioni per la
quale la Corte di Appello non ha affrontato il tema ex professo, così mostrando di
condividere le valutazioni operate dal primo giudice.
Sicché, prendendo in considerazione la sentenza di primo grado, essa
ricorda che il fratello dello Spalluto, intorno alle ore 11 del 10.7.2012, denunciò
il furto avvenuto la notte precedente presso l’abitazione del congiunto. A fronte

merito all’an della responsabilità dell’odierno prevenuto in merito al furto in

delle affermazioni del denunciante, non contraddette da specifici dati emersi
dall’accertamento processuale, ogni diversa affermazione è puro esercizio
verbale. Ne deriva che il dato di fatto è enunciato nella sentenza di primo grado,
non è contestato con l’appello e legittimamente, quindi, la Corte di Appello lo dà
per accertato secondo quanto fissato dal primo giudice.
A partire da tale circostanza la Corte di Appello ha quindi esplicato in modo
nient’affatto manifestamente illogico che poche ore dopo i due fratelli vennero
trovati in possesso dello scooter sottratto allo Spalluto e che Guerrieri Gianni

(l’argenteria sottratta allo Spalluto), i giudici di secondo grado hanno affermato
che la natura della stessa ne permetteva un agevole occultamento e che non è
verosimile che altri abbiano commesso un ulteriore furto nelle medesime
circostanze di tempo e di luogo in cui i Guerrieri erano all’opera. Si tratta di
affermazioni del tutto coerenti al canone di normalità, la cui non pertinenza al
caso di specie avrebbe dovuto essere dimostrata dalla difesa.
Quanto al principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, pure richiamato
dall’esponente, esso costituisce l’espressione di una regola di giudizio cui il
giudice del merito è tenuto ad attenersi – in buona parte già desumibile dal
disposto dell’art. 530 co. 2 e 3 cod. proc. pen. – e che impone allo stesso di
giungere alla condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di
razionalità e plausibilità.
Tuttavia, tale principio non vale ad intaccare l’altro fondamentale cardine in
tema di decisione del processo, valido con riferimento al giudizio di legittimità: e
cioè quello secondo cui, anche dopo la novella normativa dell’art. 606 cod. proc.
pen., comma 1, lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, non muta la natura del
sindacato della Corte di cassazione, chiamata ad un controllo sulla persistenza o
meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione
necessariamente unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di
essi imperniati, non potendo in ogni caso la sua valutazione sconfinare
nell’ambito del giudizio di merito (Sez. 6, Sentenza n. 14054 del 24/03/2006,
Rv. 233454). In altri termini, il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio non
può certo valere a far sì che sia la Cassazione a valorizzare e rendere decisiva la
duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emersa
nella sede del merito e segnalata dalla difesa, una volta che tale eventuale
duplicità sia stata il frutto di un’attenta e completa disamina da parte del giudice
dell’appello, il quale abbia operato una scelta, sorreggendola con una
motivazione rispettosa dei canoni della logica e della esaustività. In tal modo
infatti la regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio deve ritenersi
osservata dal giudice del merito e la Corte di cassazione non può che rilevarne il

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deteneva le chiavi del medesimo. Quanto alla assenza dell’ulteriore refurtiva

rispetto, a prescindere dalla persistenza dei dubbi della difesa sulla correttezza
della ricostruzione prescelta (Sez. 5, Sentenza n. 10411 del 28/01/2013, Rv.
254579).
Nel caso di specie in realtà non sussiste neppure una duplicità di
ricostruzioni alternative del fatto, posto che quel che si contrappone alla
ricostruzione operata dall’organo giudiziario è unicamente una diversa
valutazione degli elementi fattuali, che si vorrebbe veder avallata da questa
Corte. Si impone di rammentare, quindi, che compito di questa Corte non è

verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità,
l’incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito;
incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di
applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso
della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e
insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto
presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione
impugnata, oppure dall’aver assunto dati inconciliabili con “atti del processo”,
specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza
esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero
ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da
vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2,
n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n.
20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584
del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del
26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
3.2. Quanto al motivo concernente il trattamento sanzionatorio, ancora una
volta si assume a base della critica indirizzata alla sentenza un dato fattuale
diverso da quello espresso dai giudici di merito: si asserisce che vi sia stata una
confessione, così implicitamente indicando una resipiscenza dell’imputato,
laddove la Corte di appello ha chiarito che non si è trattato di un atto valutabile
positivamente in quanto limitato ad ammettere quanto non poteva essere
negato.
Motivazione compiuta, nient’affatto illogica (e men che meno
‘manifestamente illogica’). Quanto alla ricorrenza di ulteriori elementi valutabili,
sia sufficiente rammentare che nel motivare il diniego della concessione delle
attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione
tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti,
ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque

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quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di

rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6,
n. 34364 del 16/06/2010 – dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).

4. In conclusione, il ricorso va rigettato ed il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21/10/2014.

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