Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43562 del 17/09/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 43562 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– MOSELLA VALERIA, n. 18/09/1958 a NAPOLI

avverso la sentenza della Corte d’appello di MESSINA in data 18/11/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. F. Baldi, che ha chiesto annullarsi con rinvio l’impugnata
sentenza, limitatamente all’ordine di demolizione, con rigetto del ricorso, nel
resto;
udite, per la ricorrente, le conclusioni dell’Avv. L. Majorano, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 17/09/2014

RITENUTO IN FATTO

1.

MOSELLA VALERIA ha proposto ricorso, a mezzo dei difensori fiduciari

cassazionisti, avverso la sentenza della Corte d’appello di MESSINA emessa in
data 18/11/2013, depositata in data 7/01/2014, con cui è stata confermata la
sentenza emessa dal tribunale di BARCELLONA P.G. – sez. dist. LIPARI – in data
10/04/2012, di condanna alla pena di anni 1 di reclusione in relazione al delitto

in data 18/11/2009).

2. Con il ricorso, proposto dai difensori di fiducia cassazionisti dell’imputata,
vengono dedotti quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p., per
violazione dell’art. 158 c.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte territoriale,
con riferimento al termine di decorrenza del

dies a quo della prescrizione,

fonderebbe il convincimento in ordine alla data di consumazione non su una
prova della datazione dell’illecito, ma sull’affermazione che la ricorrente non
abbia saputo offrire la prova che i lavori fossero ultimati nel 2006, come dalla
stessa sostenuto; diversamente non vi sarebbe alcun elemento, sostiene la
difesa, su cui fondare l’assunto che le opere sarebbero state ultimate nel
novembre 2007, come ritenuto in sentenza.
Sarebbero, poi, manifestamente incongruenti ed illogiche le argomentazioni della
Corte d’appello nel ritenere mancanti elementi di riscontro alle affermazioni sulla
datazione antecedente dell’opera, come l’acquisto di materiali o l’impiego di
manodopera, ovvero nel ritenere inidonea a fornire tale prova la lettera inviata
dal padre della ricorrente con cui la stessa veniva messa a conoscenza
dell’esecuzione dell’opera, in quanto mancherebbe la firma per esteso del padre
(ma recherebbe la sola dicitura “papà”) in quanto non sarebbe di grafia autentica
da parte del padre né recherebbe data certa, in quanto non recapitata dal
servizio postale; la Corte, dunque, avrebbe rovesciato il ragionamento
motivazionale, ascrivendo alla ricorrente la colpa di non aver provato la
datazione dell’intervento, non soffermandosi invece a valutare quali fossero gli
elementi a disposizione del giudice per datare l’esecuzione dell’opera nel 2007
anziché nel 2006. Diversamente, sostiene la difesa, alla data dell’accertamento
compiuto nel 2009 i lavori erano ultimati e gli accertatori non rilevavano segni di
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paesaggistico di cui all’art. 181, comma 1-bis, d. Igs. n. 42/2004 (fatti accertati

intervento; tra il 2005 – epoca di realizzazione della cisterna interrata oggetto di
autorizzazione – ed il 2009 – data dell’accertamento – non era stato compiuto
alcun sopralluogo di PG né dal Comune; vi sarebbe in atti la la lettera inviata dal
padre, usufruttuario, deceduto nel 2007, con cui informava la figlia, nuda
proprietaria, di aver trasformato la cisterna nel 2006; ne discende, dunque, che
gli elementi in atti consentivano una datazione tra il 2005 ed il 2006, difettando
elementi per ritenere l’esecuzione dei lavori in epoca prossima all’accertamento

2.2. Deduce, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p., per
mancanza della motivazione in relazione al capo della decisione concernente
l’ordine di demolizione e riduzione in pristino.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte territoriale
avrebbe omesso di motivare sull’eccezione difensiva, mossa nei motivi di
appello, in ordine all’illegittimità dell’ordine di riduzione in pristino e di
demolizione, conseguente alla sentenza di condanna, in costanza di ricorso al
TAR e del procedimento di sanatoria, assumendo che il giudice penale non può
sovrapporsi o sostituirsi all’autorità amministrativa; peraltro, nessun passaggio
della sentenza né il complesso della motivazione consentono di ritenere che la
Corte d’appello abbia affrontato la questione inerente la legittimità dell’ordine di
demolizione.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p., in
relazione all’art. 29, d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 181, comma 1-bis, d. Igs. n.
42/2004.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte territoriale
avrebbe ritenuto corresponsabile la ricorrente dell’abuso contestato in base al
criterio del cui prodest, essendo inverosimile che il genitore, usufruttuario, abbia
assunto l’iniziativa contra legem nel dissenso della figlia, nuda proprietaria;
secondo la ricorrente, il proprietario estraneo può essere ritenuto responsabile a
titolo di concorso, solo ove risulti un contributo soggettivo da valutare secondo le
regole del concorso di persone; nel caso di specie, non risulterebbe alcun
elemento concreto che consenta di attribuire alla ricorrente una corresponsabilità
concorsuale, non essendo sufficiente la mera esistenza di un interesse ad
edificare quale proprietario dell’area, dovendosi accertare se abbia la
disponibilità della stessa o se abbia in qualche modo favorito la realizzazione
dell’illecito (o se vi sia stata una sua presenza sul luogo, costante, o se abbia
impartito disposizioni alle maestranze, o che abbia avuto conoscenza
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del 2009.

dell’assenza del titolo abilitativo o tenuto, in altri termini, comportamenti da cui
sia desumibile una compartecipazione, anche solo morale, alla realizzazione
dell’illecito), il tutto da valutarsi secondo le regole sul concorso di persone nel
reato, non essendo sufficiente il mero richiamo all’art. 40, comma 2, c.p. Tale
accertamento, peraltro, secondo la ricorrente dovrebbe tanto più valere nei
rapporti tra nudo proprietario ed usufruttuario, essendo quest’ultimo il soggetto
nella materiale disponibilità dell’immobile, titolare in quanto tale di un onere di

dell’art. 181, comma 1-bis, d. Igs. n. 42/2004, che impone ancora più
rigorosamente la prova dell’elemento psicologico.

2.4. Deduce, con il quarto motivo, la violazione dell’art. 606, lett. e) c.p.p., in
relazione all’art. 181, comma 1-bis, d. Igs. n. 42/2004.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte territoriale,
mentre espone in motivazione le ragioni per cui ritiene configurabile il concorso
del nudo proprietario con l’usufruttuario nel reato di cui all’art. 44, d.P.R. n.
380/2001, non espone invece le ragioni per cui detto concorso sia configurabile
nel delitto paesaggistico, punito a titolo di dolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato per le ragioni di cui si dirà oltre.

4. Al fine di comprendere l’approdo solutorio cui è pervenuto questo Collegio, è
necessario sovvertire l’ordine dell’esame dei motivi di ricorso, affrontando per
primi il terzo ed il quarto motivo di ricorso, che, attesa l’omogeneità dei profili di
doglianza con gli stessi svolti, possono essere oggetto di trattazione unitaria.
Con i medesimi, in estrema sintesi, la ricorrente pone due distinte questioni di

controllo e di vigilanza; e ciò varrebbe, in particolare, anche per la violazione

diritto, unificabili, che attengono alla corretta interpretazione della disciplina
dettata dall’art. 29, d.P.R. n. 380/2001 e della fattispecie penale che prevede il
c.d. delitto paesaggistico di cui all’art. 181, comma 1-bis, D. Lgs. n. 42/2004.
Sostiene, in tal senso, la ricorrente che la medesima quale nuda proprietaria non
sarebbe responsabile dell’abuso posto in essere dal padre, usufruttuario
dell’immobile sul quale vennero eseguiti gli interventi abusivi.
La Corte d’appello, a confutazione della tesi della ricorrente, richiama il consueto
criterio del “cui prodese, sostenendo l’esistenza di un concorso della ricorrente
con il proprio padre, usufruttuario e autore materiale dell’intervento, sia perché
la ricorrente era colei che aveva presentato domanda per la realizzazione della
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cisterna, sia perché era la figlia, attuale ricorrente, ad avere interesse, in quanto
dell’abuso edilizio “paterno” ne avrebbe usufruito anche la stessa quando vi si
sarebbe recata in vacanza (a tal proposito, si osserva, la ricorrente risulta
risiedere, anche all’epoca del fatto, a Napoli, mentre l’immobile oggetto di
intervento abusivo è sito a Panarea).
Ritiene il Collegio che la questione da risolvere è se il criterio adottato dalla Corte
d’appello, sicuramente corretto per ritenere raggiunta la prova di un concorso in

del concorso in un delitto, qual è quello paesaggistico per cui si procede.
Vero è, si osserva, che ai fini della configurabilità del delitto in esame è
sufficiente il dolo generico (Sez. 3, n. 48478 del 24/11/2011 – dep. 28/12/2011,
Mancini, Rv. 251635), ma è altrettanto vero che, nel caso in esame, occorre
valutare la peculiare posizione del concorrente, proprietario non committente,
costituito dal nudo proprietario, soprattutto in una fattispecie in cui quest’ultimo
– come emerge pacificamente dalla stessa sentenza impugnata – non risultava
risiedere nello stesso luogo di consumazione dell’illecito. Correttamente, sul
punto, la difesa di parte ricorrente ha ricordato quella giurisprudenza che, già
con riferimento al reato edilizio di natura contravvenzionale, afferma che il
semplice comportamento omissivo dà luogo a responsabilità penale solo se
l’agente aveva l’obbligo giuridico di impedire l’evento, obbligo che certamente
non sussiste in capo al nudo proprietario dell’area interessata dalla costruzione,
non essendo esso sancito da alcuna norma di legge (Sez. 5, n. 13812 del
11/11/1999 – dep. 02/12/1999, Giovannella F ed altro, Rv. 214609).
Non va certo dimenticato che la responsabilità per la realizzazione di opere
abusive è configurabile anche nei confronti del nudo proprietario che ha la
disponibilità dell’immobile ed un concreto interesse all’esecuzione dei lavori, se
egli non allega circostanze utili a dimostrare che si tratti di interventi realizzati
da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (Sez. 3, n. 39400 del 21/03/2013
– dep. 24/09/2013, Spataro, Rv. 257676), ma – nel caso in esame – ciò che
difetta, a giudizio del Collegio, è nella motivazione dell’impugnata sentenza una
adeguata e argomentazione in ordine alle ragioni per le quali fosse ipotizzabile
un concorso (colposo o doloso) della ricorrente nel reato, doloso, previsto
dall’art. 181, comma 1-bis, d. Igs. n. 42/2004.

5. L’accoglimento del ricorso esime questa Corte dall’esame dei restanti motivi di
ricorso (ivi compreso quello relativo alla prescrizione, atteso che al termine di
prescrizione massima, che maturerebbe alla data del maggio 2015, deve
aggiungersi un periodo di sospensione di gg. 60 dal 26 aprile al 5 ottobre 2011,
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un reato contravvenzionale, possa essere idoneo a sostenere la configurabilità

causa rinvio dell’udienza determinato da motivi di salute dell’imputata, con
conseguente maturazione del termine di prescrizione alla data del luglio 2015),
da ritenersi pertanto assorbiti attesa la valenza pregnante della questione
relativa alla configurabilità di una responsabilità concorsuale della ricorrente, con
conseguente rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria, cui spetta la
cognizione in sede rinvio in ordine alle sentenze della limitrofa Corte territoriale
di Messina di cui è disposto l’annullamento da parte di questa Corte di

In sede di rinvio, peraltro, la Corte territoriale provvederà anche ad emendare
l’omissione del giudice d’appello messinese, provvedendo a revocare l’ordine di
demolizione del manufatto abusivo, ordine non revocato nonostante già in primo
grado fosse stata pronunciata sentenza di proscioglimento dai capi a) e c) della
rubrica.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2014

Il Presidente

legittimità.

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