Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43560 del 17/09/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 43560 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– CANIGLIA SILVESTRO FRANCESCO, n. 4/04/1967 a CATANIA
– GUGLIELMINO MARIA GABRIELLA, n. 2/10/1969 a CATANIA

avverso la sentenza della Corte d’appello di CATANIA in data 7/06/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. F. Baldi, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

Data Udienza: 17/09/2014

RITENUTO IN FATTO

1.

CANIGLIA SILVESTRO FRANCESCO e GUGLIELMINO MARIA GABRIELLA

proponevano ricorso, a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, avverso la
sentenza della Corte d’appello di CATANIA emessa in data 7/06/2013, depositata
in data 26/07/2013, con cui è stata confermata la sentenza emessa dal tribunale
di CATANIA in data 20/05/2011, di condanna alla pena, sospesa per entrambi, di

demolizione del manufatto abusivo e risarcimento danni in favore della parte
civile, Comune di Catania, per i reati di cui agli artt. 44, lett. c), 64, 65, 71, 93,
94 e 95, d.P.R. n. 380/2001 e 181, d. Igs. n. 42/2004 (fatti accertati come
commessi in data 11/09/2008).

2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti
quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deducono, con il primo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p.,
con riferimento agli artt. 157 ss. C.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto i reati sarebbero
stati commessi nel 2006 e, dunque, gli stessi erano estinti per prescrizione alla
data del 2010; in assenza di elementi diversi, deve aversi riguardo, quando
all’individuazione del momento in cui cessa la permanenza, alla data affermata
dal teste o dall’imputato; in ogni caso, anche a voler considerare la data di
accertamento, i reati sarebbero estinti per prescrizione alla data del 12/09/2012.

2.2. Deducono, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e)
c.p.p., con riferimento all’art. 27 Cost. e degli artt. 44, lett. c), 64, 65, 71, 93,
94 e 95, d.P.R. n. 380/2001 e 181, d. Igs. n. 42/2004.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto gli imputati non
erano a conoscenza della normativa, trattandosi di soggetti con bassa
scolarizzazione, che non pensarono di informarsi su quali fossero i vincoli e le
autorizzazioni da richiedere, donde difetterebbe l’elemento psicologico dei reati;
ai fini della ignoranza inevitabile della legge penale, deve tenersi conto della
qualità dei soggetti; in ogni caso si tratterebbe di manufatti precari, in legno e
non stabili; le prove non erano sufficienti a fondarne la colpevolezza, sicchè gli
stessi dovevano essere assolti.

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mesi 3 di arresto ed € 30.000,00 di ammenda ciascuno, con ordine di

2.3. Deducono, con il terzo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e)
c.p.p., con riferimento all’art. 27 Cost.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto il giudice, ai fini
della determinazione della pena o del riconoscimento o diniego delle attenuanti
generiche, deve tener conto della condotta serbata dall’imputato dopo la
commissione del reato e nel corso del processo; i ricorrenti non hanno
commesso ulteriori reati, dimostrando un reale ravvedimento, provando il

2.4. Deducono, con il quarto motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e)
c.p.p., con riferimento all’art. 27 Cost. ed all’art. 62, n.1 e 4 c.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, ove le attenuanti
indicate fossero state applicate, si sarebbe pervenuti ad una pena giusta per i
ricorrenti, i quali non hanno commesso delitti di entità tale da meritare una
sanzione così elevata.

3. Con atto scritto depositato presso la cancelleria di questa Corte in data
5/09/2014, la parte civile, Comune di Catania, ha chiesto – a mezzo del
difensore fiduciario – rigettarsi il ricorso e confermare la condanna al
risarcimento dei danni patrimoniali e non nei confronti del predetto Comune,
oltre al pagamento delle spese processuali come da allegata nota.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.

4. Seguendo l’ordine imposto dalla struttura dell’impugnazione proposta in sede
di legittimità, dev’essere anzitutto esaminato il primo motivo, con cui i ricorrenti
si dolgono della mancata dichiarazione dell’estinzione dei reati per prescrizione.
Il motivo è inammissibile per genericità, atteso che i ricorrenti non tengono
minimamente conto di quanto argomentato dalla Corte d’appello per rigettare
analoga istanza proposta nei motivi di appello. Si legge, infatti, nell’impugnata
sentenza che la circostanza che le opere siano state realizzate in epoca
antecedente a quella indicata in imputazione è solo labilmente affermata, ma
non ancorata ad alcun presupposto di fatto; anzi, si osserva in sentenza, in
senso contrario può desumersi dal verbale di accertamento che le opere stesse
non erano ancora ultimate al momento del sopralluogo.

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proprio completo reinserimento nella società civile.

E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in caso di procedimento per
violazione della legge urbanistica, sempre restando a carico dell’accusa l’onere
della prova della data di inizio della decorrenza del termine prescrittivo, non
basta una mera e diversa affermazione da parte dell’imputato a fare ritenere che
il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare
l’incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine con la
conseguente applicazione del principio “in dubio pro reo”, atteso che, in base al

grava sull’imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in
aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l’onere di allegare
gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre,
per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che
in tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell’opera incriminata (Sez. 3, n.
10562 del 17/04/2000 – dep. 11/10/2000, Eretto S, Rv. 217575).
Analogamente, è ormai consolidato il principio per il quale la cessazione della
permanenza del reato di costruzione abusiva va individuato nel momento della
ultimazione dell’opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, atteso che la
particolare nozione di ultimazione, contenuta nell’art. 31 della legge 28 febbraio
1985 n. 47, e che anticipa tale momento a quello della ultimazione della
struttura, è funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non
anche per stabilire in via generale il momento consumativo del reato di
costruzione in difetto di concessione (ora permesso di costruire): Sez. 3, n.
33013 del 03/06/2003 – dep. 05/08/2003, Sorrentino ed altro, Rv. 225553).

5. Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti si dolgono della
mancata valutazione da parte della Corte d’appello del fatto che gli stessi erano
soggetti a bassa scolarizzazione, sicchè avrebbero dovuto essere assolti per
difetto dell’elemento psicologico richiesto dalla legge.
Anche tale motivo è inammissibile per genericità, non tenendo conto i ricorrenti
delle puntuali argomentazioni espresse dalla Corte di merito a confutazione del
medesimo nei motivi di appello. In particolare, i giudici di appello hanno escluso
l’esistenza di un errore interpretativo, osservando che nel caso di errore in
ordine alla necessità dell’autorizzazione amministrativa per l’edificazione di
un’opera per la quale il permesso di costruire sia necessario, l’imputato non può
fondatamente invocare la scriminante della buona fede.
Tale affermazione è corretta, ponendosi assolutamente in linea con
l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte che, sul punto, hanno
affermato che, a seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte
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principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma,

Costituzionale, secondo la quale l’ignoranza della legge penale, se incolpevole a
cagione della sua inevitabilità, scusa l’autore dell’illecito, vanno stabiliti i limiti di
tale inevitabilità. Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni
qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto
“dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile
accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in
materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono

in virtù di una

“culpa levis”

nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per

l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un
comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico
orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della
correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del
comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994 – dep. 18/07/1994, P.G.
in proc. Calzetta, Rv. 197885). Nella specie i ricorrenti non hanno assolto a quel
minimo “dovere di informazione”, condicio sine qua per poter prospettare una
situazione di buona fede.

5.1. Anche la presunta “precarietà” delle opere, prospettata nel motivo di ricorso
in esame, è del tutto destituita di fondamento.
I giudici di appello, infatti, affrontano ex professo la questione, escludendo la
natura precaria dei manufatti sia per il loro numero che per la loro difficile
amovibilità, tenuto conto della consistenza e delle dimensioni complessive; sotto
l’aspetto funzionale, poi, le stesse opere, destinate ad uso abitativo,
presentavano caratteristiche di consistenza e valore economico incompatibili con
le esigenze temporanee e precarie.
Anche tale argomentazione è conforme ai principi più volte affermati da questa
Corte in materia, essendosi infatti precisato che la natura precaria di un
manufatto, ai fini della esenzione dalla concessione edilizia, non può essere
desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal
costruttore, ma deve ricollegarsi all’intrinseca destinazione materiale di essa ad
un uso precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo,
con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti di
un manufatto smontabile e non infisso al suolo (Sez. 3, n. 4002 del 18/02/1999
– dep. 26/03/1999, Bortolotti L, Rv. 213270).

6. Non miglior sorte merita il terzo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti si
dolgono del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
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professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche

Ed infatti, anche in relazione a tale aspetto il motivo si presta a censure di
genericità, non tenendo conto delle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale
a confutazione dell’analoga istanza proposta nei motivi di appello. Precisano,
infatti, i giudici etnei che il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche
era motivato dall’assenza di indici favorevoli e, soprattutto, in considerazione
della gravità della condotta, data la consistenza delle opere realizzate e la
pluralità di violazioni poste in essere.

Corte d’appello, è sufficiente qui ricordare che la concessione o meno delle
attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla
discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti
a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della
pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6, n. 41365
del 28/10/2010 – dep. 23/11/2010, Straface, Rv. 248737).
Nella specie, il riferimento alla gravità della condotta è, di per sé, sufficiente a
far ritenere adempiuto l’onere motivazionale richiesto.

7. Resta, infine, da esaminare l’ultimo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti si
dolgono del mancato riconoscimento delle attenuanti di cui all’art. 62, numeri 1 e
4 c.p.
Anche tale motivo presta il fianco a censure di genericità, non tenendo conto
delle argomentazioni espresse dalla Corte d’appello sul punto. In particolare, i
giudici etnei chiariscono come del tutto eccentrico è il riferimento all’attenuante
di cui al n. 4, non trattandosi di delitti contro il patrimonio ovvero determinati da
motivi di lucro, né configurandosi, tanto più attesa la consistenza delle opere,
una danno patrimoniale ovvero un lucro di speciale tenuità. Allo stesso modo,
quanto all’attenuante di cui al n. 1, la Corte d’appello chiarisce come non sia
stato dedotto alcun motivo di particolare valore morale e sociale che avrebbe
spinto i ricorrenti a violare la legge.
Si noti, del resto, che l’attenuante prevista dall’art. 62 n. 1 cod. pen. è
applicabile quando la moralità ed utilità sociale del motivo, oltre ad essere tali
obiettivamente, implicano una componente altruistica e comunitaria, che si
contrappone al soddisfacimento di un personale ed egoistico interesse. Ne deriva
che al reato di costruzione abusiva, posto in essere per bisogno abitativo, è
inapplicabile la circostanza in oggetto costituendo l’Azione espressione di una
pretesa individualistica, non favorevolmente valutabile secondo la concezione e
finalità delle comunità organizzate (Sez. 3, n. 11225 del 18/06/1987 – dep.
26/10/1987, CASIRARO, Rv. 176901).
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Sul punto, a conferma della correttezza della soluzione giuridica offerta dalla

Quanto, invece, all’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., è stato già affermato da
questa Corte che la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale
tenuità, sia nella previsione della prima che della seconda parte dell’art. 62, n. 4
cod. pen., è inapplicabile ai reati edilizi in quanto non compatibile con la loro
natura contravvenzionale (Sez. 3, n. 23872 del 08/04/2009 – dep. 10/06/2009,
Santoro, Rv. 244081).

Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al
pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria,
di somma che si stima equo fissare, in euro 1.000,00 (mille/00) ciascuno.

9. Solo per completezza, si noti, non può peraltro essere dichiarata l’intervenuta
estinzione dei reati ascritti per prescrizione, maturata alla data dell’11/09/2013
(successivamente alla sentenza d’appello, pronunciata in data 7/06/2013), in
assenza di cause di sospensione valutabili ex art. 159 c.p.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta, come nel caso in esame, alla
manifesta infondatezza dei motivi non consente infatti il formarsi di un valido
rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le
cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del
22/11/2000 – dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2014

Il Co iglie

i

est.

Il Presidente

8. Il ricorso dev’essere, quindi, dichiarato inammissibile.

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