Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4355 del 16/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 4355 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Di Bella Giovanni, nato a Giarre il 18/09/1950

avverso la sentenza del 11/10/2010 della Corte d’appello di Messina R.G.
1109/2007
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria pervenuta
presso la cancelleria della sezione in data 08/10/2012;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe De
Marzo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Sante
Spinaci, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito, per la parte civile, l’Avv. Antonio Scarcella, il quale ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito, per l’imputato, l’Avv. Giovambattista Freni, il quale ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza datata 11/10/2010, la Corte d’appello di Messina ha confermato
la sentenza del Tribunale di Messina, sezione distaccata di Taormina del
15/03/2007, con la quale Giovanni di Bella era stato condannato alla pena di
giustizia in relazione al reato di cui agli artt. 582, 585 cod. pen., commesso in
danno di Calì Giuseppe in data 10/06/2001.
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Data Udienza: 16/11/2012

2. La Corte, escluso che la rinnovazione parziale del dibattimento fosse
necessaria ai fini della decisione, ha rilevato: a) che la documentazione della
quale era stata chiesta l’acquisizione si riferiva ad episodi accaduti nel 2006 e
dunque inidonei a fornire elementi di valutazione rispetto al fatto contestato; b)
che il capo d) della rubrica nel quale si contestavano le lesioni, descriveva queste
ultime, come “complessivamente giudicate guaribili “in gg. 30 circa”; c) che, nel
merito, la valutazione del consulente del P.M., operata ex post, non poteva che
prevalere sul giudizio di prognosi espresso dai sanitari dell’ospedale di Messima

di avere preso il coltello solo per intimorire il cognato e che quest’ultimo si era
ferito accidentalmente mentre si avvicinava a lui per colpirlo, era smentita dalle
molteplici ferite sofferte dalla vittima e dalle deposizioni dei testi ascoltati; e) che
le dichiarazioni della persona offesa e di sua moglie, sorella dell’imputato,
avevano trovato riscontro nelle affermazioni dei testi Giuseppe Calabrò e Rosetta
Di Bella.
3. Nell’interesse del Di Bella è stato proposto ricorso per cassazione affidato a sei
motivi.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 178, lett. c),
494 e 598 cod. proc. pen., dal momento che, in sede di spontanee dichiarazioni,
egli era stato interrotto e non aveva potuto esplicitare fatti anche successivi che
dimostravano le aggressioni subite dal Calì.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 190, 234,
238, 603, in relazione all’art. 121 cod. proc. pen. dal momento che la Corte
territoriale aveva ignorato la sua richiesta depositata in data 04/11/2009, alla
quale aveva allegato due sentenze emesse contro il Cali per reati commessi nei
confronti del Di Bella, nel senso che non aveva dimostrato di aver valutato siffatti
documenti.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione degli art. 521, 429,
lett. c), in relazione agli art. 507, 508, 598 cod. proc. pen. e agli artt. 81, cod.
pen., dal momento che il riferimento della Corte alle valutazioni espresse dal
consulente del P.M. era illogico e incoerente, non essendo stato superato il fatto
che il P.M. aveva esercitato l’azione penale, “con due autonomi decreti di
citazione”, indicanti il tempo di guarigione in quindici e trenta giorni, laddove due
sanitari dell’ospedale di Taormina aveva diagnosticato per la guarigione quindici
e venticinque giorni.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione degli art. 81, 582, 585,
comma secondo, 577, comma primo, n. 4, cod. pen., in relazione agli art. 52, 54,
55, 586 cod. pen., nonché vizi motivazionali, dal momento: a) che la Corte
territoriale, sebbene si stesse occupando di un unico episodio, non aveva escluso
l’operatività dell’art. 81 cod. perì.; b) che erano state privilegiate le dichiarazioni
della persona offesa e del coniuge, nonostante la evidente conflittualità tra i
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subito dopo i fatti; d) che la ricostruzione dell’imputato, il quale aveva sostenuto

nuclei familiari, e le affermazioni dei coniugi Calabrò – Di Bella, in parte neutre, in
parte favorevoli all’imputato, guardo gli avevano attribuito la invocazione di
soccorso in favore del cognato ferito; c) che non aveva considerato la sussistenza
della scriminante di cui all’art. 52 cod. pen., per essere i fatti accaduti nella
pertinenza del domicilio dell’imputato.
3.5. Con il quinto motivo, l’imputato lamenta l’assenza di motivazione in ordine
alla mancata concessione del beneficio della non menzione.
3.6. Con il sesto motivo, il ricorrente chiede dichiararsi l’avvenuta estinzione del

sentenza di primo grado e non ricorrente avverso la sentenza di appello, non
può competere alcuna liquidazione per danni.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il reato contestato all’imputato si è estinto per prescrizione, maturata il
23/12/2010, ossia in data successiva alla sentenza di secondo grado.
2. Con riferimento alle domande civili, il ricorso è infondato.
2.1. La rilevanza delle spontanee dichiarazioni dell’imputato e le sentenza
prodotte, idonee a dimostrare l’indole violenta della persona offesa, sono
elementi che la Corte territoriale ha valutato, escludendone con motivazione
puntuale la rilevanza al fine di ricostruire l’episodio sul quale era chiamata a
giudicare e alla luce della distanza temporale rispetto a quest’ultimo dei
procedimenti concernenti il Calì. Né il ricorso, nei suoi primi due motivi, riesce a
fornire una convincente dimostrazione del contrario.
2.2. Anche la durata della malattia è stata puntualmente accertata dal giudice di
secondo grado, facendo riferimento, anche in questo caso con motivazione
congrua, alle risultanze della ‘consulenza disposta dal P.M. che, per il fatto di
collocarsi a valle rispetto alle prognosi operate nell’immediatezza, assume un
rilievo preminente. Va aggiunto che, nel terzo motivo di ricorso, non si critica il
percorso logico – scientifico seguito dal consulente, ma ci si limita ad operare un
raffronto con le non coincidenti prognosi di due sanitari, intervenuti dopo
l’aggressione, destinate ad essere superate dalla valutazione operata a

posteriori.
2.3. Passando ad esaminare il quarto motivo, si rileva: a) che l’erroneo
riferimento all’art. 81 cod. pen. contenuto nel capo di imputazione non ha avuto
alcun riflesso nella valutazione dell’unico episodio e nel conseguente trattamento
sanzionatorio; b) che la motivazione della Corte territoriale nell’apprezzamento
delle risultanze istruttorie e nella valutazione di credibilità assegnata ai testi non
esibisce alcun vizio di manifesta illogicità, talché il ricorrente aspira ad
un’inammissibile rivalutazione del materiale probatorio; c) l’invocata scriminante
di cui all’art. 52 cod. pen. muove da una premessa (la violazione da parte della
persona offesa dell’art. 614 cod. pen.) che non trova alcun riferimento nella
sentenza impugnata o in altri atti processuali indicati dal ricorrente.
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reato per prescrizione, precisando che alla parte civile, non appellante contro la

2.4. Il quinto motivo è assorbito dalla declaratoria di estinzione del reato per
intervenuta prescrizione.
3. Attesa la soccombenza nei confronti della parte civile, il ricorrente va
condannato alla rifusione delle spese sostenute da quest’ultima nel giudizio di
legittimità, che, in relazione all’attività svolta, vengono liquidate

in euro

2.500,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.
intervenuta prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili; condanna il ricorrente
alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità,
che liquida in euro 2.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 16/11/2012

Il Componente estensore

Il P este

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato si è estinto per

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