Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43384 del 14/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 43384 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI BOLOGNA
nei confronti di:
KALEFA OSMAN N. IL 12/03/1984
avverso la sentenza n. 5677/2013 GIP TRIBUNALE di BOLOGNA, del
18/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FILIPPO CASA
Cm pJ &J
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pcx..
C.,
LL.,.«tt`c,„ t/3,,
che ha concluso per -PAL
Lec.14-0
cnr.,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

_

Data Udienza: 14/07/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18.9.2013, il G.U.P. del Tribunale di Bologna, in esito a giudizio
abbreviato, dichiarava KALEFA Osman responsabile del delitto di omicidio in danno di
BOUCHAIB Elachrdadi, colpito da una coltellata al cuore, nonché del reato di porto abusivo di
un coltello a molla di cui all’art. 699 cod. pen. (fatti accaduti il 16.9.2012 in Bologna) e, previa
esclusione della circostanza aggravante dei futili motivi (legati a dissapori personali con la

condannava alla pena di dieci anni di reclusione, alle sanzioni accessorie di legge e alla misura
di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata.
1.1. Il quadro probatorio valorizzato dal Giudice bolognese ai fini della condanna era
integrato dalla confessione resa dall’imputato, dalle dichiarazioni rese da alcuni testimoni
oculari dell’aggressione, dagli accertamenti svolti dal consulente tecnico medico-legale e dal
sequestro del coltello a molla utilizzato per offendere, reperito dalla P.G. in una fabbrica
dismessa grazie alle indicazioni fornite dallo stesso KALEFA.
Questi, nell’interrogatorio reso davanti al P.M., dichiarò che, la mattina dei fatti, era
stato infastidito dal BOUCHAIB e da altri due marocchini, i quali con prepotenza gli avevano
chiesto il panino che stava mangiando. Egli aveva dato un pezzo di pane a ciascuno dei tre, poi
il BOUCHAIB, tornato indietro, gli aveva afferrato la mano per prendere con forza il panino
pronunciando frasi verosimilmente ingiuriose che esso imputato non aveva compreso
pienamente. KALEFA si era molto arrabbiato ed era venuto alle mani con il BOUCHAIB. Ad un
certo punto, essendosi sentito afferrare per le spalle, aveva estratto il coltello che teneva in
tasca e aveva colpito la persona offesa.
In sede di udienza di convalida di fermo, l’imputato confermò, nella sostanza, la
versione fornita al P.M., precisando di aver colpito per paura e che la lite era nata
dall’aggressivo comportamento del BOUCHAIB, che riferiva dì conoscere dal giorno in cui,
qualche mese prima, si era incontrato con lui negli uffici della Questura di Bologna e ci aveva
litigato.
Nel valutare la contestata aggravante dei futili motivi, il Giudice del merito escludeva
che il fatto omicidiario potesse ricondursi alla lite legata al panino, da ritenersi del tutto
occasionale, atteso che tra vittima e aggressore non correva buon sangue fin dall’episodio
avvenuto in Questura nel maggio precedente e ripetutosi tre giorni prima del delitto nei pressi
di via Ferrarese.
Dopo aver passato sinteticamente in rassegna i criteri enunciati dalla giurisprudenza di
legittimità per la sussistenza dell’aggravante in questione, il Giudicante affermava che “già a
monte” non potevano considerarsi futili motivi quelli che avevano spinto vittima ed imputato
ad affrontarsi in occasione dei controlli negli uffici della Questura bolognese. Infatti, in una
situazione di fermo presso gli uffici della P.G., anche un cittadino incensurato si sarebbe potuto
trovare “coinvolto in uno scontro con altri individui nelle sue stesse condizioni proprio in virtù
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vittima), applicata la continuazione, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo

delle circostanze particolari e non ordinarie e dello stato psicologico che si determina.., in una
tal insolita situazione”.
2. Avverso la sentenza di condanna ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art.
608, comma 2, cod. proc. pen., il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna,
sviluppando due motivi concernenti la ritenuta esclusione della circostanza aggravante dei futili
motivi.
2.1. Con il primo motivo, deduce contraddittorietà, manifesta illogicità e mancanza

La sentenza impugnata, valorizzando le dichiarazioni rese dal KALEFA prima davanti al
P.M. e poi davanti al G.I.P., affermava che l’imputato colpì la vittima per paura, perché si era
sentito afferrare per le spalle ed aveva avuto l’impressione, durante la lite, che BOUCHAIB
avesse messo le mani dietro la schiena come per prendere qualcosa.
Tale ricostruzione contrastava con i risultati probatori acquisiti in merito alla dinamica
dell’omicidio e, in particolare, con le dichiarazioni rese da GHRIBI Kais, amico dello stesso
aggressore, il quale riferì che l’aggressione armata era avvenuta quando la colluttazione era
già terminata per l’intervento pacificatore di HAMIDA Hassan, conoscente della vittima, e
HAMAZA Mostafa, amico dell’imputato.
Il Giudice di merito aveva, da un lato, fatto dire al KALEFA più di quanto lo stesso
avesse affermato e, dall’altro, aveva omesso di motivare sull’attendibilità o sull’inattendibilità
del GHRIBI, così palesando il carattere “parziale” della motivazione.
Carente, inoltre, si rivelava la motivazione laddove, dopo aver ricordato i criteri
giurisprudenziali di valutazione dell’aggravante, trascurava di indicare:
– il parametro o i parametri di giudizio, ancorati a concreti connotati soggettivi
dell’autore o a fattori oggettivi di tipo ambientale che avevano influito su processi motivazionali
dell’azione, presi in considerazione al fine di escludere la futilità dei motivi che avevano spinto
il KALEFA a colpire il suo avversario;
– i dati processuali da cui desumere i particolari connotati del caso concreto che il
Giudicante aveva inteso utilizzare al predetto fine.
Le argomentazioni svolte dal Giudice si risolvevano, in altri termini, in un ragionamento
solo apparente.
La sentenza impugnata peccava, inoltre, di contraddittorietà e illogicità.
Sotto un primo profilo, il Giudice, lungi dal negare dignità all’ipotesi accusatoria
dell’omicidio scaturito da un banale litigio (la lite per il panino) tra due soggetti tra i quali
correva una pregressa inimicizia, aveva apoditticamente concluso per la mera “occasionalità” di
quella ragione giustificatrice; tanto, peraltro, in assenza di ulteriori dati argomentativi che
evidenziassero una diversa motivazione della lite: constatazione che confermava la decisività
causale della “lite del panino” nella genesi dell’omicidio.
In secondo luogo, la sentenza aveva illogicamente escluso la contestata aggravante
scrutinando i motivi a delinquere con riferimento al solo episodio della colluttazione avvenuta il
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della motivazione.

18.5.2012 nella camera di sicurezza della Questura di Bologna, giungendo alla condivisibile
conclusione che le particolari condizioni psicologiche dell’imputato, ristretto nella libertà
personale, avessero, in quell’occasione, giocato un ruolo decisivo nell’innescare una lite. Un
simile approdo si rivelava, tuttavia, inconferente rispetto all’esito del ragionamento, frutto di
un inammissibile salto logico che faceva conseguire dalla “serietà” dei motivi per i quali
KALEFA e BOICHAIB erano venuti alle mani in Questura l’automatica “non futilità” dei motivi
per i quali il primo, a distanza di diversi mesi da quello scontro, aveva ferito a morte il

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale.
Da un lato, la sentenza, nella misura in cui aveva fatto applicazione dell’orientamento
che riconduce la futilità dei motivi alla mera sproporzione tra la causa psichica della condotta e
il reato cui la stessa aveva dato origine, non prendeva adeguatamente in considerazione che
l’affermata inimicizia personale tra le parti, per i suoi concreti connotati, ben avrebbe dovuto
essere valorizzata come stimolo esterno pretestuoso, idoneo a integrare l’aggravante di cui
all’art. 61 n. 1 cod. pen..
D’altro lato, la decisione risultava viziata per erronea applicazione della legge penale
anche a voler ritenere che l’accertamento della futilità dei motivi debba tener conto delle
connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale e del particolare momento in
cui il fatto si è verificato, nonché dei fattori ambientali potenzialmente condizionanti la
condotta criminosa.
Simile valutazione, infatti, doveva necessariamente implicare la comparazione del
comportamento dell’agente concreto con quello di una sorta di agente modello che
condividesse con questi alcuni tratti essenziali, come l’ambiente di vita e le caratteristiche
culturali e comportamentali.
La sentenza censurata, viceversa, aveva affrontato la valutazione sulla futilità dei motivi
prendendo a riferimento l’imputato stesso, così incorrendo in un errore di prospettiva: infatti,
assumere quale metro del giudizio della futilità dei motivi a delinquere lo stesso agente
concreto determinava, a ben vedere, la sostanziale inapplicabilità dell’aggravante in parola,
limitata ai casi in cui il reo abbia agito in maniera totalmente contraria al proprio patrimonio di
valori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va, preliminarmente, rilevata, in difformità dalle conclusioni rassegnate in udienza
dal Procuratore Generale preso questa Corte (qualificazione del ricorso come appello e
trasmissione degli atti alla Corte territoriale competente), la correttezza della proposizione del
ricorso per cassazione da parte del P.M. di Bologna, in quanto avente ad oggetto una decisione
che, nell’escludere una circostanza aggravante (quella dei futili motivi), ha influito sulla
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secondo.

valutazione della gravità del fatto, ma non ha modificato il titolo di reato (art. 443 c.p.p.: vedi,
con riferimento alla concessione dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/90,
ritenuta non modificativa del titolo di reato, Sez. 4^, 21 ottobre 2005, Frank).
2. Ciò premesso, il ricorso è da giudicarsi infondato e va, pertanto, respinto.
3.

Invero, la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha chiarito che, ai fini

dell’aggravante invocata dal ricorrente, per motivo deve intendersi l’antecedente psichico della
condotta, ossia l’impulso che ha indotto il soggetto a delinquere, e che il motivo deve

esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la
generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da
poter considerarsi, più che una causa determinante l’azione stessa, un pretesto o una scusa
per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale (Sez. 1^, 1 febbraio 2000, Dolce; Sez. 1^,
19 gennaio 1999, P.M. in proc. Zumbo ed altri; Sez. 6^, 3 giugno 1998, Rova).
La circostanza aggravante ha, quindi, natura prettamente soggettiva, dovendosene
individuare la ragione giustificativa nel fatto che la futilità del motivo a delinquere è indice
univoco di un istinto criminale più spiccato e della più grave pericolosità del soggetto che
legittima l’applicazione di un più severo trattamento punitivo (Sez. 1^, 20 ottobre 1997,
Trovato).
Da tali rilievi si evince che le tipiche connotazioni dell’aggravante postulano che il
movente del reato deve essere identificato con certezza, nel senso che occorre che sia
accertata l’effettiva causa psichica della condotta criminosa e che questa possa qualificarsi
come futile, nei termini dianzi specificati: correlativamente, non può ritenersi giustificata
l’applicazione dell’aggravante allorché risulti incerta la reale spinta a delinquere, per l’ovvia
ragione che l’ambiguità probatoria sul punto non può ritorcersi in danno dell’imputato, al quale
non può essere accollato l’onere di fornire la prova negativa sull’inesistenza della futilità del
motivo, in base al fondamentale canone del sistema processuale penale, espresso dal favor rei,
per cui spetta all’accusa provare non solo i fatti costitutivi del reato ma anche quelli che, come
le circostanze aggravanti, determinano l’inasprimento del trattamento sanzionatorio (Sez. 1^,
11 novembre 2008, P.G. in proc. Giovinazzo e altro; Sez. 1^, 14 dicembre 2000, dep. 12
febbraio 2001, Gattellari).
3. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio suenunciato,
pervenendo, con motivazione sufficientemente adeguata, alla esclusione della contestata
aggravante in assenza della prova di una certa identificazione del movente del reato, peraltro
già troppo genericamente indicato sin dalla formulazione del capo d’accusa (“per futili motivi
legati a dissapori personali”).
D’altra parte, il fatto stesso che il Giudice di merito abbia ipotizzato, sia pure per
escluderli, alternativamente, più motivi futili (uno legato all’episodio del panino, l’altro
ricondotto a precedente colluttazione tra imputato e persona offesa negli uffici della Questura),
comprova, logicamente, l’inesistenza di siffatta tipologia di motivi.

qualificarsi “futile” quando la determinazione delittuosa sia stata causata da uno stimolo

A fronte dell’adeguata motivazione del G.U.P. bolognese, il Procuratore Generale
ricorrente ha opposto, nella sostanza, critiche in linea di fatto che non possono trovare
ingresso in questa sede.
4. Il ricorso, pertanto, va, nel complesso, rigettato.

P.Q.M.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2014

Il Consigli

.estensore

Il Presidente

Rigetta il ricorso.

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