Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4338 del 30/12/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 4338 Anno 2015
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
FIRENZE
nei confronti di:
FRANCISCI PAUL MICHEL MARC CHARLES N. IL 07/02/1956
avverso l’ordinanza n. 94/2014 CORTE ASSISE APPELLO di
FIRENZE, del 21/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
4e€/sentite le conclusioni del PG Dott. r2„/ L V
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Data Udienza: 30/12/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 21 novembre 2014 la Corte d’appello di
Firenze ha revocato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di
Francisci Paul Michel, ordinandone l’immediata liberazione se non detenuto per
altra causa.
a) che il T.A.R. del Lazio, con

ordinanza del 19 novembre 2014, ha sospeso l’esecuzione del decreto di
concessione dell’estradizione al Governo degli Stati Uniti d’America, adottato dal
Ministro della Giustizia in data 23 ottobre 2014, in esecuzione della sentenza
emessa dalla Corte d’appello di Firenze il 28 marzo 2014, divenuta definitiva a
seguito della sentenza di rigetto del ricorso per cassazione pronunciata da questa
Suprema Corte il 10 ottobre 2014; b) che sono allo stato cessate le ragioni che
legittimano la prosecuzione della custodia cautelare del Francisci; c) che, pur
essendo l’estradando persona in relazione alla quale sussistono le esigenze
cautelari legate al pericolo di fuga, non ricorrono le condizioni di legge per
l’applicazione di alcuna altra misura coercitiva ai sensi dell’art. 307 c.p.p. .

2. Avverso la su indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
P.G. della Repubblica presso la Corte d’appello di Firenze, deducendo:

a) il

difetto di motivazione e la violazione dell’art. 23 della I. n. 87/1953, riguardo
all’eccepita questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei
commi 5 e 6 dell’art. 708 c.p.p., per contrasto con il principio di ragionevolezza
(art. 3 Cost.), nella parte in cui non consente la sospensione del termine per la
consegna dell’estradando, giacchè il termine di consegna non può continuare a
decorrere quando l’autorità governativa è impossibilitata ad eseguirla per
l’intervenuta sospensione disposta dal giudice ammnistrativo; b) violazioni di
legge con riferimento all’art. 708 c.p.p., sul rilievo che la Corte fiorentina
avrebbe dovuto respingere l’istanza de libertate ritenendo applicabile l’indirizzo
fissato da quelle pronunce della Corte di Cassazione che hanno fatto riferimento
alla compatibilità dei termini previsti dall’art. 303 c.p.p., il cui disposto dovrebbe
intendersi implicitamente richiamato dall’art. 714 c.p.p..
Si prospetta inoltre, in via subordinata, la questione di legittimità
costituzionale del combinato disposto dei commi 5 e 6 dell’art. 708 c.p.p., per
contrasto con gli artt. 3 e 10 Cost., sul presupposto che la liberazione
dell’estradando, specie nell’ipotesi in cui sussista il pericolo di fuga – che la

1

Espone al riguardo la Corte distrettuale:

stessa Corte d’appello fiorentina, peraltro, ha ritenuto configurabile – si risolve in
una negazione di fatto della consegna.

3. Con memoria trasmessa via fax il 24 dicembre 2014, e poi depositata in
originale all’odierna udienza, il difensore, Avv. Giovanni Flora, ha esposto ed
illustrato una serie di puntuali argomentazioni a sostegno della correttezza della

del ricorso del P.G. .

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito esposte e
precisate.

2. Occorre preliminarmente rilevare che l’arresto a fini estradizionali è stato
operato il 7 novembre 2013 e che il Francisci è stato scarcerato in data 21
novembre 2014, dopo che il T.A.R. del Lazio, con ordinanza n. 05871/2014 del
19 novembre 2014, depositata il 20 novembre 2014, aveva sospeso l’esecuzione
sia del decreto ministeriale di estradizione del 23 ottobre 2014, sia “di ogni altro
atto ad esso presupposto e conseguente, ancorchè incognito, ivi compresa la
nota rif. n. 33.007005.3731.5R del 23 ottobre 2014 a firma del Direttore del
Dipartimento per gli Affari di Giustizia del Ministero della Giustizia che prevede la
consegna dell’estradando entro il 17 novembre 2014”.
Tale provvedimento il giudice amministrativo ha assunto considerando la
sussistenza dei presupposti di cui all’art. 55 c.p.a. in relazione alle “condizioni in
concreto dell’estradando”, oggetto del potere discrezionale ministeriale, sul
duplice rilievo di un mancato approfondimento da parte dell’Amministrazione in
merito: a) allo stato di salute del ricorrente e della coniuge; b) alla quantità e
qualità della pena che in caso di condanna verrebbe concretamente irrogata.
V’è ancora da osservare,

in limine,

che con sentenza n. 42777 del

24/09/2014, dep. 13/10/2014, Rv. 260432, questa Suprema Corte ha rigettato il
ricorso proposto avverso la sentenza, emessa in data 28 marzo 2014, con la
quale la Corte d’appello di Firenze aveva ordinato la consegna del cittadino
francese Francisci Paul Michel all’Autorità giudiziaria richiedente degli Stati Uniti
d’America, accogliendo la domanda di estradizione avanzata in data 19 dicembre

2

decisione adottata dalla Corte d’appello, insistendo per la declaratoria di rigetto

2013 per il reato di frode bancaria (bank fraud) previsto dall’art. 18, sezione
1344, del codice penale federale statunitense.
Infine, con la sentenza n. 45130 del 22/10/2014, dep. 31/10/2014, Rv.
260667, è stato da questa Suprema Corte rigettato anche il ricorso proposto
avverso l’ordinanza pronunciata in data 12 settembre 2014, con la quale la Corte
d’appello di Firenze aveva respinto l’ulteriore istanza, avanzata dallo stesso

custodiale con quella degli arresti domiciliari, a seguito dell’annullamento con
rinvio della precedente ordinanza di rigetto emessa da quella Corte d’appello in
data 5 maggio 2014, disposto dalla Corte di Cassazione con sentenza del 13
agosto 2014 per un vizio formale del provvedimento cautelare, in quanto emesso
de plano senza procedere all’audizione delle parti in camera di consiglio, in
violazione degli artt. 718 e 127 c.p.p.

3. E’ noto che, una volta divenuta definitiva la sentenza favorevole alla
estradizione, per il soggetto in atto sottoposto a misure cautelari si produce ex
lege

una estensione temporale della coercizione personale finalizzata

esclusivamente alla esecuzione della estradizione, entro i limiti inderogabili
stabiliti dall’art. 708 c.p.p. (v., tra le altre, Sez. 6, n. 28033 del 17/02/2004,
dep. 22/06/2004, Terkuli, Rv. 229585), decorsi i quali l’estradando, se detenuto,
deve essere posto in libertà.
E’ altresì evidente che siffatta disciplina codicistica non viene specificamente
derogata dal disposto di cui all’art. 13 del Trattato di estradizione Italia-U.S.A.,
che si limita a stabilire genericamente che le Parti dovranno accordarsi circa la
data e il luogo della consegna.
Nell’ipotesi in cui la mancata consegna derivi, come nel caso in esame, da
un impedimento giuridico legato alla pronuncia di un’ordinanza di sospensione
dell’efficacia del provvedimento ministeriale, non può certo prodursi la perdita di
efficacia del decreto di estradizione (art. 708, comma 6, prima parte, c.p.p.), che
dunque potrebbe nuovamente essere posto in esecuzione, con la conseguente
riapertura dei termini per la consegna, una volta che il procedimento davanti al
giudice amministrativo si concludesse con il rigetto del ricorso.
Ciò che inevitabilmente si produce è, invece, il dovere dell’autorità
giudiziaria di porre in libertà il soggetto estradando, in base all’ultima parte della
citata disposizione di cui all’art. 708, comma 6 (v. Sez. 6, 3 giugno 2014 – 10
giugno 2014, n. 24382).

3

Francisci Paul Michel Marc Charles, di sostituzione della misura cautelare

4. A seguito dell’intervento delle Sezioni unite in tema di sospensione
dell’esecuzione della consegna estradizionale (Sez. Un., n. 41540 del 28
novembre 2006, dep. 18 dicembre 2006, P.G. in proc. Stosic, Rv. 234917), la
misura cautelare applicata all’estradando deve essere revocata allorquando ne
sia stata sospesa la consegna allo Stato richiedente fino al soddisfacimento della

misure coercitive adottate ai fini estradizionali va stabilita solo sulla base della
disciplina dettata dagli artt. 708 ss. c.p.p. e delle eventuali norme pattizie, come
tali prevalenti su quelle codicistiche, con l’esclusione delle previsioni di cui agli
artt. 303 e 308 c.p.p., da considerarsi come del tutto incompatibili con la
suddetta disciplina (nello stesso senso, in precedenza, v. Sez. 6, n. 4643 del 1°
ottobre 2003, dep. 6 febbraio 2004, Gavrilita, Rv. 227917; Sez. 6, n. 28033 del
17 febbraio 2004, dep. 22 giugno 2004, Terkuli, Rv. 229585; Sez. 6, n. 46478
del 26 ottobre 2004, dep. 30 novembre 2004, Grieco, Rv. 231376; Sez. 6, n.
36549 del 9 giugno 2003, dep. 23 settembre 2003, Gromovs, Rv. 226916; Sez.
6, n. 35658 del 19 giugno 2003, dep. 17 settembre 2003, Morina, Rv. 226762).
Con la pronuncia or ora citata, le Sezioni unite hanno disatteso il diverso
orientamento giurisprudenziale secondo cui, una volta esaurito il procedimento
giurisdizionale relativo all’estradizione verso uno Stato estero, in forza del
richiamo operato dall’art. 714, comma 2, avrebbero dovuto ritenersi operanti i
termini di durata massima delle misure previsti dagli artt. 303 e 308 c.p.p. (Sez.
6, n. 3374 del 20 settembre 2000, dep. 16 ottobre 2000, P.M. in proc. Pitino,
Rv. 217148; Sez. 6, n. 2931 dell’ 11 luglio 1995, dep. 17 luglio 1995, Parretti,
Rv. 202835; v., inoltre, Sez. 6, n. 29521 dell’8 maggio 2006, dep. 10 settembre
2006, Cipriani, Rv. 234276).
Alla linea di indirizzo tracciata dalle Sezioni unite ha successivamente
aderito la giurisprudenza di legittimità (v. Sez. 6, n. 44441 del 13 novembre
2008, dep. 28 novembre 2008, Orvidas, Rv. 241665; Sez. 6, n. 17624, del 12
aprile 2007, dep. 8 maggio 2007, Sogorovic, Rv. 236488).

4.1. Mette conto rilevare, ora, come nella progressione delle sequenze
motivazionali della su citata pronuncia delle Sezioni Unite sia possibile cogliere
un passaggio argomentativo assai rilevante anche ai fini dell’apprezzamento
della vicenda processuale in esame.

4

giustizia italiana a norma dell’art. 709 c.p.p., in quanto la durata massima delle

Nel suo percorso motivazionale, infatti, il Supremo Consesso, pur non
sollecitato, soggiunge, per “completezza”, che “alle identiche conclusioni occorre
pervenire anche nella ipotesi – esaminata, come si è accennato, da una parte
della giurisprudenza di questa Corte – in cui la sospensione della esecuzione della
estradizione non derivi dal provvedimento ministeriale adottato a norma dell’art.
709 cod. proc. pen., ma sia stata pronunciata iussu iudicis, in sede di sospensiva

avverso il decreto di estradizione. E ciò per l’assorbente rilievo che la riscontrata
lacuna di disciplina riguarda ogni ipotesi di sospensione della estradizione, a
prescindere, quindi, dalla autorità da cui essa promani, dalla natura e
dall’efficacia del relativo provvedimento e dalle “ragioni” per cui essa è disposta
o pronunciata; sicché, le stesse ragioni che valgono ad escludere l’applicabilità
della disciplina dei termini di cui agli artt. 303 e 308 cod. proc. pen. al caso di
sospensione di cui all’art. 709, valgono – eo magis

per l’ipotesi in cui la

sospensiva derivi da una decisione del giudice amministrativo, essendo in
quest’ultimo caso addirittura revocata in dubbio – con positivo riscontro circa il
relativo fumus

la stessa legittimità del provvedimento di estradizione, e non

soltanto differita la sua esecuzione “fino a soddisfatta giustizia italiana””.

5.

A seguito della pronuncia n. 41540/2006 delle Sezioni Unite, la

giurisprudenza di legittimità (v. Sez. 6, n. 12677 del 20 marzo 2007, dep. 27
marzo 2007, Cipriani, Rv. 236138) non ha mancato di affrontare nuovamente,
sul piano cautelare, la questione problematica del superamento dei rigorosi
termini che, a norma della contigua disposizione dì cui all’art. 708 c.p.p.,
scandiscono le sequenze esecutive della consegna estradizionale, nel caso in cui
queste siano sospese o interrotte a seguito di decisione interlocutoria o
provvisoria del giudice amministrativo, chiamato a sindacare – su ricorso
proposto dalla persona estradanda – la legittimità amministrativa del decreto
ministeriale di estradizione.
Secondo tale indirizzo ermeneutico, quando l’efficacia del decreto di
estradizione venga sospesa da un’ordinanza del giudice amministrativo emessa
mentre è già iniziata la fase della consegna, e alla consegna non si faccia luogo
proprio in ragione di tale pronuncia, l’estradando, se detenuto, deve essere
rimesso in libertà, poiché la legge non prevede l’intervento del giudice
amministrativo come causa di sospensione o di proroga dei termini della misura
restrittiva applicata, che non possono in nessun caso superare quelli inderogabili

5

disposta da parte del giudice amministrativo, a seguito di ricorso proposto

previsti per la consegna. Si è precisato, peraltro, che il provvedimento di
estradizione non perde in modo irreversibile la sua efficacia, sicché rimane
integra la possibilità di porlo nuovamente in esecuzione, con la conseguente
riapertura dei termini per la consegna, nel caso in cui il procedimento dinanzi al
giudice amministrativo dovesse concludersi con il rigetto del ricorso.
All’interno di siffatta prospettiva, dunque, l’estensione temporale ex lege del

decisione giudiziale favorevole alla consegna) deve considerarsi rigorosamente
finalizzata alla sola esecuzione della consegna allo Stato richiedente, “entro i
limiti inderogabili stabiliti dall’art. 708 c.p.p.” (in questi termini, in precedenza,
v. Sez. 6, n. 4643 del 1° ottobre 2003, dep. 6 febbraio 2004, Gavrilita, Rv.
227917; Sez. 6, n. 28033 del 17 febbraio 2004, dep. 22 giugno 2004, Terkuli,
Rv. 229585; Sez. 6, n. 46478 del 26 ottobre 2004, dep. 30 novembre 2004,
Grieco, Rv. 231376).
Ne discende che, una volta intervenuto il decreto di estradizione, lo status
detentionis dell’estradando non può essere prolungato sine die, oltre gli stretti
limiti indicati dall’art. 708 c.p.p., finanche in presenza di una causa di
sospensione della consegna rappresentata da una pronuncia del giudice
amministrativo, poiché una durata della coercizione personale che si protragga
senza limiti temporali definiti dalla legge si porrebbe in palese contrasto con i
principi fondamentali fissati dall’art. 13 della Costituzione.
A fronte di tali evenienze, dunque, la conseguenza da trarre – nel caso
dell’intervenuta scadenza dei termini fissati dall’art. 708 c.p.p. – non può che
essere quella della revoca della misura cautelare in atto e della coeva
scarcerazione dell’estradando, secondo una linea interpretativa che, ponendosi in
sostanziale adesione con le argomentazioni già sviluppate nella su menzionata
sentenza delle Sezioni Unite n. 41540/2006, appare maggiormente rispettosa
delle implicazioni de libertate sottese al quadro di principii e di garanzie delineato
dalla Costituzione.
Sostanzialmente ascrivibile al medesimo indirizzo interpretativo è anche la
successiva decisione adottata da Sez. 6, n. 6567 del 6 dicembre 2007, dep. 12
febbraio 2008, Imperiale, Rv. 239148, secondo la quale, nei confronti
dell’estradando che sia stato rimesso in libertà, una volta decorso il termine per
l’esecuzione della consegna previsto nel decreto ministeriale di estradizione, a
causa della sospensione dell’efficacia di quest’ultimo ad opera del giudice
amministrativo, non è consentito, in assenza di una specifica richiesta del

6

trattamento cautelare applicato all’estradando (a seguito della definitività della

Ministro della Giustizia, disporre altre misure cautelari, facendo appello al potere
attribuito al giudice nel procedimento ordinario dall’art. 307, comma primo, cod.
proc. pen. .
Richiamandosi ai principii affermati dalla pronuncia delle Sezioni Unite nel
caso “Stosic”, si precisa che, in entrambe le ipotesi delineate dagli artt. 708 e
709 c.p.p., alle misure coercitive in corso di esecuzione non sono applicabili i

pen.; sicché, in assenza di una previsione normativa che ne legittimi il
permanere anche durante il periodo in cui l’esecuzione dell’estradizione rimanga
sospesa, tali misure devono essere revocate, ferma restando la possibilità di
adottare nuovamente le misure coercitive, una volta cessata la sospensione, nei
limiti delle esigenze cautelari connesse all’accompagnamento dell’estradando ed
alla sua consegna allo Stato richiedente, e con l’osservanza dei termini previsti
dall’art. 708 c.p.p. .

6. Un diverso orientamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte (v.,
da ultimo, Sez. 6, n. 12451 dell’ 11 marzo 2011, dep. 28 marzo 2011, Pilatasíg
Diaz, Rv. 249593) ha affermato, di contro, la perdurante efficacia dello stato di
coercizione cautelare dell’estradando, la cui consegna sia sospesa per decisione
del giudice amministrativo, muovendo dal presupposto – già individuato da Sez.
6, n. 19830 del 9 aprile 2002, dep. 21 maggio 2002, Aboud Maisi, Rv. 222233,
nonché da Sez. 6, n. 29521 dell’8 maggio 2006, dep.

10 settembre 2006,

Cipriani, Rv. 234276 – che, a causa di tale ostacolo giuridico, è impedita
l’ulteriore fissazione del termine per la consegna di cui all’art. 708, comma 5,
c.p.p., sicché non può operare la perdita di efficacia della custodia prevista dal
successivo comma 6, ma esclusivamente quello – generale e desumibile dal
rinvio operato dall’art. 714 c.p.p. – connesso alla scadenza del termine massimo
di durata delle misure coercitive di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p.
Secondo tale indirizzo, pertanto, si è in presenza di un ostacolo o di una
causa di forza maggiore rispetto alla valida prosecuzione della procedura
esecutiva estradizionale, che non può ritenersi assimilabile alla ipotesi di
sospensione prevista dall’art. 709 c.p.p. (decisa dal Ministro per esigenze di
giustizia nazionale), né al caso di una eventuale inerzia ministeriale.
Inoltre, l’argomento usato nella su menzionata decisione delle Sezioni Unite
n. 41540/2006 non viene ritenuto condivisibile sul duplice assunto che la mera
impugnazione del decreto ministeriale dinanzi alla giurisdizione amministrativa

7

termini di durata massima previsti dagli artt. 303, comma 4, e 308 cod. proc.

non fa venir meno l’attualità dell’esigenza cautelare del pericolo di fuga,
connesso alla immediatezza della consegna, e che la sospensione disposta dal
giudice amministrativo dipende da una mera istanza dell’estradando, la quale
può celare una finalità meramente dilatoria, con la conseguenza che in tale
ipotesi si rendono applicabili i termini di cui all’art. 303 c.p.p., ovvero la
sospensione dei termini di cui all’art. 304 c.p.p. (v., per tale ultima soluzione,

233738).
Secondo tale orientamento, in definitiva, diversamente opinando, non solo il
decreto ministeriale di estradizione potrebbe essere censurato dal giudice
amministrativo per motivi meramente formali, ma la decisione del giudice
amministrativo potrebbe addirittura interferire per un tempo non definibile con
quella dell’autorità giudiziaria ordinaria.

7.

Siffatto contrasto giurisprudenziale, già portato all’attenzione delle

Sezioni Unite con l’ordinanza di rinnessione n. 30215 del 19 – 28 luglio 2011 di
questa Sezione, non è stato risolto con la sentenza n. 6624/2012 del 27 ottobre
2011 – 17 febbraio 2012, Marinaj, Rv. 251694, poiché le Sezioni Unite ebbero a
dichiarare l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in
ragione

dell’assorbente

e

decisivo

rilievo

dell’intervenuta

consegna

dell’estradando, nelle more della trattazione del ricorso, alle competenti Autorità
dello Stato richiedente.

8. Al riguardo, in linea generale, v’è da osservare che né l’art. 708, comma
5, cod. proc. pen., né l’art. 18, comma 4, della Convenzione europea di
estradizione del 1957 – secondo i quali, emesso il decreto ministeriale di
estradizione, l’interessato viene posto in libertà se la consegna non viene
effettuata entro i termini, rispettivamente, di quindici giorni, prorogabili di altri
venti per la norma codicìstica, e di trenta giorni per la norma convenzionale stabiliscono alcunché per l’ipotesi, che viene qui in rilievo, in cui l’efficacia del
decreto ministeriale venga sospesa dal tribunale amministrativo regionale, in
accoglimento dell’istanza formulata dall’estradando.
Con sentenza n. 123 del 21 marzo – 5 aprile 2007, inoltre, la Corte
costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 708, comma 2, e 715, comma 6, del codice di
procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione,

8

Sez. 6, n. 10110 dell’8 febbraio 2006, dep. 22 marzo 2006, Cipriani, Rv.

nella parte in cui tali norme collegano la maturazione dei termini perentori di
durata delle misure privative della libertà personale, disposte provvisoriamente a
carico dell’estradando, al mancato verificarsi di eventi «non conoscibili» dal
giudice, se non per effetto di comunicazione da parte del Ministro della giustizia.
La pronuncia di inammissibilità è dipesa dal fatto che il rimettente non aveva
definito il tipo di intervento richiesto alla Corte, limitandosi a prospettare una

censurate e l’asserita impossibilità di verifica, da parte dell’autorità giudiziaria
competente, del fatto storico da cui dipendeva la decorrenza dei termini stessi.
Sul punto, tuttavia, per quel che interessa nel caso in esame, deve
osservarsi come la Corte costituzionale abbia significativamente rilevato che i
rimedi, in linea astratta, potrebbero essere molteplici, e derivare

“o da una

diversa interpretazione delle disposizioni in oggetto o da interventi del legislatore
sulle procedure previste dalla legge in tema di libertà personale dell’estradandoa.
Manca, in definitiva, ad avviso del Giudice delle leggi,

“una soluzione

costituzionalmente obbligata del dubbio prospettato dal giudice rimettente”.

9. Al complesso di ragioni poste a sostegno della linea interpretativa
tracciata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 41540 del 18/12/06,
successivamente accolta dalla prevalente giurisprudenza di questa Suprema
Corte (da ultimo, v. Sez. 6, 3 giugno 2014, dep. 10 giugno 2014, n. 24382; Sez.
6, n. 25866 del 04/06/2013, dep. 12/06/2013, Rv. 255476), intende richiamarsi
il Collegio nell’enunciare il principio secondo cui, avuto riguardo al contenuto
delle fondamentali garanzie scolpite nell’art. 13 della Costituzione, nella materia
in esame non possono trovare applicazione le regole, funzionali alle esigenze
cautelari del processo interno, di cui agli artt. 303 e 304 c.p.p., con la
conseguenza che, in ogni ipotesi in cui non si dia corso alla consegna, scatta la
regola di cui all’art. 708, comma 6, c.p.p.
Nel caso in questione, invero, deve sottolinearsi come i peculiari effetti
dell’evenienza procedímentale correlata alla sospensione della esecuzione della
consegna a seguito di una decisione assunta dal giudice amministrativo non
siano espressamente regolati dalla legge ai fini della durata della restrizione
cautelare dell’estradando, né gli stessi paiono riconducibili, in via analogica, ad
ipotesi di sospensione dei termini legate ad iniziative di parte direttamente
incidenti sul procedimento in corso, derivando piuttosto dal concreto esercizio di

presunta contraddizione tra la perentorietà dei termini previsti dalle norme

forme di tutela giurisdizionale che lo stesso ordinamento giuridico espressamente
riconosce all’estradando.
Il decreto ministeriale di estradizione, infatti, è ritenuto un atto di alta
amministrazione di regola sindacabile da parte del giudice amministrativo, pur
all’interno di limiti che lo stesso Consiglio di Stato ha rigorosamente tracciato,
allorquando ha sottolineato che l’ordinamento vigente non consente al giudice

ripercorrere

ex novo –

nel giudizio innescato dall’impugnazione del

provvedimento amministrativo discrezionale che la concede – quelle stesse
questioni di diritto soggettivo che hanno già formato compiuto oggetto
dell’esame dell’autorità giudiziaria ordinaria nella pregressa fase giurisdizionale
della procedura (Cons. Stato, Sez. IV n. 3286 del 12 giugno 2007).
Entro tale prospettiva, dunque, rimane precluso al giudice amministrativo
ogni tipo di accertamento che si traduca nel riesame di provvedimenti
giurisdizionali adottati dal giudice penale (allorchè questi ha riscontrato la
sussistenza delle condizioni tecnico-giuridiche di estradabilità), trattandosi di
questioni concernenti lo

status libertatis

e comunque posizioni di diritto

soggettivo coinvolte e vulnerate dalla procedura di estradizione (Cons. Stato,
Sez. IV n. 1996 del 2000).
Parimenti preclusa al giudice amministrativo rimane ogni indagine che
esorbiti dal riscontro in seno al decreto di profili estrinseci di abnormità o
illogicità, suscettibili in quanto tali dì essere apprezzati anche nella giurisdizione
di legittimità.
Si tratta di criteri limitativi che la su ricordata giurisprudenza amministrativa
non ritiene contrastanti con l’insegnamento impartito dalla Corte costituzionale
allorquando, con la sentenza n. 223 del 1996, ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 698 cod. proc. pen. e della legge n. 225 del 1984 (recante
ratifica ed esecuzione del Trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica
italiana ed il Governo degli Stati Uniti d’America, firmato a Roma il 13 ottobre
1983) nella parte in cui prevedevano l’estradizione anche per i reati puniti con la
pena capitale a fronte dell’impegno assunto dal Paese richiedente – con garanzie
ritenute sufficienti dal Paese richiesto – a non infliggere la pena di morte o, se
già inflitta, a non farla eseguire.
In quell’occasione, la Corte costituzionale ha affermato che “il sindacato di
legittimità del provvedimento impugnato – condotto sul piano dell’osservanza
delle leggi che regolano l’azione ministeriale – non può non compiersi, infatti,

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amministrativo di acclarare la concedibilità tecnico-giuridica dell’estradizione e di

anche con riguardo alla legalità costituzionale, che è, anzi, il primo doveroso
controllo da parte di ogni giudice dello Stato. Controllo di legalità che, tuttavia,
non può intendersi limitato ai principi dell’azione amministrativa in senso stretto
se, e in quanto, essa insista su beni o interessi tutelati (in massimo grado) dalla
Costituzione.”.
Nella medesima prospettiva, però, l’individuazione del parametro alla

può comportare, secondo quanto affermato dallo stesso Consiglio di Stato nella
su citata pronunzia n. 3286 del 12 giugno 2007, nè la pretermissione dei principi
costituzionali che regolano il riparto della giurisdizione tra il giudice ordinario e il
giudice amministrativo, allorchè non si verta in quelle particolari materie in cui
quest’ultimo può conoscere anche di diritti soggettivi; nè il superamento del
limite esterno della giurisdizione di legittimità per invasione delle attribuzioni
riservate all’autorità amministrativa.
Ne discende, in definitiva, che tale sindacato può riguardare i soli aspetti del
provvedimento che siano discrezionali e, quindi, potenzialmente lesivi di interessi
legittimi (non sussistendo in materia alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva),
ma non può comunque investire il merito intrinseco di una scelta che
l’ordinamento configura come ampiamente discrezionale.
Le valutazioni ministeriali, quindi, non possono essere sindacate nella parte
in cui siano basate, adeguandovisi, sull’accertamento (incidente sui diritti) già
compiuto dall’autorità giudiziaria ordinaria, poiché “diversamente ragionando, il
ricorso contro il provvedimento amministrativo verrebbe inammissibilmente a
costituire una sorta di improprio mezzo di revisione extra ordinem delle sentenze
delle Corti Penali, nella parte in cui accertano appunto la concedibilità e l’assoluta
garanzia”.

9.1. Sulla base delle su esposte considerazioni, in definitiva, deve ritenersi
che, una volta intervenuto il decreto ministeriale di estradizione, la coercizione
personale non può permanere oltre i limiti indicati dall’art. 708 c.p.p., anche se
intervenga una causa di sospensione della consegna, come quando l’estradando
debba essere giudicato nel territorio dello Stato o ivi scontare una pena (art. 709
c.p.p.), o quando, come verificatosi nel caso di specie, l’esecutività del decreto
ministeriale sia sospesa da una pronuncia adottata dall’autorità giudiziaria
amministrativa.

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stregua del quale va condotto in subiecta materia il sindacato di legittimità non

Le cause di sospensione o di proroga della durata di una custodia
“preventiva”, infatti, non possono che essere tassative, trattandosi di materia
presidiata dall’art. 13, comma 5, Cost., mentre al di fuori di quanto stabilito dagli
artt. 708 e 714 c.p.p. non vi sono disposizioni che le prevedano, per l’eventualità
di una consegna “sospesa”, nell’ambito del Libro XI del codice di rito; nè sono
applicabili, per la evidente inconciliabilità dei relativi presupposti sostanziali

le cause di sospensione, relativi alle misure coercitive adottate nell’ambito dei
procedimenti penali “interni”, di cui agli artt. 303 e 304 c.p.p. (Sez. 6, 3 giugno
2014, n. 24382, cit.).
Una durata della coercizione personale che possa protrarsi senza limiti
temporali legalmente definiti in relazione all’andamento di altre procedure, delle
quali non sia prevedibile in modo assolutamente certo il tempo di definizione,
costituirebbe, del resto, un’evenienza procedimentale del tutto incompatibile con
il fondamento stesso del su menzionato canone costituzionale.
Deve peraltro rilevarsi, come più volte rimarcato nelle pronunzie di questa
Suprema Corte, che in fattispecie come quella in esame ci si trova in presenza di
una grave lacuna normativa, che è augurabile possa essere quanto prima
colmata dal legislatore. Mentre, infatti, i termini di durata della coercizione
personale sono perfettamente definiti per la procedura giurisdizionale a fini
estradízionali e per la fase riservata ai provvedimenti di competenza ministeriale,
nulla è previsto per l’eventualità in cui l’interessato adisca la giurisdizione
amministrativa, dopo una decisione definitiva dell’autorità giudiziaria ordinaria
che ha accertato la sussistenza delle condizioni per l’estradizione e dopo che il
Ministro della giustizia ha ritenuto di emettere il relativo decreto.

9.2. Sotto altro, ma connesso profilo, si è già avuto modo di sottolineare, in

questa Sede (Sez. 6, ord. n. 30215 del 19 – 28 luglio 2011), la persistente
necessità di un intervento normativo volto ad eliminare in radice ogni incertezza
ermeneutica, anche con riferimento alle ineludibili esigenze legate alla
realizzazione degli obiettivi di una pronta ed efficace attuazione dei numerosi
doveri di collaborazione giudiziaria internazionale gravanti sullo Stato italiano.
Entro questa prospettiva, e ad ulteriore riprova della avvertita esigenza di
evitare potenziali conflitti di decisioni sul tema, non si è mancato di soggiungere
che la questione della revoca ipso iure per scadenza dei termini di cui all’art. 708
c.p.p. di misure cautelari in atto nella fase esecutiva della concessa estradizione,

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(reato per il quale si procede) e processuali (fasi e gradi del giudizio), i termini o

ovvero della sospensione del decorso di tali termini a fronte di sopravvenute
cause impeditive della immediata consegna dell’estradando (sospensione degli
effetti del decreto ministeriale da parte del giudice amministrativo), è resa
vieppiù rilevante allorché si tenga conto della rinnovata disciplina della procedura
giurisdizionale amministrativa introdotta con il codice del processo
amministrativo (D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104). Disciplina che, semplificando e

giudizio (ex artt. 55, 62 e 98 c.p.a.), rende concreta quella dinamica di
“automatismo” nella concessione di misure sospensive dei provvedimenti
impugnati davanti al giudice amministrativo in sede di “misure cautelari”
monocratiche o collegiali, di primo o di secondo grado, già paventato fin dal
2006 dalle Sezioni Unite (S.U., 28.11.2006 n. 41540, Stosic, cit.).
Appare arduo, per vero, ipotizzare – prosegue Sez. 6, ord. n. 30215/2011,
cit. – che il giudice amministrativo, investito di una richiesta di sospensione
provvisoria avanzata dall’estradando in uno al ricorso avverso il decreto
ministeriale di estradizione, sia in grado di escludere, vertendosi in materia di
libertà personale, la ravvisabilità delle ragioni di “estrema gravità e urgenza”,
ovvero del pericolo di un “danno grave e irreparabile” (artt. 56 e 98 c.p.a.), che
legittimano l’invocata sospensione provvisoria o non.

10. Occorre infine considerare che, a fronte di tale vistosa lacuna
ordinamentale, la soluzione individuata dalla prevalente giurisprudenza di
legittimità, per come qui ribadita, non esaurisce del tutto le implicazioni sottese
alla questione problematica della effettività dell’adempimento dell’obbligo di
consegna dopo il provvedimento concessivo dell’estradizione.
La enunciata soluzione ermeneutica, infatti, non consente di eludere i
problemi legati allo status libertatis dell’estradando, il cui pericolo di fuga,
eventualmente già accertato in più gradi del procedimento cautelare, contestuale
o successivo alla fase giurisdizionale instaurata per il vaglio dei presupposti
estradizionali, non può ritenersi automaticamente azzerato nel momento della
sospensione della consegna a “soddisfatta giustizia italiana”, ovvero a fronte di
una provvisoria decisione sospensiva del giudice amministrativo.
Né, d’altra parte, sembra ragionevole ritenere che la valutazione della
sussistenza del pericolo di fuga possa essere indefinitamente rinviata ad un
momento successivo alla definizione del giudizio interno o alla conclusione del
giudizio amministrativo.

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riducendo i termini di svolgimento del procedimento incidentale cautelare del

L’adempimento dell’obbligo ministeriale, infatti, non viene meno a fronte di
sospensioni provocate da esigenze rilevanti all’interno dell’ordinamento, ovvero
da decisioni interlocutorie che ne determinano soltanto la sottoposizione ad una
condizione che può ancora avverarsi.
Entro tale prospettiva, dunque, se è agevole rilevare che il Ministro della
giustizia può richiedere in ogni tempo la misura cautelare (art. 714, comma 1,

altrettanto evidente la necessità di una sua iniziativa specificamente orientata ad
investire l’organo giurisdizionale di una verifica finalizzata all’accertamento della
eventuale sussistenza di un concreto pericolo di fuga, da effettuarsi nel pieno
rispetto del contraddittorio delle parti (Sez. Un., 28 maggio 2003, Di Filippo, Rv.
224612) e da concludere, se del caso, con l’eventuale adozione di misure
cautelari di tipo non custodiale, volte a garantire l’esigenza di effettività della
possibile consegna allo Stato richiedente.
D’altra parte, è la stessa evoluzione della giurisprudenza di legittimità a
sottolineare l’esigenza di un controllo sulla persistenza del pericolo di fuga, da
valutarsi in concreto ed in coerenza con il precetto dell’art. 274, lett. b), c.p.p.,
dopo l’esaurimento del procedimento estradizionale con sentenza favorevole alla
consegna (Sez. Un., 28 maggio 2003, Di Filippo, Rv. 224613, richiamata anche
da Sez. Un., 28 novembre 2006, Stosic, cit.).
In tal senso, infine, non può non rilevarsi che nella stessa motivazione della
pronuncia di questa Suprema Corte che accoglieva le istanze di libertà nel caso
“Cipriani” (Sez. 6, 20 marzo 2007, Cipriani, Rv. 236138) si è espressamente
fatta “salva ogni determinazione che il ministro della giustizia e l’autorità
giudiziaria territoriale vorranno assumere”, in tal guisa volendosi evidenziare
l’esigenza di colmare il vuoto normativo con un sempre possibile vaglio delibativo
avente ad oggetto l’esistenza di un concreto e specifico pericolo di fuga
ravvisabile nell’arco temporale riconnpreso fra la decisione provvisoria e la
pronuncia definitiva del giudice amministrativo (Sez. 6, n. 2954 del 12/07/1995,
dep. 17/07/1995, Rv. 202834; arg., inoltre, ex Sez. 6, n. 36549 del 09/06/2003,
dep. 23/09/2003, Rv. 226916).

11. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, il ricorso
deve essere rigettato.
La Cancelleria curerà l’espletamento degli adempimenti di cui all’art. 203,
disp. att., c.p.p.

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c.p.p.), così come può chiederne sempre la revoca (art. 718, comma 2, c.p.p.), è

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.
203 disp. att. c.p.p. .

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, lì, 30 dicembre 2014

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