Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4337 del 17/12/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 4337 Anno 2015
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI STEFANO MAURIZIO N. IL 12/11/1977
avverso l’ordinanza n. 864/2014 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
03/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
~sentite le conclusioni del PG Dott.

.£,(1Arc;kpQ,

Udit

ensor Avv.;

Data Udienza: 17/12/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 3 luglio 2014, il Tribunale del riesame di Palermo,
investito del giudizio ai sensi dell’art. 309 del codice di rito, ha confermato
l’ordinanza dell’Il giugno 2014, con la quale il Gip presso il Tribunale della
stessa città ha applicato a Di Stefano Maurizio la misura della custodia in carcere
in relazione al reato di cui capo 21) ex artt. 110 cod. pen., 73, commi 1 e 1 bis,

e 80, comma 2, d.P.R. n. 309/1990 e 7 L. n. 203/1991 (per avere acquistato a

26.000,00 euro, dal gruppo criminale facente capo a Spina Guido e Cosenza
Vincenzo, il 13 agosto 2012).
Dopo avere premesso che la difesa non ha contestato il requisito di gravità
indiziaria rispetto al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, ma ha invocato
l’annullamento del provvedimento nella sola parte relativa la contestata
aggravante dell’art. 7 L. n. 203/1991, il Tribunale ha rilevato come, dal
contenuto dell’intercettazione ambientale del 13 agosto 2013 progr. 5539 e dal
rinvenimento di 500 grammi di cocaina e di una busta contenente 1.500 euro
sull’auto condotta dal Di Raimondo Pietro, emergano elementi gravemente
indiziari a carico dell’indagato in ordine al reato ascrittogli, correttamente
ritenuto aggravato ai sensi degli artt. 7 L. n. 203/1991 e 80, comma 2, d.P.R. n.
309/1990, a nulla rilevando il fatto che il correo Di Raimondo sia già stato
giudicato per lo stesso fatto di reato senza contestazione delle aggravanti de
qua.

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ha stimato

l’applicazione della misura di maggior rigore, stante

corretta

il difetto di elementi

concreti suscettibili di superare la presunzione delineata nell’art. 275, comma 3,
cod. proc. pen.

2. Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso ex art. 311 cod. proc. pen.
personalmente Di Stefano Maurizio, chiedendone l’annullamento per i seguenti
motivi.
2.1. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 7 L. n. 203/1991 e 273 cod.
proc. pen., per avere il Tribunale confermato il giudizio di gravità indiziaria in
relazione alla citata aggravante sulla base “di un automatismo probatorio
motivato in termini di mera ipotizzata probabilità, in quanto a suo dire si
tratterebbe di una ignoranza inevitabile o sostanzialmente colpevole”, dunque
con motivazione sostanzialmente apodittica, laddove – di contro – dal contenuto
delle conversazioni intercettate non emerge la consapevolezza dell’assistito di
agevolare l’associazione.

fini di spaccio un quantitativo di 495 grammi di cocaina, per il corrispettivo di

2.2. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 80, comma 2, d.P.R. n.
309/1990 e 273 cod. proc. pen., per avere il Tribunale ritenuto sussistente
l’ingente quantità dello stupefacente con motivazione carente e comunque
contrastante coi principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (nella
sentenza n. 36258 del 2012), secondo cui l’aggravante in parola non può essere
ravvisata quando la quantità sia inferiore a 2000 volte il massimo in milligrammi
(valore – soglia).

2.3. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 274, 275 e 299 cod. proc.
la sola custodia in carcere a farvi fronte con una motivazione palesemente
illogica e contraddittoria, in particolare trascurando di considerare che l’indagato
ha commesso l’ultimo reato nell’agosto 2003, vive in luogo diverso da quello di
commissione dei fatti con la compagna dei figli minori, che il coindagato Di
Raimondo Pietro, giudicato in un separato procedimento, è stato condannato per
lo stesso fatto ascritto a Di Stefano ma senza contestazione delle due citate
circostanze aggravanti, ed è attualmente assoggettato alla misura degli arresti
domiciliari con autorizzazione al lavoro.

3.

Il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato

inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo con il quale il ricorrente contesta il vizio di motivazione in
ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’art. 7 L. n.
203/1991 è infondato e deve essere rigettato.
1.1. Il Collegio della impugnazione cautelare, investito della specifica
questione col ricorso ex art. 309 cod. proc. pen., ha ben esplicitato le ragioni
per le quali ha ritenuto che Di Stefano Maurizio fosse a conoscenza del fatto che
la compravendita di sostanze stupefacenti avrebbe agevolato l’attività
dell’organizzazione mafiosa o, comunque, che egli abbia ignorato tale circostanza
per ignoranza evitabile o sostanzialmente colpevole.
Il Tribunale ha invero rilevato, in linea generale, come dalle risultanze delle
intercettazioni emerga l’esistenza di una organizzazione criminale in posizione
egemonica nel settore del traffico degli stupefacenti, del tipo cocaina ed hashish,
nel territorio del quartiere Zen, capeggiata da Spina Guido e Cosenza Vincenzo e
come i collaboratori di giustizia Pasta, Giordano, Ballistreri e Arnone abbiano
riferito che la gestione da parte dello Spina del commercio di droga fosse stata
3

pen., per avere il Tribunale ritenuto sussistenti le esigenze cautelari ed adeguata

autorizzata dai vertici della locale organizzazione mafiosa, che così attuava la
propria strategia di controllo delle attività delinquenziali svolte in forma
organizzata, che permettevano il ricavo di ingenti somme di denaro; nello
specifico, come Di Stefano non potesse aver portato avanti la trattativa per
l’importante acquisto di 500 grammi di cocaina, recandosi anche presso
l’abitazione dello Spina (ivi ristretto in regime di arresti domiciliari), senza essere
consapevole della posizione di vertice rivestita da quest’ultimo nell’ambito della
consorteria mafiosa palermitana, vista la posizione di assoluto monopolio nella

conseguita in virtù dell’investitura mafiosa, di cui lo stesso Spina si vantava e
che gli garantiva il potere di autorizzare i terzi ad esercitare o meno l’attività di
spaccio in tale luogo.
1.2. Il ragionamento seguito dai decidenti si appalesa immune da censure
logico giuridiche laddove prende a base le obbiettive risultanze delle
investigazioni e si sviluppa secondo un rigoroso percorso interferenziale, in
armonia con condivisibili massime d’esperienza e principi di diritto.
Giova rammentare che, secondo i consolidati principi espressi da questa
Corte regolatrice, la circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.lgs n. 152 del 1991,
convertito nella legge n. 203 del 1991 – integrata dalla finalità di agevolare
l’associazione di tipo mafioso – ha natura oggettiva e si trasmette, pertanto, a
tutti i concorrenti nel reato, di guisa che è sufficiente che l’aspetto volitivo espresso nella norma con il riferimento al “fine di agevolare” l’associazione
mafiosa – sussista in capo ad alcuni, o anche ad uno soltanto, dei predetti
concorrenti nel medesimo reato (Cass. Sez. 5, n. 10966 del 08/11/2012,
Minniti, Rv. 255206). Ancora, questa Corte ha affermato che la circostanza
aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203 del 1991 è applicabile ai concorrenti nel
delitto anche quando questi ultimi non siano consapevoli della finalizzazione
dell’azione delittuosa a vantaggio di un’associazione di stampo mafioso, ma
versino in una situazione di ignoranza colpevole (Cass. Sez. 2, n. 3428 del
20/12/2012, Buonanno e altro, Rv. 254776; Cass. Sez. 6 n. 24025 del
30/05/2013).
1.3. A tali condivisibili coordinate ermeneutiche si è attenuto il Tribunale del
riesame laddove, richiamato l’insegnamento di questa Corte di cassazione, ha
correttamente concluso che – visti la rilevante quantità della partita di droga
oggetto di compravendita, le modalità della stipula del negozio e l’intimità dei
rapporti fra le parti, laddove l’acquisto veniva trattato da Di Stefano anche
direttamente con Spina Guido, cioè con il capo e promotore della consorteria
mafiosa, per di più presso l’abitazione ove questi si trovava ristretto in regime di
arresti domiciliari – il ricorrente non potesse non essere edotto del ruolo apicale
4

gestione della compravendita di droga nel quartiere Zen da questi ricoperta,

ricoperto da Spina Guido e, quindi, della finalizzazione della compravendita
avente ad oggetto il rilevante quantitativo di stupefacente a consolidare la
posizione egemonica del gruppo criminale nel commercio illecito. Sulla base degli
elementi valorizzati dal Collegio, si deve invero ritenere – quantomeno nei
termini di elevata probabilità richiesti ai fini dell’art. 273 cod. proc. pen. – che
l’indagato, nel partecipare ad una così importante trattativa presso l’abitazione
dell’elemento di vertice del gruppo criminale, non potesse ignorare le qualità
soggettive e socio criminale dei suoi interlocutori, risultando altresì plausibile –

avesse esplicitato ed esercitato il suo ruolo apicale nei confronti del Di Stefano
per una migliore informazione ed ottimizzazione dei risultati della trattativa.
1.4.

Né l’integrazione della circostanza aggravante in parola potrebbe

escludersi, come assume il ricorrente, per il fatto che si sia trattato di una
condotta episodica.
Ed invero, la norma dell’art. 7 L. n. 203/1911 non richiede nessuna
ripetitività, continuità o serialità della condotta illecita, essendo sufficiente che la
condotta, sebbene solo episodica o occasionale, sia volta ad agevolare gli
interessi dell’organizzazione mafiosa.
1.5.

Infine, nessun vizio logico giuridico può essere ravvisato

nell’argomentare del Tribunale siciliano laddove ha escluso riverberi sulla
posizione di Di Stefano conseguenti dal fatto che il correo Di Raimondo sia già
stato giudicato per lo stesso fatto di reato ai sensi dell’art. 73 d.P.R. n.
309/1990, senza la contestazione della circostanza aggravante de qua.
Non può, invero, essere sottaciuto come Di Raimondo sia stato condannato
a seguito di arresto in flagranza e nel giudizio celebrato in immediata
successione temporale, in una situazione processuale completamente diversa da
quella dell’odierno ricorrente, in quanto di necessità sguarnita delle evidenze
d’indagine acquisitUn seguito. Mette conto evidenziare come, a base del giudizio
di gravità indiziaria a carico del Di Stefano, siano stati indicati dai giudici della
cautela gli esiti delle intercettazioni e le dichiarazioni dei numerosi collaboratori
di giustizia acquisiti in epoca successiva all’arresto del correo e, proprio grazie ad
essi, è stato possibile delineare compiutamente il ruolo del ricorrente nella
vicenda, le modalità della trattativa e – per quanto più rileva ai fini
dell’aggravante di cui si discute – i rapporti diretti intrattenuti da Di Stefano con
l’elemento di vertice della consorteria Spina Guido.
La circostanza che al correo non sia stata contestata l’aggravante dell’art. 7
L. n. 203/1991 non è dunque suscettibile di dispiegare alcuna efficacia preclusiva
ai fini del giudizio cautelare concernente la posizione del ricorrente, a fronte
dell’evidente eterogeneità,

rectius

maggiore estensione, del compendio

come correttamente rilevato anche dal giudice a quo – che lo stesso Spina

probatorio ed indiziario posto a fondamento della misura restrittiva di cui si
discute.

2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si è dedotto il vizio di
motivazione in relazione alla ritenuta integrazione della circostanza aggravante
dell’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309/1990, è fondato, ma fa difetto un concreto
interesse del ricorrente ad ottenere una pronuncia di annullamento sul punto.
2.1. Giova rammentare che, secondo i principi affermati da questa Corte di

circostanza aggravante della quantità ingente di cui all’art. 80 d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309, deve ritenersi sussistente quando, pur non raggiungendo valori
massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di
un rilevante numero di tossicodipendenti, secondo l’apprezzamento del giudice di
merito al quale spetta la valutazione in fatto, senza ulteriore riferimento al
mercato ed alla sua eventuale saturazione, trattandosi di un elemento di
valutazione non richiesto dalla norma e comunque di difficile accertamento, data
la sua natura clandestina e l’impossibilità di disporre, al riguardo, di dati certi e
verificabili (Cass. Sez. 6, n. 7254 del 19/10/2004, Cusumano ed altri, Rv.
231313). La circostanza aggravante speciale dell’ingente quantità di sostanza
stupefacente prevista dall’art. 80, comma secondo, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309,
ricorre ogni qualvolta il quantitativo di sostanza è idoneo a soddisfare le esigenze
di un elevato numero di consumatori per un notevole lasso di tempo (Cass. Sez.
1, n. 30288 del 08/06/2011, Rexhepi e altri, Rv. 250799).
Chiamata a meglio circostanziare i termini quantitativi dell’aggravante de
qua, di recente, questa Corte regolatrice a Sezioni Unite ha chiarito che, in tema
di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, l’aggravante
della ingente quantità, di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990,
non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore
massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella
tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale
valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata (Cass. Sez.
U, n. 36258 del 24/05/2012, P.G. e Biondi, Rv. 253150).
2.2. Orbene, di tali condivisibili principi non ha tenuto conto il Tribunale
siciliano laddove, con motivazione meramente assertiva ed apodittica, ha
ritenuto integrata la circostanza aggravante in parola “tenuto conto dell’elevato
quantitativo di sostanza stupefacente oggetto di compravendita, pari a 500
grammi di cocaina, e come tale sufficiente per immettere nel mercato della
droga un elevatissimo numero di dosi giornaliere, dell’ordine sicuramente delle
svariate migliaia con evidenti rischi per la vita l’incolumità psico-fisica di
6

cassazione, in materia di reati concernenti le sostanze stupefacenti, la

altrettanti consumatori”, con ciò senza circostanziare in modo preciso il
superamento del valore – soglia fissato da questo giudice di legittimità come
condicio sine qua non ai fini della ravvisabilità dell’aggravante. E ciò nonostante
il giudice della cautela, giusta l’arresto in flagranza del correo Di Raimondo con
contestuale sequestro dello stupefacente, avesse verosimilmente a propria
disposizione o potesse comunque acquisire le analisi chimico tossicologiche
eseguite sulla sostanza oggetto di reato, da cui estrapolare il dato concernente il
numero di dosi medie giornaliere da essa ricavabili.
Ferma la delineata inadeguatezza dell’apparato argomentativo a

sostegno della ritenuta circostanza aggravante in oggetto, il Collegio deve
nondimeno porre in risalto come non sussista nessun concreto interesse ad
annullare l’ordinanza impugnata sul punto.
Ed invero, ravvisata la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art.
7 L. n. 203/1991, l’eventuale rimozione – all’esito del giudizio di rinvio – della
circostanza aggravante dell’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309/1990 non
produrrebbe, di per sé, nessun riverbero sulla persistenza della misura cautelare
in atto, né sulla durata dei termini di custodia cautelare (comunque condizionati
dalla ravvisata sussistenza della citata circostanza aggravante dell’art. 7), né
sulla cornice della contestazione nel futuro giudizio di merito, stante la completa
autonomia delle valutazioni del pubblico ministero in sede di richiesta di rinvio a
giudizio rispetto alle sorti del procedimento incidentale de libertate. Come questa
Corte ha avuto modo di chiarire sul punto, anche a composizione allargata,
ferma la facoltà del giudice per le indagini preliminari, in sede di applicazione
della misura cautelare ai sensi dell’art. 292 cod. proc. pen., ed al tribunale, in
sede di riesame o di appello ai sensi degli artt. 309 e 310 cod. proc. pen., di
modificare la qualificazione giuridica data dal pubblico ministero al fatto per cui si
procede, ciò non incide sull’autonomo potere di iniziativa del pubblico ministero,
atteso che l’eventuale correzione del nomen iuris non può avere effetti oltre il
procedimento incidentale) (Cass. Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco,
Rv. 205617).
Si possono dunque richiamare i principi già espressi da questa Corte
secondo cui, in tema di impugnazioni avverso misure cautelari personali, vi è
carenza di interesse sia al riesame che al ricorso per cassazione quando, con
essi, l’indagato tenda ad ottenere una diversa qualificazione giuridica del fatto
dalla quale non consegua, per lui, alcuna concreta utilità. (In motivazione la
Corte ha chiarito che difetta l’utilità quando il mutamento invocato non incide
sulla possibilità di adottare o mantenere la misura e che si deve tenere conto del
fatto che, comunque, il potere di riqualificazione giuridica riconosciuto al Gip e al
Tribunale del riesame non produce effetti oltre il procedimento incidentale in
7

23.

corso. Nella fattispecie era stata chiesta in sede di riesame la qualificazione dei
fatti come truffa aggravata ex art. 640 comma secondo n. 2 cod. pen. anziché
come furto ex art. 624 bis, 625 comma secondo n. 2 cod. pen. e la Corte, nel
dichiarare inammissibile il ricorso, ha anche evidenziato che la diversa durata dei
termini di custodia cautelare dipendenti dalla qualificazione del fatto non integra
l’interesse al gravame, che deve essere attuale e concreto) (Cass. Sez. 5, n.
45940 del 09/11/2005, Oberto, Rv. 233219; Cass. Sez. 6, n. 50980 del

3. Infondato è l’ultimo motivo con il quale il ricorrente ha eccepito il vizio di

motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari e della misura più
adeguata a farvi fronte.
3.1. Giova ricordare che l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen, prevede una

doppia presunzione: l’una di carattere relativo, che impone al giudice di ritenere
sussistenti le esigenze cautelari nei casi in cui sussistano gravi indizi per taluna
delle fattispecie incriminatrici previste dal catalogo della norma, “salvo che siano
acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”; l’altra,
assoluta, riguardante la scelta della misura, che rende doverosa l’applicazione
della misura di maggior rigore una volta che la presunzione relativa appena
delineata non risulti vinta, con un apprezzamento legale e vincolante di
adeguatezza della sola custodia carceraria a fronteggiare le esigenze
presupposte, e conseguente esclusione di ogni soluzione “intermedia” tra questa
e lo stato di piena libertà dell’imputato.
A seguito di plurimi scrutini di costituzionalità, l’ambito della presunzione è
stato fortemente ridotto ed, in particolare, con la sentenza n. 57 del 2013 (che
viene in rilievo nel caso di specie), il giudice delle leggi ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc.
pen. nella parte in cui prevede, allorchè sussistano gravi indizi di colpevolezza in
ordine a reati aggravati ai sensi dell’art. 7, D.L. n. 152 del 1991 (aggravante del
cd. “metodo mafioso” o al fine di agevolare le attività delle associazioni previste
dall’art. 416-bis cod. pen.), una presunzione assoluta di idoneità della sola
custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti
che non sussistono esigenze cautelari, e, per tali casi, ha quindi fatto salva la
possibilità per il giudice di ritenere fronteggiabili le esigenze cautelari con altre
misure, sulla base di elementi specifici relativi al caso concreto. In altri termini,
nei casi in cui si proceda per reati aggravati dal metodo mafioso o dalla
agevolazione dell’associazione mafiosa – come appunto nel caso di specie -, la
presunzione delineata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. ha valenza
meramente relativa, di tal che il giudice può valutare, alla luce del proprio
8

21/11/2013, Fabricino Rv. 258502).

prudente apprezzamento, eventuali elementi dimostrativi della insussistenza dei
pericula libertatis o la fronteggiabilità dei medesimi con una misura meno
afflittiva di quella di maggior rigore.
3.2. Orbene, ritiene questa Corte che il Collegio palermitano abbia fatto
buon governo dei dicta del giudice costituzionale ed abbia ben argomentato – con
una motivazione aderente alle risultanze probatorie, completa e conforme a
condivisibili massime d’esperienza – come, nei confronti di Di Stefano (indagato
per violazione della legge sugli stupefacenti aggravata dall’agevolazione

dedotti in sede di riesame dalla difesa – tali da consentire il superamento della
delineata presunzione e da far ritenere fronteggiabile il rischio di ricaduta nel
reato con la misura più gradata degli arresti domiciliari.
D’altra parte, una diversa conclusione non può ritenersi imposta dalla
circostanza che il correo Di Raimondo si trovi attualmente sottoposto alla misura
ex art. 284 cod. proc. pen. Al riguardo, va invero ribadito che, in materia
cautelare, la posizione processuale di ciascuno dei coindagati o coimputati è
autonoma dal momento che la valutazione da esprimere ai sensi dell’art. 274
cod. proc. pen., ed in particolare quella di cui alla lett. c) di tale norma, si fonda,
oltre che sulla diversa entità del contributo materiale e/o morale assicurato da
ciascuno dei correi alla realizzazione dell’illecito, anche su profili strettamente
attinenti alla personalità del singolo, di tal che del tutto giustificata può essere
l’adozione di regimi difformi pur a fronte della contestazione di un medesimo
fatto reato.
Ciò vale tanto più nel caso di specie nel quale si tratta di persone oggetto di
procedimenti separati, attinte da accuse in parte diverse (in particolare, quanto
alle circostanze aggravanti contestate, come già sopra evidenziato) e,
soprattutto, a fronte di una cornice probatoria difforme (in quanto in parte
sopravvenuta alla condanna del Di Raimondo), di tal che il regime cautelare
adottato nei confronti del correo non può ritenersi automaticamente esportabile
nei confronti del ricorrente.

4. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

9

dell’associazione mafiosa), non emergano elementi obbiettivi – né sono stati

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma il 17 dicembre 2014

Il Presidente

Il consigliere estensore

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