Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4336 del 17/12/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 4336 Anno 2015
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

Data Udienza: 17/12/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LETO GIUSEPPE N. IL 19/01/1970
avverso l’ordinanza n. 909/2014 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
07/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
lege/sentite le conclusioni del PG Dott.
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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7 luglio 2014, il Tribunale di Palermo, a seguito di
giudizio di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., ha confermato l’ordinanza dell’Il
giugno 2014, con la quale il Gip presso il Tribunale della stessa città applicava a
Leto Giuseppe la misura della custodia in carcere in relazione ai seguenti reati:
– di cui agli artt. 74, commi 1, 2 e 3, 80, comma 2, d.P.R. n. 309/1990 e 7
L. n. 203/1991, dal mese di dicembre 2011 e tuttora in corso (capo 15);
– di cui agli artt. 110 – 81 cpv cod. pen. e 73, commi 1 e 1 bis, e 80,
comma 2, d.P.R. n. 309/1990 e art. 7 L. n. 203/1991, dal mese di dicembre
2011 e tuttora in corso (capo 16).
Il Tribunale ha rilevato come, alla luce delle captazioni disposte nel corso
delle indagini (in particolare, delle intercettazioni ambientali disposte presso
l’abitazione di Spina Guido, ove gli era detenuto agli arresti domiciliari e da dove
coordinava l’attività di spaccio, nonché delle intercettazioni telefoniche disposte
nei confronti di Vitale Pietro e Leto Giuseppe, nell’arco temporale compreso tra il
dicembre 2011 all’aprile 2012), dei mirati servizi di osservazione e dei sequestri
di importanti quantitativi di stupefacente, possano ritenersi provati, almeno in
termini di gravità indiziaria, sia lo svolgimento da parte degli indagati di un
traffico di sostanza stupefacente del tipo cocaina e hashish, attività continuata
nonostante le vicissitudini che coinvolgevano gli appartenenti al gruppo; sia
l’esistenza di un gruppo organizzato ascrivibile nella fattispecie delineata
dall’articolo 74 d.P.R. n. 309/1990, dedito stabilmente all’attività di spaccio di
sostanze stupefacenti nel quartiere Zen, coordinato da Spina Guido e Cosenza
Vincenzo, i quali impartivano direttive anche a Leto e Vitale.
Con specifico riguardo a Leto Giuseppe, il Tribunale ha richiamato il
contenuto di alcune intercettazioni, anche all’interno della autovettura in uso
all’indagato, dimostrative della consapevole partecipazione del medesimo sia
all’attività di spaccio di sostanze stupefacenti cocaina e hashish, sia al gruppo
capeggiato da Spina Guido. Il Tribunale ha quindi ritenuto integrata la
circostanza aggravante ex art. 7 L. n. 203/1991, ritenendo non credibile che
Leto avesse potuto ingenuamente o incolpevolmente ignorare il ruolo mafioso
dello Spina e del contesto socio criminale in cui questi operava come esponente
di vertice. Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ha stimato corretta
l’applicazione della misura di maggior rigore, stante il difetto di elementi concreti
suscettibili di superare della presunzione delineata nell’art. 275, comma 3, cod.
proc. pen.

2

.

2. Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso ex art. 311 cod. proc. pen.
l’avv. Angelo Formuso, difensore di fiducia di Leto Giuseppe, che ne ha chiesto
l’annullamento per i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 292, 125, comma 2, 309 cod.
proc. pen., per avere il Tribunale confermato il provvedimento coercitivo
impugnato riportando pedissequamente il testo dell’ordinanza applicativa con la
tecnica “copia incolla”, con ciò integrando un difetto assoluto di motivazione.
2.2. Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309/1990, 110 cod. pen., 7 L. n. 203/1991,
125, comma 2, 191, 192 e 273 cod. proc. pen., per avere il Tribunale
confermato il giudizio di gravità indiziarla in relazione ai reati di cui ai capi 15) e
16). A sostegno dei censurati vizi, il ricorrente evidenzia: a) che il Collegio non
ha enucleato il ruolo specifico ricoperto dall’assistito in seno al gruppo criminale;
b) che l’imputazione è del tutto indeterminata, non essendo contestato nessun
episodio specifico e circostanziato in modo idoneo da consentire una adeguata
difesa; c) che il Tribunale ha argomentato l’esistenza dell’organizzazione
criminale e l’adesione dell’indagato alla stessa in modo assolutamente apodittico,
non potendo in ogni caso ritenersi dimostrata l’affectio societatis alla luce del
contenuto della conversazione intercettata in data 16 febbraio 2012.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla circostanza
aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203/1991 in relazione ad entrambe le
contestazioni sub capi 15) e 16), per avere il Tribunale ritenuto integrata
l’aggravante in parola argomentando in ordine alla posizione del coindagato
Spina – in particolare, dando atto delle dichiarazioni rese dai collaboratori di
giustizia – e non in merito alla specifica posizione del Leto, rispetto alla quale ha
svolto una motivazione solo logica in merito alla colpevole ignoranza del ruolo
mafioso ricoperto dal coindagato.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 73, 74,
80, comma 2, d.P.R. n. 309/1990 in relazione ad entrambe le contestazioni sub
capi 15) e 16), per avere il Tribunale ritenuto sussistente l’ingente quantità
dello stupefacente sebbene non siano conoscibili i dati ponderali e qualitativi
delle sostanze stupefacenti in ipotesi commerciate dall’indagato.

3.

Il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato

inammissibile.

3

r

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Infondato è il primo motivo con il quale il ricorrente ha eccepito il difetto
assoluto di motivazione per avere il Tribunale del riesame riportato
pedissequamente il contenuto della ordinanza coercitiva genetica.
1.1. In linea generale, deve essere premesso che la compilazione della
motivazione del provvedimento mediante la censurata tecnica del cd. “copia e
incolla” – operazione resa possibile dalla moderna tecnologia informatica – si
per relationem,

laddove l’atto, anziché essere richiamato, viene testualmente trascritto nel
provvedimento che lo “richiama”.
Al fine di appurare se il giudice della impugnazione abbia o meno assolto
all’obbligo di motivazione è, dunque, necessario verificare se, nel provvedimento
confermativo della decisione assunta dal primo giudice, il tenore di questa sia
stato pedissequamente riprodotto senza alcuna autonoma valutazione critica così da integrare una motivazione solo apparente e dunque nella sostanza
radicamente omessa -, ovvero se, nonostante il richiamo o la trascrizione integrale o parziale – della motivazione della sentenza appellata, possano
ravvisarsi i presupposti per la cd. motivazione per relationem ammessa dalla
giurisprudenza di legittimità a determinate condizioni.
A tale proposito, deve invero essere rammentato che, come questa Corte ha
avuto modo di chiarire in diverse occasione, pronunciandosi anche a Sezioni
Unite, la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da
considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice
rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua
rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione;
2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto
sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e
ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga
allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto
dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda
attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di
gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o
dell’impugnazione (Cass. Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera e altri, Rv.
216664).
Sulla scorta di tali condivisibili principi, al fine adempiere l’obbligo di
motivazione, il giudice della impugnazione non può limitarsi a riprodurre
integralmente il testo della decisione oggetto di ricorso, ma deve farsi carico di
argomentare sulle specifiche censure dedotte con l’atto d’impugnazione con
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traduce, nella sostanza, nella redazione di una motivazione

autonome considerazioni critiche e di esternare le ragioni logiche che lo hanno
portato a ritenere le stesse infondate; diversamente opinando ne risulterebbe
compromessa la natura di organo d’impugnazione, chiamato ad operare un
controllo di secondo grado di legittimità e di merito sulla decisione di primo
grado. Come questa Corte regolatrice ha difatti chiarito, la sentenza di appello
confermativa della decisione di primo grado è viziata per carenza di motivazione
se si limita a riprodurre la decisione confermata dichiarando in termini apodittici
e stereotipati di aderirvi, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione

senza argomentare sull’inconsistenza o sulla non pertinenza degli stessi, non
potendosi in tal caso evocare lo schema della motivazione “per relationem”
(Cass. Sez. 6, n. 49754 del 21/11/2012, Casulli e altri, Rv. 254102).
Ne discende che, allorchè il provvedimento di secondo grado si limiti a
riprodurre pedissequamente il contenuto della decisione impugnata, senza dare
conto degli specifici motivi di impugnazione a censura delle soluzioni adottate dal
giudice di primo grado e senza argomentare sull’inconsistenza o sulla non
pertinenza degli stessi, l’apparato argomentativo, pur formalmente presente,
deve ritenersi nella sostanza meramente apparente, integrando una radicale
carenza di motivazione.
1.2.

Fissati tali paletti ermeneutici, ritiene il Collegio che il Tribunale

palermitano, seppure ha riportato alla lettera ampi stralci del provvedimento
impugnato, abbia, nondimeno, dato conto delle doglianze mosse nel ricorso e
quindi fornito una risposta del tutto autonoma rispetto alle considerazioni già
svolte dal primo giudice. Ne discende che la motivazione del provvedimento in
verifica non può ritenersi omessa né solo apparente, laddove risponde alle
censure dedotte con il ricorso ex art. 309 cod. proc. pen. con argomentazioni
diverse ed autonome da quelle già fornite dal primo giudice, in relazione ad
entrambe le incolpazioni poste a base del provvedimento coercitivo emesso nei
confronti di Leto Giuseppe, e dunque assolve allo specifico compito cui è
chiamato il giudice della impugnazione.

2. Il secondo motivo è inammissibile in quanto si fonda su argomentazioni

tutte sul piano del merito, è volto a sollecitare una diversa valutazione delle
risultanze delle indagini ed, in effetti, non deduce nessuno dei vizi deducibili
innanzi a questo giudice di legittimità. Esula, infatti, dai poteri della Corte di
legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice di merito,
senza che possa integrare un vizio di legittimità la mera prospettazione di una
diversa – e per il ricorrente più adeguata – valutazione delle risultanze
5

che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado e

processuali (ex plurimis Cass. Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099;
Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Rv. 236893).
D’altronde, il Collegio della impugnazione cautelare ha dato conto – con
una motivazione puntuale e conforme a logica, pertanto non sindacabile nella
sede di legittimità – delle ragioni per le quali, dal compendio investigativo ed, in
particolare, dagli esiti delle captazioni e delle operazioni di P.G., emergano gravi
indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione di Leto sia al traffico di

3. Quanto poi alla eccepita indeterminatezza delle contestazioni provvisorie
(sia quanto alle violazioni dell’art. 73 d.P.R.n. 309/1990, sia quanto al ruolo di
Leto in seno al consorzio criminale), deve essere rammentato come, secondo i
principi espressi da questa Corte, nei provvedimenti cautelari personali, in tema
di contestazione dell’accusa, si deve aver riguardo alla specificazione del fatto
che non può considerarsi insufficiente o inidonea quando l’indagato sia stato
posto in grado di comprendere i termini, in linea di fatto, dell’accusa, senza
alcuna compromissione del suo diritto di predisporre un’adeguata e congrua
difesa (Cass. Sez. 1, n. 1700 del 20/03/1998, Barbaro e altri, Rv. 210564).
D’altra parte, ai fini della validità dell’ordinanza che disponga una misura
cautelare, il requisito della descrizione sommaria del fatto non deve
necessariamente essere formalizzato in un autonomo capo di imputazione, a
condizione che risulti in modo inequivocabile, e sin dal momento dell’emissione,
dal contesto del provvedimento, in quanto funzionale all’esigenza dell’indagato di
difendersi mediante il confronto tra i fatti contestati e la valenza indiziaria degli
elementi posti a sostegno della misura (Cass. Sez. 5, n. 15134 del 07/03/2007,
Milano Rv. 236148).
Ora, i fatti oggetto di contestazione cautelare nei confronti di Leto Giuseppe
non solo sono adeguatamente delineati nei capi d’imputazione, ma sono meglio
precisati nel corpo dell’intero provvedimento, così che non è seriamente
sostenibile che il ricorrente non abbia avuto modo di conoscere i fatti di cui è
accusato e di dispiegare una compiuta difesa.

4. Anche il motivo con il quale il ricorrente contesta il vizio di motivazione in
ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’art. 7 L. n.
203/1991 è infondato e deve essere rigettato.
4.1. Giova rammentare che, secondo i consolidati principi espressi da
questa Corte regolatrice, la circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.lgs n. 152
del 1991, convertito nella legge n. 203 del 1991 – integrata dalla finalità di
agevolare l’associazione di tipo mafioso – ha natura oggettiva e si trasmette,
6

stupefacenti, sia alla consorteria criminale capeggiata da Spina Guido.

pertanto, a tutti i concorrenti nel reato, di guisa che è sufficiente che l’aspetto
volitivo – espresso nella norma con il riferimento al “fine di agevolare”
l’associazione mafiosa – sussista in capo ad alcuni, o anche ad uno soltanto, dei
predetti concorrenti nel medesimo reato (Cass. Sez. 5, n. 10966 del
08/11/2012, Minniti, Rv. 255206). Ancora, questa Corte ha affermato che la
circostanza aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203 del 1991 è applicabile ai
concorrenti nel delitto anche quando questi ultimi non siano consapevoli della
finalizzazione dell’azione delittuosa a vantaggio di un’associazione di stampo

3428 del 20/12/2012, Buonanno e altro, Rv. 254776; Cass. Sez. 6 n. 24025 del
30/05/2013).
4.2. A tali condivisibili coordinate ermeneutiche si è attenuto il Tribunale del
riesame laddove, richiamato l’insegnamento di questa Corte di cassazione, ha
correttamente concluso che sulla base delle risultanze obbiettive delle
investigazioni – visti i rapporti diretti con l’esponente di vertice della consorteria
Spina Guido, che non nascondeva ed anzi faceva mostra della caratura
“mafiosa”, ed il contesto socio criminale in cui il ricorrente operava – Leto non
potesse non essere edotto della finalizzazione dell’attività di spaccio a
consolidare la posizione egemonica del gruppo criminale nel commercio illecito o
che, comunque, abbia ignorato tale circostanza per ignoranza evitabile o
sostanzialmente colpevole.

5. L’ultimo motivo di ricorso, con il quale si è dedotto il vizio di motivazione
in relazione alla ritenuta integrazione della circostanza aggravante dell’art. 80,
comma 2, d.P.R. n. 309/1990, è fondato, ma fa difetto un concreto interesse del
ricorrente ad ottenere una pronuncia di annullamento sul punto.
5.1. Giova rammentare che, secondo i principi affermati da questa Corte di
cassazione, in materia di reati concernenti le sostanze stupefacenti, la
circostanza aggravante della quantità ingente di cui all’art. 80 d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309, deve ritenersi sussistente quando, pur non raggiungendo valori
massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di
un rilevante numero di tossicodipendenti, secondo l’apprezzamento del giudice di
merito al quale spetta la valutazione in fatto, senza ulteriore riferimento al
mercato ed alla sua eventuale saturazione, trattandosi di un elemento di
valutazione non richiesto dalla norma e comunque di difficile accertamento, data
la sua natura clandestina e l’impossibilità di disporre, al riguardo, di dati certi e
verificabili (Cass. Sez. 6, n. 7254 del 19/10/2004, Cusumano ed altri, Rv.
231313). La circostanza aggravante speciale dell’ingente quantità di sostanza
stupefacente prevista dall’art. 80, comma secondo, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309,
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mafioso, ma versino in una situazione di ignoranza colpevole (Cass. Sez. 2, n.

ricorre ogni qualvolta il quantitativo di sostanza è idoneo a soddisfare le esigenze
di un elevato numero di consumatori per un notevole lasso di tempo (Cass. Sez.
1, n. 30288 del 08/06/2011, Rexhepi e altri, Rv. 250799).
Chiamata a meglio circostanziare i termini quantitativi dell’aggravante de
qua, di recente, questa Corte regolatrice a Sezioni Unite ha chiarito che, in tema
di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, l’aggravante
della ingente quantità, di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990,
non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore

tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale
valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata (Cass. Sez.
U, n. 36258 del 24/05/2012, P.G. e Biondi, Rv. 253150).
5.2. Orbene, di tali condivisibili principi non ha tenuto conto il Tribunale

siciliano laddove ha ritenuto integrata la circostanza aggravante in parola senza
circostanziare in modo preciso il superamento del valore – soglia fissato da
questo giudice di legittimità come condicio sine qua non ai fini della ravvisabilità
dell’aggravante.
Ferma la delineata inadeguatezza dell’apparato argomentativo a sostegno
della ritenuta circostanza aggravante in oggetto, il Collegio deve nondimeno
porre in risalto come non sussista nessun concreto interesse ad annullare
l’ordinanza impugnata sul punto.
Ed invero, ravvisata la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art.
7 L. n. 203/1991, l’eventuale rimozione – all’esito del giudizio di rinvio – della
circostanza aggravante dell’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309/1990 non
produrrebbe, di per sé, nessun riverbero sulla persistenza della misura cautelare
in atto, né sulla durata dei termini di custodia cautelare (comunque condizionati
dalla ravvisata sussistenza della citata circostanza aggravante dell’art. 7), né
sulla cornice della contestazione nel futuro giudizio di merito, stante la completa
autonomia delle valutazioni del pubblico ministero in sede di richiesta di rinvio a
giudizio rispetto alle sorti del procedimento incidentale de libertate. Come questa
Corte ha avuto modo di chiarire sul punto, anche a composizione allargata,
ferma la facoltà del giudice per le indagini preliminari, in sede di applicazione
della misura cautelare ai sensi dell’art. 292 cod. proc. pen., ed al tribunale, in
sede di riesame o di appello ai sensi degli artt. 309 e 310 cod. proc. pen., di
modificare la qualificazione giuridica data dal pubblico ministero al fatto per cui si
procede, ciò non incide sull’autonomo potere di iniziativa del pubblico ministero,
atteso che l’eventuale correzione del nomen iuris non può avere effetti oltre il
procedimento incidentale) (Cass. Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco,
Rv. 205617).
8

massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella

Si possono dunque richiamare i principi già espresso da questa Corte
secondo cui, in tema di impugnazioni avverso misure cautelari personali, vi è
carenza di interesse sia al riesame che al ricorso per cassazione quando, con
essi, l’indagato tenda ad ottenere una diversa qualificazione giuridica del fatto
dalla quale non consegua, per lui, alcuna concreta utilità. (In motivazione la
Corte ha chiarito che difetta l’utilità quando il mutamento invocato non incide
sulla possibilità di adottare o mantenere la misura e che si deve tenere conto del
fatto che, comunque, il potere di riqualificazione giuridica riconosciuto al Gip e al

corso. Nella fattispecie era stata chiesta in sede di riesame la qualificazione dei
fatti come truffa aggravata ex art. 640 comma secondo n. 2 cod. pen. anziché
come furto ex art. 624 bis, 625 comma secondo n. 2 cod. pen. e la Corte, nel
dichiarare inammissibile il ricorso, ha anche evidenziato che la diversa durata dei
termini di custodia cautelare dipendenti dalla qualificazione del fatto non integra
l’interesse al gravame, che deve essere attuale e concreto) (Cass. Sez. 5, n.
45940 del 09/11/2005, Oberto, Rv. 233219; Cass. Sez. 6, n. 50980 del
21/11/2013, Fabricino Rv. 258502).

6. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma il 17 dicembre 2014

Il consigliere estensore

Il Presidente

Tribunale del riesame non produce effetti oltre il procedimento incidentale in

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