Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4326 del 10/12/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 4326 Anno 2015
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANCINI ALDO N. IL 19/12/1957
avverso l’ordinanza n. 1540/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 15/05/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. STEFANO MOGINI;
lett&sentite le conclusioni del PG Dott. gee’eX,

UditoiedifensoreAvv.f&efiLoA4t<2,ia " i brtf,a, cka, gw. ifLteAatto i vu- -(2) • 9 euduage 0ta, o ("/ ,‹fro Data Udienza: 10/12/2014 RITENUTO IN FATTO 1. Aldo Mancini ricorre avverso l'ordinanza con la quale, in data 15 maggio 2014, il Tribunale del Riesame di Catanzaro ha accolto l'appello proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza, emessa il 21 dicembre 2013 dal giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Catanzaro, di revoca della misura cautelare della custodia in carcere - a suo riformato il provvedimento del G.U.P. applicando al ricorrente la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Il provvedimento del G.U.P. interveniva dopo la sentenza emessa in data 16 dicembre 2013, ad esito di giudizio abbreviato, dallo stesso giudice, con la quale il ricorrente era stato assolto dal delitto associativo e da due ulteriori imputazioni relative a fatti di spaccio, e condannato alla pena di anni tre, mesi sei e giorni venti di reclusione per plurime cessioni di stupefacenti. 2. Il ricorrente, a mezzo del suo difensore, censura l'impugnata ordinanza lamentando violazione di legge e mancanza e illogicita' di motivazione con riferimento alla ritenuta perdurante sussistenza di esigenze cautelari da soddisfare mediante l'applicazione della misura dell'obbligo di presentazione alla p.g., nonostante la sentenza del G.U.P. rechi assoluzione piena del ricorrente dal reato associativo e da due condotte di spaccio, mentre quelle residue per le quali e' intervenuta condanna si riferiscono a episodi lontani nel tempo (commessi nel 2009-2010) e relativi a cessioni di lieve entita'. Il Tribunale avrebbe inoltre omesso di considerare l'assenza a carico del ricorrente di significativi precedenti e di collegamenti criminosi nel periodo intercorrente tra i fatti contestati e l'applicazione della misura, la durata del presofferto e della pena concretamente inflitta, il buon comportamento tenuto nel corso dell'applicazione delle misure cautelari, in tal modo determinando l'irrazionalita' dell'apparato motivazionale dell'impugnata ordinanza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto nell'interesse di Aldo Mancini merita accoglimento, essendo basato su motivi di censura assistiti da fondamento nei termini e nei limiti appresso illustrati. Con la conseguenza che l'impugnata ordinanza del Tribunale di Catanzaro deve essere annullata con rinvio degli atti allo stesso Tribunale perche' proceda a nuovo giudizio sulla posizione della ricorrente. tempo applicata al ricorrente relativamente a reati di cui agli articoli 74 e 73 I.s. — ed ha 2. Il Tribunale, richiamandosi alla giurisprudenza di legittimita', ha chiarito come la sopravvenuta sentenza di condanna del ricorrente in primo grado costituisca in ogni caso un fatto "nuovo", che impone una rilettura della permanenza e/o stabilita' del compendio delle esigenze cautelari, potendo quel fatto modificare anche in radice l'intensita' e la rilevanza dei pericula libertatis riferibili all'imputato (Sez. 6, 19.1.2005 n. 14223, Strisciuglio; Sez. 6, 17.4.2012, citata dallo stesso Tribunale). Un fatto nuovo che, come sentenza di condanna) e' in grado di dispiegare effetti, potendo essere espressione di un significativo mutamento dello scenario delle esigenze socialpreventive apprezzate all'inizio del trattamento cautelare (cfr. Sez. 6, 12.3.2003 n. 30582, Zavettieri; Sez. 1, 11.12.2008 n. 14904/2009, Genovese; Sez. 6, 16.7.2010 n. 32408, Virtug. 3. Nondimeno il Tribunale ha sviluppato un'analisi della "nuova" situazione delle esigenze cautelari riferibili al ricorrente incoerente o elusiva rispetto alla corretta premessa giuridica enunciata in limine della rilettura delle emergenze attinenti a quelle esigenze. La rivisitazione degli elementi che il Tribunale ha valutato tuttora sussistenti e tali da sorreggere un contesto di esigenze cautelari ancora meritevole di una misura cautelare, benche' non custodiale, si mostra, infatti, lacunosa e non del tutto aderente ai dati conoscitivi offerti dal giudizio di primo grado definito nei confronti dell'imputato, la cui perdurante pericolosita' sociale (possibile recidiva criminosa) finisce per trasfondersi in esiti decisori dell'appello cautelare proposto dal p.m. evocativi di un'impropria autoevidenza probatoria e, sotto piu' profili, meramente assertivi. 3.1. Da un lato, se non puo' accedersi alla tesi enunciata in ricorso che omologa per intero la cognizione della regiudicanda cautelare del giudice di appello ex art. 310 cod. proc. pen. a quella del giudice del riesame, poiche' mentre il riesame e' un mezzo di impugnazione totalmente devolutivo — avendo il giudice del riesame gli stessi poteri del giudice che ha emesso il provvedimento cautelare impugnato - la cognizione del giudice adito ai sensi dell'art. 310 cod. proc. pen. e' pur sempre limitata ai punti e ai temi cui si riferiscono i motivi di gravame, deve ribadirsi come tale cognizione non sia condizionata dalle deduzioni in fatto e dagli argomenti giuridici posti a base della decisione impugnata (nel caso di specie l'ordinanza del giudice di merito che ha revocato la misura cautelare carceraria). Nel senso che, se il thema decidendum rimane circoscritto nei confini dell'effetto devolutivo del gravame (cioe' ai peculiari motivi di impugnazione), l'orizzonte conoscitivo del giudice di appello (cautelare o di merito) investe il fatto nella sua interezza. Cosicche', in 2 osserva il Tribunale, induce una rivisitazione dei dati sui quali quel medesimo fatto (la quanto investito della cognizione piena del fatto anche se limitata ai punti in contestazione, il giudice dell'appello cautelare non e' vincolato - ai fini della decisione - dalla motivazione del provvedimento impugnato, disponendo di un potere di integrazione e sostituzione di tale motivazione alla luce di una nuova, autonoma lettura dei fatti integranti la regiudicanda cautelare (ex multis: Sez. 1, 10.6.2009 n. 27677, Genchi; Sez. 3, 9.6.2010 n. 28253, rv 248135; Sez. 4, 8.1.2013 n. 9159, rv 254935; Sez. 1, 29.4.2010, n. 19992, Brega conseguente alla violazione del principio di devoluzione parziale, ove prenda in esame il punto della sussistenza di esigenze cautelari nella sua interezza, al di la' delle specifiche esigenze che nell'atto di appello siano state indicate come oggetto di erronea valutazione"). In tale cornice referenziale il Tribunale di Catanzaro si e' limitato a riprendere e a far proprie le argomentazioni dell'appellante p.m. in tema di immutata persistenza delle esigenze cautelari ancora legittimanti una misura cautelare, senza compiere - al di la' di una contraddittoria enunciazione dei connotati di rilevanza assegnati alla pericolosita' dell'imputato - una reale rilettura del novum processuale creatosi con l'avvenuta decisione di merito di primo grado. I giudici di appello considerano dato non dirimente il tempo trascorso dalla commissione dei reati e dalla esecuzione della iniziale misura carceraria, che il giudice di merito avrebbe valorizzato per revocare la misura applicata all'imputato. Ora, se e' corretto ritenere che il venir meno o l'affievolirsi delle esigenze cautelari non possono desumersi dal solo decorso del tempo (dai reati e/o dall'inizio della custodia cautelare), occorendo vagliare ulteriori elementi sintomatici del mutare della situazione apprezzata al momento dell'originaria applicazione della misura (per tutte, da ultimo: Sez. 2, 9.10.2013 n. 1858/14, Scalamana), non puo' non constatarsi che il Tribunale ha incongruamente misconosciuto il collegamento operato dal giudice di merito tra il detto elemento temporale e gli esiti della sentenza di primo grado, nella parte in cui ha mandato assolto l'imputato (tutti gli imputati) dal piu' grave dei delitti a lui contestati, rappresentato dalla associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, ritenuta inesistente nella sua stessa struttura ontologica. Merita aggiungere, del resto, che ai fini della valutazione del pericolo che l'imputato commetta altri delitti della stessa specie il requisito della concretezza non si identifica con quello dell'attualita', derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, ma con quello dell'esistenza di concreti elementi sulla base dei quali e' possibile affermare che l'imputato possa commettere delitti della stessa specie di quelli per cui si procede (Sez. 6, 5.4.2013 n. 28618, Vignali). Elementi concreti che il Tribunale non individualizza nei confronti del ricorrente. 3 Massone: "Il giudice dell'appello cautelare non incorre nel vizio di ultrapetizione, 3.2. Da un altro lato, il Tribunale nell'affermare la irrilevanza del descritto elemento di "novita" attribuisce all'ordinanza del g.u.p. appellata dal p.m. e alla stessa difesa la mancata enunciazione di elementi atti a modificare il quadro delle esigenze cautelari, ma si astiene dall'esporre in termini rigorosamente attinenti alla specifica posizione processuale dell'odierno ricorrente le puntuali ragioni che in concreto conducono Esposizione che, nella segnalata latitudine della cognizione ex art. 310 cod. proc. pen. (giudice dell'appello cautelare quale giudice del fatto nei limiti della devoluzione), il Tribunale aveva l'onere di rendere esplicita in modo specifico a sostegno della persistenza delle ragioni giustificanti la misura della custodia in carcere e della loro attualita'. Cio' il Tribunale non ha fatto, appagandosi di una motivazione standardizzata e generalizzante (ove non generica), uguale per tutti gli appelli cautelari del p.m., tralasciando di personalizzare il giudizio di pericolosita' che attinge ciascun imputato. Non basta. Il sommario giudizio di carattere pluricomprensivo di tutte le posizioni processuali reca tracce palesi della contraddittorieta' e illogicita' denunciate dal ricorrente. E' facile rilevare, infatti, che il giudizio formulato dal Tribunale per tutti gli imputati impernia la sfavorevole prognosi comportamentale espressa per ogni imputato su elementi di fatto e su circostanze non soltanto non desumibili dalla sentenza di merito di primo grado, ma rivenienti dal risalente provvedimento cautelare genetico del 20.9.2012 (che pure lo stesso Tribunale, quale giudice del riesame, aveva annullato proprio con riferimento al reato plurisoggettivo ex art. 74 I.s.), in tal modo "recuperando" fonti di giudizio contraddette dall'esito del giudizio di primo grado. In altre parole il Tribunale fa surrettiziamente rivivere, riutilizzandoli in modo distonico pur avendo perso il loro peso all'esito del giudizio di merito, piu' dati ed evenienze suscettibili di apprezzamento per fini di prova - in ipotesi - della adesione ad un sodalizio criminoso stabilmente dedito allo spaccio di stupefacenti. Cioe' ad un contesto referenziale vanificato dalla sopravvenuta decisione di merito che ha prosciolto il ricorrente e tutti gli altri coimputati dal reato di cui all'art. 74 I.s.. La qual cosa finisce per rendere la motivazione dell'impugnata decisione del giudice dell'appello cautelare intimamente contraddittoria e illogica. Alla luce di quanto fin qui esposto si rende necessario, in conclusione, l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio degli atti al Tribunale di Catanzaro perche', in coerente applicazione dei principi di diritto dettati dalle richiamate decisioni di legittimita', proceda a nuovo esame sui punti e profili critici segnalati, anche con riferimento 4 ad escludere la variazione delle esigenze cautelari che individualmente lo riguardano. alle specifiche censure enunciate dal ricorrente, colmando - nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito - le indicate lacune e discrasie della motivazione. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Cosi' deciso in Roma, il 10 dicembre 2014 Il Componente estensore Catanzaro.

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