Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4325 del 10/12/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 4325 Anno 2015
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BEVILACQUA ROMINA N. IL 21/12/1974
avverso l’ordinanza n. 1538/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 03/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. STEFANO MOGal
1,Me/sentite le conclusioni del PG Dott. étoefeest.to

Data Udienza: 10/12/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Romina Bevilacqua ricorre per mezzo del suo difensore avverso l’ordinanza

con la quale, in data 3 aprile 2014, il Tribunale del Riesame di Catanzaro ha accolto l’appello
proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza, emessa il 20 dicembre 2013 dal giudice
dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Catanzaro, sostitutiva della misura cautelare

agli articoli 74 e 73 I.s. – con quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Il
provvedimento del G.U.P. era intervenuto dopo la sentenza emessa in data 16 dicembre
2013, ad esito di giudizio abbreviato, dallo stesso giudice, con la quale la ricorrente era
stata assolta dal delitto associativo e condannata alla pena di anni quattro e mesi otto di
reclusione per plurime cessioni di stupefacenti.

La ricorrente censura l’impugnata ordinanza lamentando violazione di legge e
mancanza e illogicita’ di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza di esigenze
cautelari tali da determinare la necessita’ del mantenimento della misura di massimo rigore,
nonostante la sentenza del G.U.P. rechi assoluzione piena dal reato associativo e conceda a
tutti gli imputati le attenuanti generiche poiche’ non sono state verificate le quantita’ di
stupefacente oggetto di cessione. Il G.U.P. avrebbe quindi correttamente sostituito la misura
cautelare massima con quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria alla luce
dell’intervenuta assoluzione dal reato associativo, della risalenza nel tempo delle condotte di
spaccio per le quali e’ intervenuta condanna (commesse nel periodo 2007-2011), del
presofferto (un anno e due mesi) e della pena concretamente inflitta (pari a quattro anni e
otto mesi di reclusione). Al contrario, il Tribunale della Liberta’ avrebbe omesso di
considerare tali elementi, in tal modo determinando l’irrazionalita’ dell’apparato
motivazionale dell’impugnata ordinanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto nell’interesse di Romina Bevilacqua merita accoglimento,

essendo basato su motivi di censura assistiti da fondamento nei termini e nei limiti appresso
illustrati. Con la conseguenza che l’impugnata ordinanza del Tribunale di Catanzaro deve
essere annullata con rinvio degli atti allo stesso Tribunale perche’ proceda a nuovo giudizio
sulla posizione della ricorrente.

della custodia in carcere – a suo tempo applicata alla ricorrente relativamente a reati di cui

2. Il Tribunale, richiamandosi alla giurisprudenza di legittimita’, ha chiarito come
la sopravvenuta sentenza di condanna della ricorrente in primo grado costituisca in ogni
caso un fatto “nuovo”, che impone una rilettura della permanenza e/o stabilita’ del
compendio delle esigenze cautelari, potendo quel fatto modificare anche in radice l’intensita’
e la rilevanza dei pericula libertatis riferibili all’imputata (Sez. 6, 19.1.2005 n. 14223,
Strisciuglio; Sez. 6, 17.4.2012, citata dallo stesso Tribunale). Un fatto nuovo che, come

sentenza di condanna) e’ in grado di dispiegare effetti, potendo essere espressione di un
significativo mutamento dello scenario delle esigenze socialpreventive apprezzate all’inizio
del trattamento cautelare (cfr. Sez. 6, 12.3.2003 n. 30582, Zavettieri; Sez. 1, 11.12.2008
n. 14904/2009, Genovese; Sez. 6, 16.7.2010 n. 32408, Virtug.

3. Nondimeno il Tribunale ha sviluppato un’analisi della “nuova” situazione delle
esigenze cautelari riferibili alla ricorrente incoerente o elusiva rispetto alla corretta premessa
giuridica enunciata in limine della rilettura delle emergenze attinenti a quelle esigenze. La
rivisitazione degli elementi che il Tribunale ha valutato tuttora sussistenti e tali da
sorreggere un contesto di esigenze cautelari ancora meritevole della massima misura
cautelare si mostra, infatti, lacunosa e non del tutto aderente ai dati conoscitivi offerti dal
giudizio di primo grado definito nei confronti dell’imputata, la cui perdurante pericolosita’
sociale (possibile recidiva criminosa) finisce per trasfondersi in esiti decisori dell’appello
cautelare proposto dal p.m. evocativi di un’impropria autoevidenza probatoria e, sotto piu’
profili, meramente essertivi.

3.1. Da un lato, se non puo’ accedersi alla tesi enunciata in ricorso che omologa
per intero la cognizione della regiudicanda cautelare del giudice di appello ex art. 310 cod.
proc. pen. a quella del giudice del riesame, poiche’ mentre il riesame e’ un mezzo di
impugnazione totalmente devolutivo — avendo il giudice del riesame gli stessi poteri del
giudice che ha emesso il provvedimento cautelare impugnato – la cognizione del giudice
adito ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. e’ pur sempre limitata ai punti e ai temi cui si
riferiscono i motivi di gravame, deve ribadirsi come tale cognizione non sia condizionata
dalle deduzioni in fatto e dagli argomenti giuridici posti a base della decisione impugnata
(nel caso di specie l’ordinanza del giudice di merito sostitutiva della misura cautelare
carceraria). Nel senso che, se il thema decidendum rimane circoscritto nei confini dell’effetto
devolutivo del gravame (cioe’ ai peculiari motivi di impugnazione), l’orizzonte conoscitivo del
giudice dì appello (cautelare o di merito) investe il fatto nella sua interezza. Cosicche’, in

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osserva il Tribunale, induce una rivisitazione dei dati sui quali quel medesimo fatto (la

quanto investito della cognizione piena del fatto anche se limitata ai punti in contestazione,
il giudice dell’appello cautelare non e’ vincolato – ai fini della decisione – dalla motivazione
del provvedimento impugnato, disponendo di un potere di integrazione e sostituzione di tale
motivazione alla luce di una nuova, autonoma lettura dei fatti integranti la regiudicanda
cautelare (ex multis: Sez. 1, 10.6.2009 n. 27677, Genchi; Sez. 3, 9.6.2010 n. 28253, rv
248135; Sez. 4, 8.1.2013 n. 9159, rv 254935; Sez. 1, 29.4.2010, n. 19992, Brega

conseguente alla violazione del principio di devoluzione parziale, ove prenda in esame il
punto della sussistenza di esigenze cautelari nella sua interezza, al di la’ delle specifiche
esigenze che nell’atto di appello siano state indicate come oggetto di erronea valutazione”).
In tale cornice referenziale il Tribunale di Catanzaro si e’ limitato a riprendere e a
far proprie le argomentazioni dell’appellante p.m. in tema di immutata persistenza delle
esigenze cautelari legittimanti la custodia in carcere, senza compiere – al di la’ di una
contraddittoria enunciazione dei connotati di rilevanza assegnati alla pericolosita’
dell’imputata – una reale rilettura del novum processuale creatosi con l’avvenuta decisione
di merito di primo grado.
I giudici di appello considerano dato non dirimente il tempo trascorso dalla
commissione dei reati e dalla esecuzione della iniziale misura carceraria, che il giudice di
merito avrebbe valorizzato per sostituire la misura applicata all’imputata. Ora, se e’ corretto
ritenere che il venir meno o l’affievolirsi delle esigenze cautelari non possono desumersi dal
solo decorso del tempo (dai reati e/o dall’inizio della custodia cautelare), occorendo vagliare
ulteriori elementi sintomatici del mutare della situazione apprezzata al momento
dell’originaria applicazione della misura (per tutte, da ultimo: Sez. 2, 9.10.2013 n. 1858/14,
Scalamana), non puo’ non constatarsi che il Tribunale ha incongruamente misconosciuto il
collegamento operato dal giudice di merito tra il detto elemento temporale e gli esiti della
sentenza di primo grado, nella parte in cui ha mandato assolta l’imputata (tutti gli imputati)
dal piu’ grave dei delitti a lei contestati, rappresentato dalla associazione per delinquere
finalizzata al traffico di stupefacenti, ritenuta inesistente nella sua stessa struttura
ontologica. Merita aggiungere, del resto, che ai fini della valutazione del pericolo che
l’imputata commetta altri delitti della stessa specie il requisito della concretezza non si
identifica con quello dell’attualita’, derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni
prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, ma con quello dell’esistenza di concreti
elementi sulla base dei quali e’ possibile affermare che l’imputato possa commettere delitti
della stessa specie di quelli per cui si procede (Sez. 6, 5.4.2013 n. 28618, Vignali). Elementi
concreti che il Tribunale non individualizza nei confronti della ricorrente.

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Massone: “Il giudice dell’appello cautelare non incorre nel vizio di ultrapetizione,

3.2. Da un altro lato, il Tribunale nell’affermare la irrilevanza del descritto

elemento di “novita” attribuisce all’ordinanza del g.u.p. appellata dal p.m. e alla stessa
difesa la mancata enunciazione di elementi atti a modificare il quadro delle esigenze
cautelari, ma si astiene dall’esporre in termini rigorosamente attinenti alla specifica
posizione processuale dell’odierna ricorrente le puntuali ragioni che in concreto conducono
ad escludere la variazione delle esigenze cautelari che individualmente la riguardano.

(giudice dell’appello cautelare quale giudice del fatto nei limiti della devoluzione), il
Tribunale aveva l’onere di rendere esplicita in modo specifico a sostegno della persistenza
delle ragioni giustificanti la misura della custodia in carcere e della loro attualita’.
Cio’ il Tribunale non ha fatto, appagandosi di una motivazione standardizzata e
generalizzante (ove non generica), uguale per tutti gli appelli cautelari del p.m.,
tralasciando di personalizzare il giudizio di pericolosita’ che attinge ciascun imputato. Non
basta. Il sommario giudizio di carattere pluricomprensivo di tutte le posizioni processuali
reca tracce palesi della contraddittorieta’ e illogicita’ denunciate dalla ricorrente. E’ facile
rilevare, infatti, che il giudizio formulato dal Tribunale per tutti gli imputati impernia la
sfavorevole prognosi comportamentale espressa per ogni imputato su elementi di fatto e su
circostanze non soltanto non desumibili dalla sentenza di merito di primo grado (non
foss’altro perche’ le relative motivazioni non erano state depositate al momento della
decisione degli appelli cautelari), ma rivenienti dal risalente provvedimento cautelare
genetico del 20.9.2012 (che pure lo stesso Tribunale, quale giudice del riesame, aveva
annullato proprio con riferimento al reato plurisoggettivo ex art. 74 I.s.), in tal modo
“recuperando” fonti di giudizio contraddette dall’esito del giudizio di primo grado.
In altre parole il Tribunale fa surrettiziamente rivivere, riutilizzandoli in modo
distonico pur avendo perso il loro peso all’esito del giudizio di merito, piu’ dati ed evenienze
suscettibili di apprezzamento per fini di prova – in ipotesi – della adesione ad un sodalizio
criminoso stabilmente dedito allo spaccio di stupefacenti. Cioe’ ad un contesto referenziale
vanificato dalla sopravvenuta decisione di merito che ha prosciolto la ricorrente e tutti gli
altri coimputati dal reato di cui all’art. 74 I.s.. La qual cosa finisce per rendere la
motivazione dell’impugnata decisione del giudice dell’appello cautelare intimamente
contraddittoria e illogica.
Alla luce di quanto fin qui esposto si rende necessario, in conclusione,
l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio degli atti al Tribunale di Catanzaro
perche’, in coerente applicazione dei principi di diritto dettati dalle richiamate decisioni di
legittimita’, proceda a nuovo esame sui punti e profili critici segnalati, anche con riferimento

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Esposizione che, nella segnalata latitudine della cognizione ex art. 310 cod. proc. pen.

alle specifiche censure enunciate dalla ricorrente, colmando – nella piena autonomia dei
relativi apprezzamenti di merito – le indicate lacune e discrasie della motivazione.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di

Cosi’ deciso in Roma, il 10 dicembre 2014

Il Componente estensore

I Pr i den

Catanzaro.

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