Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4314 del 22/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4314 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CAMMINO MATILDE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ESPOSITO PASQUALE N. IL 21/05/1961
BORRELLI BERNARDO N. IL 26/12/1960
avverso la sentenza n. 422/2013 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE
di PESARO, del 19/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATILDE CAMMINO;

Data Udienza: 22/10/2013

Con sentenza in data 19 febbraio 2013 il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di
Pesaro applicava, su richiesta delle parti, ad Esposito Pasquale la pena di anni tre di reclusione ed
euro 2.000,00 di multa e a Borrelli Bernardo la pena di armi tre, mesi sei di reclusione ed euro
2.000,00 di multa in ordine ai reati di rapina aggravata, sequestro di persona e ricettazione loro
ascritti, commessi i primi due e accertato il terzo in Fano il 22 febbraio 2012, ritenuta la
continuazione, esclusa la recidiva per Borrelli e con le circostanze attenuanti generiche equivalenti

Avverso detta sentenza gli imputati hanno proposto, tramite i rispettivi difensori, separati
ricorsi per cassazione. Con il ricorso presentato nell’interesse dellTsposito si deduce la violazione
di legge e il difetto di motivazione in ordine al mancato proscioglimento ai sensi dell’art.129 c.p.p.
e in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di
prevalenza nonostante l’incensuratezza e la confessione. Con ricorso presentato nell’interesse del
Borrelli si deduce la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all’attribuibilità del
fatto all’imputato e alla correttezza della qualificazione giuridica.
I ricorsi sono inammissibili perché generici e, comunque, manifestamente infondati.
Il giudice di merito, nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato al contenuto
dell’accordo tra le parti e dall’altro ha escluso che ricorressero i presupposti dell’art. 129 c.p.p.,
facendo riferimento in particolare all’esame dei tabulati telefonici, alle dichiarazioni confessorie e
agli altri risultati delle indagini di polizia giudiziaria. Siffatta motivazione, avuto riguardo alla
speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare
pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante
giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. un. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. un. 27 settembre
1995, Serafino; Sez. un. 25 novembre 1998, Messina). Del resto, qualora l’imputato si limiti a
chiedere l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. senza dedurre alcun concreto elemento
probatorio a sua discolpa l’indagine sulla sussistenza di una delle ipotesi di proscioglimento
previste dall’art. 129 c.p.p., se negativamente risolta, non richiede uno specifico obbligo
motivazionale sul punto (Cass. sez. I 27 gennaio 1999, Forte; sez. Il 9 gennaio 1998 n.107,
Riflettore).
La correttezza della qualificazione giuridica, come risulta dalla motivazione, è stata oggetto
di positiva valutazione e, comunque, l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza deve
essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo
sulla pena si trasformi in accordo sui reati. mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa
qualificazione presenti margini di opinabilità (Cass. sez.VI 20 novembre 2008 n.45688, Bastea;
sez.III 23 ottobre 2007 n.44278, Benha; sez.VI 10 aprile 2003 n.32004, Valetta).

alle aggravanti e alla recidiva per l’Esposito, con la riduzione per il rito.

Quanto alla pena, la Corte rileva che nel ricorso per cassazione avverso sentenza che
applichi la pena nella misura patteggiata tra le parti non è ammissibile proporre motivi
concernenti la misura della pena, a meno che si versi in ipotesi di pena illegale. La richiesta di
applicazione della pena e l’adesione alla pena proposta dall’altra parte integrano, infatti, un
negozio di natura processuale che, una volta perfezionato con la ratifica del giudice che ne ha
accertato la correttezza, non è revocabile unilateralmente, sicché la parte che vi ha dato origine, o

sede di ricorso per cassazione, a sostenere tesi concernenti la congruità della pena, in contrasto
con l’impostazione dell’accordo al quale le parti processuali sono addivenute – (Cass. Sez.III
27marzo 2001 n.18735, Ciliberti).
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, alla luce dei
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di
colpa, si stima equo determinare in euro 1.500,00 ciascuno.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di euro 1.500,00.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2013

il cons. est.

vi ha aderito, così rinunciando a far valere le proprie difese ed eccezioni, non è legittimata, in

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