Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43081 del 27/05/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 43081 Anno 2016
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ARENA DOMENICO N. IL 15/04/1954
ARENA ROSARIO N. IL 22/12/1979
avverso l’ordinanza n. 2/2014 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 12/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 27/05/2016

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Reggio Calabria, con ordinanza emessa in data 12
febbraio 2015 (emessa a seguito di procedura partecipata, in riferimento a
quanto deciso da questa I Sezione con sentenza numero 1634 del 2015) ha, per
quanto qui rileva, respinto l’istanza di ricusazione proposta da Arena Domenico
(classe ’54) e Arena Rosario (classe ’79) nell’ambito del procedimento di
prevenzione n.170/2012 RG e relativa ad uno dei componenti del collegio
giudicante (la dott.ssa Alessandra Borselli), essendo venuta meno – per

componente.
In fatto, dal provvedimento risulta che :
a) con provvedimento emesso il 20 dicembre 2012 il Tribunale di Reggio Calabria
(composto anche dal giudice oggi ricusato) aveva applicato la misura di
prevenzione personale e patrimoniale nei confronti di Arena Domenico;
b) in tale procedimento vi era stata considerazione della posizione di Arena
Rosario (figlio di Domenico) in qualità di terzo intestatario di taluni beni ritenuti
riconducibili di fatto al padre Domenico e pertanto confiscati;
c) in seguito, è stata promossa nuova azione di prevenzione nei confronti, in via
diretta, di Arena Rosario – indicato quale portatore di pericolosità – nonchè nei
confronti di Arena Domenico, sub specie aggravamento della antecedente misura
personale, con proposta di confisca di ulteriori beni formalmente intestati ad
Arena Domenico ma ritenuti riconducibili ad Arena Rosario.
Nel valutare le prospettazioni difensive, tese ad evidenziare la ricorrenza
dell’ipotesi di cui all’art. 37 co.1 lett. b cod.proc.pen. per l’esistenza di
valutazioni emesse dal giudice – dott.ssa Borselli – sul medesimo fatto, sia pure
in diverso e antecedente procedimento, la Corte di Appello evidenzia, in sintesi,
che :
– nel corso del primo procedimento era emersa una circostanza di fatto
rappresentata dalla sospetta cessione – avvenuta nel giugno 2010 – di alcuni
titoli di credito AGEA, da parte di Domenico Arena alla ditta individuale del figlio
Rosario; tale comportamento viene posto come motivo di aggravamento in
danno del Domenico Arena e fonda la autonoma richiesta personale in danno del
figlio Rosario nel nuovo procedimento.
Quanto alla posizione di Domenico Arena la Corte di Appello osserva che, in tema
di prevenzione, la competenza in tema di aggravamento è «fisiologicamente»
riconosciuta (già ai sensi dell’art. 7 I.n.1423 del ’56) dallo stesso legislatore in
capo all’organo che ha emesso il primo provvedimento e pertanto nessuna
questione di incompatibilità o necessaria astensione può porsi in rapporto a tale

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intervenuta astensione – la necessità di verifica della posizione di altro

posizione, anche in virtù del fatto che per definizione l’aggravamento dipende da
condotte successive o comunque non valutate nel primo procedimento .
Quanto alla posizione di Rosario Arena, la Corte di merito osserva che nel
procedimento antecedente non è stata compiuta valutazione di merito su una
pretesa pericolosità soggettiva di costui, posto che le condotte oggetto di
valutazione erano quelle del padre Arena Domenico, in una con la disponibilità di
fatto dei beni. L’indicazione dell’avvenuta cessione fittizia dei titoli AGEA era
stata menzionata nel decreto originario ma senza adozione di alcun

2. Avverso detta ordinanza hanno proposto – congiuntamente – ricorso per
cassazione, a mezzo del comune difensore, Arena Domenico e Arena Rosario.
2.1 n ricorso premette una articolata esposizione dei fatti, nel cui ambito giova
precisare che :
– si conferma il dato rappresentato dal fatto che nel primo procedimento la
posizione di Arena Rosario veniva in rilievo in qualità di terzo intestatario di
taluni beni ritenuti riconducibili, in via di fatto, al padre (destinarario unico
dell’azione di prevenzione);

si evidenziava come nel sequestro disposto nel secondo procedimento si

menzionasse espressamente il contenuto del primo decreto applicativo della
misura personale e patrimoniale nei confronti dell’Arena Domenico;
In particolare si evidenziava come il secondo procedimento fosse sorto per
sostanziale ‘gemmazione’ dal primo, in quanto aveva essenzialmente ad oggetto
– come contenuto patrimoniale – i titoli AGEA oggetto di cessione nel giugno
2010, operazione emersa già nel corso del primo procedimento.
Essendo terminate le verifiche investigative su tale cessione solo dopo la
conclusione del primo procedimento, nè è derivata una ‘nuova’ azione di
prevenzione coinvolgente, sul piano personale, sia Arena Domenico (sub specie
aggravamento) che Arena Rosario (in precedenza considerato esclusivamente
come terzo intestatario) . Le interrelazioni tra i due procedimenti sono dunque
evidenti e pongono il tema della incompatibilità o comunque della ‘apparenza di
imparzialità’ del membro del collegio ricusato (anche in riferimento all’approdo
rappresentato, sul tema, da Corte Cost. n.283 del 2000).
Segue un’ampia sintesi dei contenuti del primo provvedimento emesso dalla
Corte di Appello sulla originaria istanza di ricusazione e delle ragioni
dell’annullamento di tale decreto – per vizio del procedimento correlato alla
impossibilità di ritenere la domanda manifestamente infondata – da parte di
questa Corte di legittimità, con la citata decisione n. 1634 del 2015, esplicativa
di un obiettivo andamento non uniforme della giurisprudenza di questa Corte
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provvedimento di sequestro o confisca.

sull’applicazione delle regole dell’astensione e ricusazione nel procedimento di
prevenzione.
2.2 Quanto ai motivi in senso proprio, i ricorrenti deducono erronea applicazione
della disciplina regolatrice, vizio di motivazione per contraddittorietà, assenza e
travisamento di dati cognitivi, erronea ricostruzione della disciplina applicabile in
tema di ricusazione, anche in riferimento alla necessaria osservanza dei principi
costituzionali (art. 111 e 24 Cost.) e sovranazionali (art. 6 Conv. Eur. dei diritti
dell’Uomo) .

pretesa fittizietà della cessione dei titoli AGEA, posto che trattasi di fatto storico
già emerso nel primo procedimento e oggetto di delega di approfondimento
investigativo da parte del Collegio allora procedente (delega del 20 dicembre
2011).
Si indicano in modo analitico i contenuti della informativa che ne è derivata e del
successivo decreto di sequestro emesso il 20 dicembre 2012, nell’ambito del
secondo procedimento, essendo – peraltro in pari data – definito in primo grado il
procedimento nato dalla proposta del 2011.
Dunque la vicenda della cessione dei titoli era già nota ai giudici del primo
procedimento, che la ritennero ‘sospetta tanto da inoltrare una delega
investigativa di approfondimento.
Da ciò emergerebbe il sostanziale travisamento operato dalla Corte di Appello,
che non considera gli aspetti sin qui evidenziati e non coglie l’anticipazione di
giudizio – rilevante a fini di ricusabilità del giudice – contenuta nell’avvenuta
conoscenza del dato e nella ritenuta meritevolezza di approfondimento da parte
dei giudici allora procedenti.
La tardività dell’evasione della delega avrebbe, dunque, determinato l’apertura
del secondo procedimento per fatti già sostanzialmente apprezzati, nei confronti
di entrambi i soggetti proposti, nel primo procedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato, per le ragioni che seguono.
2. I ricorrenti pongono il tema – facendo riferimento anche ai contenuti della
decisione emessa da questa Corte in data 14 gennaio 2015, di annullamento
della prima decisione reiettiva dell’istanza di ricusazione – della applicabilità,
quantomeno «mediata» in sede di procedimento di prevenzione, delle
disposizioni dettate dal codice di procedura penale agli articoli 36 e 37.

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I ricorrenti contestano l’attribuzione di «novità» al dato rappresentato dalla

In ciò una prima osservazione è d’obbligo. Si tratta effettivamente di tema
controverso e di non univoca lettura interpretativa, posta la necessità di
conciliare due aspetti di fondo rappresentati da :
a)

la indubbia natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione

(evidenziata con particolare forza da Corte Cost. n.93 del 2010 – in tema di
diritto alla pubblicità dell’udienza, per stare agli approdi più recenti) pur se
trattasi di procedimento non destinato ontologicamente alla irrogazione di una
«pena» ma di provvedimenti potenzialmente incidenti in via temporanea sulla

economica e in via tendenzialmente stabile (in caso di confisca) sul patrimonio, e
strettamente correlati alla formulazione di un giudizio essenzialmente
prognostico (C. Cost. n.177 del 1980 : decisivo è che anche per le misure di prevenzione, la
descrizione legislativa, la fattispecie legale, permetta di individuare la o le condotte dal cui
accertamento nel caso concreto possa fondatamente dedursi un giudizio prognostico, per
ciò stesso rivolto all’avvenire..). ;
b) la conformazione normativa del procedimento di prevenzione, che pur nella
accentuazione del carattere di giurisdizionalità (inteso come emissione di un
provvedimento decisorio a seguito di domanda rivolta da una parte pubblica ad
un soggetto terzo, previo contraddittorio personale e tecnico con i soggetti
privati coinvolti), mantiene una connotazione sui generis, non essendo stato
costruito e modellato sull’archetipo del giudizio penale cognitivo quanto storicamente – su quello di tipo esecutivo e, in particolar modo su quello
destinato alla applicazione delle misure di sicurezza (secondo il riferimento
contenuto nell’art. 4 co.12 legge n.1423 del ’56, con precisazione operaia dal
legislatore del 2011 che i all’art. 7 co.9 del d.lgs. n.159 del 2011,fa esplicito rinvio
– per quanto non espressamente regolato – all’art. 666 cod.proc.pen.).
Da ciò deriva, specie in epoca successiva alla decisione del 2010 (Corte Cost.)
una costante tensione interpretativa degli istituti tipicamente ‘prevenzionalr,
sulla scia di una sempre più marcata tendenza alla assimilazione – ferme
restando le peculiarità della materia – agli omologhi istituti del procedimento
penale cd. ordinario, nei limiti di compatibilità.
E’ evidente, tuttavia, che trattasi di un percorso interpretativo per forza di cose
frammentario, posto che soltanto una riforma organica dell’intero procedimento
applicativo, in quanto espressione della discrezionalità legislativa, potrebbe
portare a soluzioni radicalmente più avanzate, dovendosi – in sede di
applicazione del diritto vigente – limitarsi ad individuare i punti di frizione più
evidenti con alcuni diritti fondamentali, vuoi in chiave di interpretazione
adeguatrice (ove razionalmente giustificata) che in chiave di dubbio di
costituzionalità (ove rilevante e non manifestamente infondato) j e dovendosi
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libertà di circolazione, su talune facoltà correlate alla libertà personale ed

tenere conto del fatto che la stessa Corte Costituzionale – nella recente decisione
n. 106 del 2015 – ha ribadito, in ogni caso, che la diversità di oggetto e di scopo
dei due procedimenti (penale da un lato – di prevenzione dall’altro) tollera, sul
piano dei valori, scelte diversificate in punto di conformazione normativa del
diritto di difesa del soggetto proposto per l’applicazione della misura di
prevenzione (in tal caso si discuteva del limite di rilevabilità del vizio di
motivazione in sede di ricorso per cassazione).
Dunque non possono realizzarsi affermazioni perentorie come quelle proposte dal

non ignora) in punto di ‘trasposizione’ della intera discplina posta a presidio
dell’imparzialità del giudice ‘penale’ in sede di prevenzione, nè tampoco ciò è
stato affermato da questa I Sezione nella decisione di annullamento del
provvedimento emesso dalla Corte di Appello di Reggio Calabria in data 6
maggio 2014 (decisione nel cui ambito si è dato conto dell’esistenza di indirizzo
interpretativo favorevole ad

aperture condizionate, nella misura in cui ciò

ricadeva sulla disciplina procedimentale partecipata da seguire nella decisione
sull’istanza di ricusazione, con identificazione di un vizio del procedimento).
Piuttosto, appare necessario riflettere – in termini generali – sulla possibile
ifidentificazione di talune regole normative la cui portata generalizzante ne
consente l’applicazione nei due procedimenti (penale e di prevenzione) e
successivamente sottoporre a verifica il caso qui in trattazione allo scopo di
verificare se rientri o meno tra queste.
Nel compiere tale operazione bisogna, necessariamente, tener conto del fatto
che il dato normativo di settore, anche dopo l’emissione del d.Lgs. 159 del 2011
è manifestamente ostativo alla trasposizione dell’istituto della ricusazione, posto
che il rinvio generale operato all’art. 666 cod.proc.pen. (e non alle norme del
procedimento di cognizione) rappresenta una precisa scelta legislativa tesa alla
semplificazione delle forme procedurali e si va a collocare in un ambito che – nel
sistema del codice di rito – non soltanto non prevede espressamente la facoltà di
ricusazione (in tal senso Sez. l, 15.3.2004, Rabih) ma addirittura valorizza (in tema di
competenza) il rapporto tra giudice della cognizione e giudice dell’esecuzione, il
che necessariamente porterebbe – anche in ipotesi di interpretazione adeguatrice
su altri fronti correlati – alla esclusione, quantomeno, del rilievo dei casi di
incompatibilità o astensione per essere stata emessa un precedente decisione di
merito nei confonti del medesimo soggetto (anche nell’ambito della medesima
procedura esecutiva, come pacificamente ritenuto da questa Corte nel caso della
opposizione di cui all’art. 667 co.4 cod.proc.pen. che ben può essere trattata
dallo stesso giudice persona fisica, da ultimo Sez. I n. 18872 del 17.3.2016, rv
267021) .
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ricorrente (e rinvenibili in talune decisioni emesse da questa Corte, che il collegio

La stessa Corte Costituzionale, nella nota decisione n. 183 del 2013 relativa
all’art. 671 cod.proc.pen. ha eccezionalmente introdotto – nel sistema della
esecuzione – una ipotesi di incompatibilità , a seguito di annullamento con
rinvio della decisione in tema di riconoscimento o meno della continuazione,
attraverso una riflessione di sistema basata sulla constatazione che – in tal
particolare caso – il giudice dell’esecuzione apre un frammento aggiuntivo di
cognizione. Tale decisione, pertanto, non autorizza in alcun modo a ritenere
introdotta una «breccia» nel rapporto tra giudice dell’esecuzione e regime delle

3. Fermo restando quanto detto in precedenza, alla base del ragionamento
giuridico, in tema di principi comuni tra le due realtà esaminate, vi è la
constatazione di alcuni attributi ineliminabili della «giurisdizionalità» del
procedimento (a ciò si richiamano le decisioni che, in diverso modo e in rapporto
a singoli casi, tendono a ritenere estensibile la disciplina dell’astensione e
ricusazione al giudizio di prevenzione; da ultimo Sez. VI n. 15979 del 8.3.2016,
rv 266533, nonchè – in precedenza – Sez. V n.3278 del 16.10.2008, rv 242942) .
Per essere tale, un procedimento non può essere semplicemente caratterizzato
da distinzione funzionale tra soggetto attore e soggetto giudicante, ma è
necessario che quest’ultimo offra concrete garanzie di indipendenza e di
imparzialità, tale da essere riconosciuto come ‘terzo’ rispetto agli interessi che
muovono le parti contrapposte.
Ciò posto, le garanzie di indipendenza e di imparzialità, connaturali alla
giurisdizione, vanno correlate da un lato alla struttura ordinamentale (ma trattasi
di un aspetto che qui non rileva) dall’altro alla tutela delle parti da condotte
poste in essere dal soggetto chiamato a realizzare il giudizio tali da ingenerare il
fondato sospetto di assenza di tali connotati.
Non vi è dubbio, pertanto, circa il fatto che – quale che sia il procedimento in
corso, e dunque anche in sede di prevenzione – la tutela della apparenza di
imparzialità va garantita in tutte le ipotesi in cui la persona chiamata a giudicare
si trovi in una delle condizioni di «appannamento» della suddetta condizione, di
cui all’art. 36 lettere a), b), c), d), e), f) del codice di procedura penale.
In detti casi, è del tutto evidente che anche in sede di procedura di prevenzione
non possono nutrirsi dubbi circa l’applicazione dell’istituto della ricusazione, in
ipotesi di mancato esercizio del dovere di astensione (così come precisato, in
ipotesi di sussistenza della fattispecie di cui all’art. 36,Iettera a j cod.proc.pen. da
Sez. V n. 16311 del 23.1.2014, rv 259873).
Del tutto diverso è – per contro – il tema del rapporto tra le valutazioni espresse
dal giudice penale in una fase diversa del medesimo procedimento (art. 34

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incompatibilità.

cod.proc.pen. in tema di incompatibilità, norma richiamata dall’art. 36,Iettera g,e
dall’art. 37) e la disciplina del procedimento di prevenzione.
Qui infatti non vengono in rilievo – come in precedenza detto – condotte
extragiudiziarie o esistenza di pregressi rapporti con i diversi attori del
procedimento (profili, per così dire, personali dell’istituto dell’astensione, valevoli

erga omnes)

quanto aspetti di regolamentazione normativa dei modelli

procedimentali, caratterizzati (tra procedimento penale e di prevenzione) da
profonde differenze, correlate al diverso contenuto del giudizio.

sue caratteristiche ontologiche (ricostruzione compiuta del fatto dedotto nella
imputazione) e finalistiche (l’eventuale inflizione di una pena) lì dove il
procedimento applicativo di misura di prevenzione è diversamente modellato
(specie in rapporto alla fase del primo grado) sia sul piano funzionale (non si
ricostruisce in quanto tale uno specifico fatto di reato ma si realizza un aspetto
cognitivo sulle condotte della persona in funzione della formulazione, positiva o
negativa, di una prognosi di pericolosità attuale e/o di illecita accumulazione
patrimoniale) che strutturale, essendo caratterizzato da una maggiore elasticità
di forme.
Negare tale diversità strutturale e funzionale, in chiave di netta equiparazione
(tra i due ambiti) delle regole in tema di incompatibilità del giudice per
valutazioni espresse nel medesimo procedimento e correlata astensione e
ricusazione sarebbe operazione del tutto illogica, oltre che antigiuridica, posto
che l’apprezzamento delle diversità e la loro tollerabilità in chiave di tutela dei
diritti fondamentali è l’in sè della interpretazione giuridica.
Non può non evidenziarsi, in particolare, che in sede di prevenzione, nel modello
legale del procedimento, non vi è separazione funzionale tra giudice della fase
cautelare (in caso di sequestro dei beni, di emissione provvisoria del
provvedimento di ritiro del passaporto ai sensi dell’art.9 o di anticipazione dei
divieti di cui all’art. 67 co.3 d.lgs. del 2011) e giudice della decisione di primo
grado, aspetto improponibile nel giudizio penale (caratterizzato da marcata
differenziazione, derivante anche dal principio di separazione tra le fasi del
procedimento) e che offre la misura di come il legislatore (anche quello della
‘riforma’ adottata con il riordino dei testi in tema di prevenzione, datata 2011)
abbia diversamente apprezzato – in modo non irragionevole – la necessità di
tutela dell’apparenza di imparzialità, accordando al contraddittorio ed allo
sviluppo successivo del procedimento – in caso di prevenzione – la capacità
persuasiva idonea a smentire, potenzialmente, una prima valutazione operata
dal collegio in sede cautelare.

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Il procedimento penale è luogo di più elevato tasso di garanzia in rapporto alle

Così come, in sede di prevenzione patrimoniale, il giudice procedente è investito
di un ampio potere officioso anche in tema di ‘individuazione’ – tramite le attività
gestionali svolte dall’amministratore giudiziario – di ulteriori beni potenzialmente
confiscabili, il che rappresenta una caratteristica tipica ed esclusiva di tale forma
di giudizio, espressamente prevista dalla legge.
In dette ipotesi, dunque, non può certo affermarsi che il procedimento di
prevenzione «perda» i connotati della giurisdizionalità (il che implicherebbe la
necessità di promuovere una interpretazione adeguatrice o sollevare il dubbio di

come la proiezione della diversità di oggetto del procedimento (in tal senso, tra
le altre, Sez. H n. 2821 del 2.12.2008, rv 242720) . Una giurisdizione che tollera
l’identità soggettiva tra giudice della misura cautelare e giudice della decisione di
primo grado (come quella della prevenzione) non può dirsi per ciò solo ‘minore’
ma, più semplicemente adotta un diverso modello di tutela della imparzialità
rapportato alla diversa tipologia di giudizio.
Nel processo penale la natura degli interessi protetti (possibile inflizione di pena)
si salda all’adozione di un modello procedimentale basato sulla tendenziale
‘sterilizzazione’ del «giudizio» da conoscenze maturate nella fase investigativa.
Da qui l’adozione di una tutela rigida in punto di disciplina delle incompatibilità
per valutazioni compiute nella fase anteriore del medesimo procedimento (art.
34, 36, 37 cpp).
In sede di prevenzione non vi è separazione delle fasi (il che esclude l’influenza
negativa della conoscenza dei materiali investigativi) e la componente cognitiva
sulle condotte del proposto è solo una ‘frazione’ del giudizio, essenzialmente
consistente in una prognosi sulle condotte future (con valutazione di pericolosità
che può supportare, anche in via incidentale, l’ablazione patrimoniale).
Da ciò deriva che il connotato di giurisdizionalità della prevenzione – sul piano
della disciplina del procedimento – resta integro, pur nella attuale disciplina (con
limitazione della incompatibilità di cui all’art. 34 cpp al solo caso previsto da
detta norma al comma 1, norma posta a tutela del sistema delle impugnazioni)
posto che la cd. ‘forza pregiudicante’ endoprocedimentale della prima
valutazione (quella cautelare) pur esistente, può essere neutralizzata dal
successivo dispiegarsi del contraddittorio nel corso della trattazione del
procedimento, con fiducia normativa nelle capacità di selezione dei dati e di
adeguamento valutativo da parte del giudice.
Vanno pertanto espresse, in rapporto a tali considerazioni, alcune parziali

conclusioni, che molto possono agevolare la soluzione – a parere del Collegio dei casi relativi al rapporto tra valutazioni espresse in procedimento diverso (sia

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MI

costituzionalità) essendo – per converso – la disciplina positiva interpretabile

esso penale o di prevenzione) e giudizio di prevenzione in corso (tema posto
dagli odierni ricorrenti) :
– la natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione impone l’applicabilità
delle norme in tema di incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice che
non si pongano in manifesto contrasto con la conformazione normativa del
relativo modello procedimentale;
– in tal senso vanno ritenute applicabili al procedimento di prevenzione le
disposizioni previste dall’art. 34 del codice di rito al comma 1 (divieto di

affinità o coinugio), dall’art. 36 co.1 lettere a (interesse nel procedimento), b
(particolari rapporti con la parte privata o con il difensore), c (manifestazione
indebita ed extragiudiziaria di parere sull’oggetto del procedimento), d (grave
inimicizia), f (rapporto di parentela con il pubblico ministero), h (gravi ragioni di
convenienza, ove risultino correlate a condotte extragiudiziarie). Va altresì
ritenuta applicabile la previsione di cui all’art. 37 co.2 cod.proc. pen. (ipotesi di
sola ricusazione) lì dove la manifestazione anticipata del convincimento sia
«indebita» e pertanto emessa non in rapporto all’esercizio di poteri valutativi
consentiti dalle norme che governano la sequenza procedimentale (come ribadito
da Corte Cost. 283 del 2000) ;
– non possono, per converso, ritenersi applicabili le disposizioni dell’art. 34
cod.proc.pen. diverse dal comma 1 (manifestazioni di convincimento emesse
ritualmente nel corso del medesimo procedimento), pur richiamate dall’art. 36
alla lettera g, in rapporto alla particolare conformazione del procedimento di
prevenzione, esclusione che risulta razionalmente giustificata in rapporto alla
tipologìa di giudizio ed all’oggetto del procedimento.
4. Tali considerazioni consentono di affrontare il tema del rapporto tra
procedimento di prevenzione e giudizi espressi in procedimento diverso e
antecedente (tema posto dai ricorrenti, in rapporto a quanto deciso da Corte
Cost. n. 283 del 2000).
Come è noto, con tale decisione il giudice delle leggi ha colmato una lacuna del
sistema «penale» lì dove la valutazione ‘pregiudicante’ sia stata emessa non nel
medesimo procedimento (art. 34) ma in un procedimento «diverso» con
introduzione di una facoltà aggiuntiva di ricusazione (la dichiarazione di
incostituzionalità riguarda l’art. 37 co.1 nella parte in cui non prevede che possa
essere ricusato dalle parti il giudice che –

chiamato a decidere sulla

responsabilità dell’imputato – abbia emesso in altro procedimento, anche non
penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto e nei confronti del medesimo
soggetto).

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partecipare a più gradi del medesimo giudizio), dall’art. 35 (ragioni di parentela,

Ora, va affermato, contrariamente a quanto ritenuto in taluni arresti di questa
Corte (Sez. VI 15979 del 8.3.2016, rv 266533; Sez. I n. 32492 del 10.7.2015, rv
264621; Sez. V n. 32077 del 24.6.2014, rv 261643) che tale decisione, nel suo
contenuto normativo, non risulta applicabile lì dove l’attività di giudizio a cui il
giudice ricusato è chiamato a procedere consista nell’atto conclusivo del
procedimento di prevenzione.
Testualmente, la Corte Costituzionale ha individuato la necessità di poter
eliminare la cd. ‘forza del pregiudizio’ lì dove venga in rilievo l’affermazione di

decisione attinente alla responsabilità penale, essendo necessario, perchè si
verifichi un pregiudizio per l’imparzialità, che il giudice sia chiamato ad esprimere
una valutazione di merito collegata alla decisione finale della causa..) mentre le
valutazioni emesse in sede di prevenzione possono essere apprezzate come
‘fonte’ del pregiudizio.
La previsione introdotta da detta decisione additiva è dunque manifestamente
«unidirezionale» (l’espressione di giudizio in prevenzione può essere fonte di
pregiudizio in sede penale) e non biunivoca, il che esclude di poter compiere una
mera operazione applicativa del principio in una condizione processuale del tutto
diversa.
L’interprete, in altre parole, è vincolato all’espresso contenuto della decisione di
illegittimità costituzionale e non può introdurre un’ipotesi «estensiva» di tale

decisum ad un caso ipotizzato come analogo senza promuovere – in ipotesi di
ritenuto contrasto della disciplina che regolamenta il caso diverso con i principi
costituzionali – – un nuovo incidente di legittimità costituzionale, come affermato
– con portata generale – dalla stessa Corte Cost. in numerosi arresti (si veda, sul
tema, C.Cost. numero 110 del 2012) .
Ma, al di là dei profili strettamente formali, l’opzione interpretativa che tende ad
estendere i contenuti della decisione al giudizio di prevenzione (ipotizzando che il
giudice della prevenzione possa essere ricusato in ipotesi di precedente
valutazione emessa nei confronti del medesimo soggetto in sede penale o in
precedente giudizio di prevenzione) si scontra – ad avviso del Collegio – con la
specificità e con la complessiva archgettura del giudizio di prevenzione, prima
richiamata.
Si è già detto che in prevenzione non vi è previsione di incompatibilità in
rapporto a valutazioni di merito cautelare effettuate dal medesimo collegio
nell’ambito dello stesso procedimento, e che ciò corrisponde ad un modello
procedimentale che affida al contraddittorio (davanti al medesimo giudice) e alla
progressione istruttoria la capacità di contrasto della cd. ‘forza pregiudicante’
della prima valutazione. Non risulterebbe coerente, dunque, una attribuzione alla
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responsabilità dell’imputato (.. la funzione pregiudicata va individuata in una

parte del potere di ricusare il giudice della prevenzione – che può legittimamente
esercitare il potere cautelare e poi decidere nel merito – lì dove la forza del
pregiudizio risulti indubbiamente meno intensa (per valutazioni emesse in
diverso procedimento), con vizio dì irragionevolezza di simile opzione.
Inoltre, quanto al rapporto con il giudizio penale, va qui ribadito (tra le molte,
Sez. I n. 32032 del 10.6.2013 ric. De Angelis) che nel giudizio di prevenzione
personale la componente ricostruttiva delle condotte tenute dal proposto
rappresenta una (sia pur rilevante) porzione del giudizio complessivo, per sua

alla inflizione di una pena.
Ciò, sul piano dei principi generali – ed anche in tema di giusto processo ai sensi
dell’art. 111 cost. e 6 Conv. Eur – rende ontologicamente e finalisticamente
diverso il giudizio di prevenzione rispetto a quello penale ‘classico’, con
conseguenze in punto di ‘tollerabilità’ di una – parziale – diversa disciplina in
punto di ricusazione (già evidenziata in rapporto ai contenuti dell’art. 34
cod. proc. pen.).
L’analogìa dei due giudizi (penale e di prevenzione), pur indubbiamente esistente,
non è qualificabile in termini di corrispondenza, il che esclude la trasposizione ragionando in termini di diritto positivo – in sede di prevenzione della più
accentuata forma di tutela della imparzialità, prevista in tal caso per il solo
giudizio penale (ferma restando l’opportuniità di un ripensamento complessivo,
da realizzarsi in sede legislativa e teso ad un ulteriore allineamento delle
garanzie, specie lì dove venga in rilievo l’applicazione di misure patrimoniali,
congiunta o disgiunta a quelle personali) .
Nè a diverse conclusioni può pervenirsi nell’ipotesi in cui il precedente – e diverso
– giudizio sia quello di prevenzione, posto che l’inoltro di una nuova domanda da
parte dell’organo titolare dell’azione non può che derivare (a pena di
improcedibilità, data la forza preclusiva del bis in idem anche in tale settore) da
un novum (intendendo per tale anche un fatto emerso ma non delibato) e ciò
confina la precedente valutazione – anche se espressa dal medesimo giudice nel contenitore dei meri antecedenti storici, anche qui in modo meno intenso
rispetto alla (a tutt’oggi consentita) emissione di provvedimento cautelare e
decisione finale nel medesimo procedimento.
5.Ciò posto, le doglianze difensive sono infondate.
Al di là di quanto sinora affermato in diritto circa la inapplicabilità, in sede di
prevenzione, delle ricadute di Corte Cost. n.283 del 2000 (e ciò sarebbe
sufficiente), va evidenziato come nel procedimento – di prevenzione antecedente non sia stata concretamente apprezzata la consistenza dimostrativa
(sul piano della pericolosità soggettiva dei contraenti e della confiscabilità dei
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natura prognostico (ed in tal senso libero da precedenti valutazioni) e non diretto

beni) della avvenuta cessione, essendo esclusivamente emerso il ‘fatto’ ed
essendo stata avvertita l’esigenza di un suo approfondimento.
Ciò non pregiudica la valutazione – nel nuovo procedimento – di tali esiti, da
ritenersi un novum in senso processuale, posto che la stessa non risulta neanche sul piano logico – influenzata in modo rilevante dalle conclusioni cui si è
pervenuti nella prima misura, trattandosi di apprezzare una realtà non
conosciuta (nei suoi risvolti effettivi) all’epoca della prima decisione.

Arena Domenico, essendo l’eventuale aggravamento – normativamente attribuito
al medesimo giudice – dipendente da una autonoma valutazione della
consistenza dei nova.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27 maggio 2016
Il Consigliere estensore

Il Presidente

Raffaello Magi

Antonella Patrizia Mazzei
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Ciò vale sia in rapporto alla posizione dell’Arena Rosario, sulla cui pericolosità
oLe,
soggettiva nessuna valutazione è stata in precenza emessa, che in rapporto ad

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