Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 43051 del 15/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 43051 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Calcabrini Vittorio, nato a Cisterna di Latina il 21/04/1950

avverso l’ordinanza emessa il 27/06/2014 dal Gip del Tribunale di Velletri

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Massimo Galli, che ha richiesto l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Vittorio Calcabrini ricorre avverso l’ordinanza indicata in
epigrafe, in forza della quale il Gip del Tribunale di Velletri risulta aver rigettato
una istanza avanzata ex art. 175 cod. proc. pen. nell’interesse dello stesso
Calcabrini.

Data Udienza: 15/05/2015

,

Con l’atto di impugnazione, deducendosi violazione degli artt. 175 e 178 cod.
proc. pen., anche in relazione agli artt. 111, 117 Cost. e 6 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, viene evidenziato che:
– a carico del ricorrente era stato emesso decreto penale di condanna in data
02/09/2013, in relazione a reati di cui agli artt. 582 e 612 cod. pen.;

la notifica all’imputato del predetto provvedimento era avvenuta,

personalmente,

il

06/06/2014,

mentre

altra

notificazione

«si

era

precedentemente perfezionata in ragione della compiuta giacenza presso l’ufficio

– il Calcabrini, in ogni caso, aveva avuto effettiva conoscenza del decreto solo a
seguito della notifica del 6 giugno, che peraltro recava contestualmente
l’informazione sul diritto di difesa e la comunicazione della nomina di un
difensore di ufficio;
– la successiva richiesta, presentata il 19/06/2014, di essere rimesso in termini
per formalizzare atto di opposizione avverso il decreto penale veniva rigettata
con il provvedimento oggetto dell’odierno ricorso.
Il difensore del Calcabrini fa presente che l’art. 175, comma 2, cod. proc.
pen. «consente la restituzione nel termine anche in presenza della mera prova
della mancata, effettiva conoscenza del provvedimento, purché ciò non sia
dipeso da colpa del destinatario […]. Nel caso di specie i profili di colpa
dell’istante sono indiscutibili (in quanto non si è adoperato per ritirare
tempestivamente il plico prima che maturasse la compiuta giacenza al decimo
giorno), posto ciò si impone, però, al giudicante l’onere di vagliare se questa
disciplina sia compatibile con il dettato costituzionale pertinente alla struttura del
processo penale, che con l’art. 111 Cost. è stato ampiamente aggiornato». In
particolare, il meccanismo rituale sotteso al procedimento che trova definizione
mediante decreto penale si fonda su un consenso dell’imputato ad una “proposta
di condanna”, consenso che tuttavia deve necessariamente presupporre una
conoscenza effettiva della proposta de qua, a prescindere dal rilievo che
l’ignoranza possa dipendere da un fatto imputabile allo stesso interessato.
Con il ricorso viene pertanto richiesto a questa Corte di adottare una
«interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata dell’art. 175
cod. proc. pen.», con conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata; in
subordine, viene sollecitata la proposizione di una questione di legittimità
costituzionale degli artt. 461, comma 1, e 648, comma 3, del codice di rito, per
contrasto con i ricordati artt. 111, 117 Cost. e 6 CEDU, «nella parte in cui,
omettendo di attribuire qualsiasi rilievo al consenso del destinatario, fanno
decorrere i termini per l’opposizione e per la conseguente irrevocabilità del
decreto dalla mera notificazione del decreto penale e non già dall’effettiva

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postale, ed i termini formali per proporre opposizione erano già decorsi»;

conoscenza del decreto penale, evento che può presumersi in presenza di una
procedura di notifica regolare ma che, per lo stesso ordinamento […] può non
coincidere».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve reputarsi inammissibile.

dell’art. 175 del codice di rito, sia pacificamente orientata nel senso che «in tema
di restituzione del termine per proporre opposizione a decreto penale di
condanna, la regolarità formale della notificazione è idonea ad integrare la prova
della effettiva conoscenza dell’atto solo ove la stessa avvenga a mani
dell’interessato, non incombendo su quest’ultimo l’onere di allegare
esplicitamente le ragioni determinative della mancata conoscenza» (Cass., Sez.
III, n. 5920 del 21/01/2014, Lisotti, Rv 258919; v. altresì Cass., Sez. I, n.
16523 del 16/03/2011, Scialla, Rv 250437, secondo cui «è illegittimo il
provvedimento di rigetto di una istanza di restituzione nel termine per proporre
opposizione a decreto penale di condanna fondato sul mero rilievo della
regolarità formale della notifica, in quanto quest’ultima, se non effettuata a mani
dell’interessato, non può essere da sola considerata dimostrativa dell’effettiva
conoscenza dell’atto da parte del destinatario»). In sostanza, per quanto
regolare sul piano formale, la notifica di un atto, se non effettuata a mani
dell’interessato, non può intendersi ex se dimostrativa della conoscenza dello
stesso da parte del destinatario, come più volte affermato dalla giurisprudenza di
legittimità dopo la nota pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo nel
caso Sejdovic c. Italia; può pertanto affermarsi che il quadro normativo vigente
statuisce una presunzione iuris tantum di non conoscenza dell’atto da parte del
condannato, gravando sul giudice l’onere di accertare se vi sia stata conoscenza
del procedimento o del provvedimento, e se l’interessato abbia volontariamente
e consapevolmente rinunciato a comparire od a proporre impugnazione.
1.2 Tuttavia, nel caso di specie, i principi appena richiamati non possono
considerarsi dirimenti.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, infatti, la prima
notificazione del decreto penale di condanna non era affatto avvenuta per
compiuta giacenza, bensì a mani della moglie convivente del Calcabrini, la quale
aveva ricevuto il piego raccomandato presso l’indirizzo corrispondente alla
residenza anagrafica sua e del coniuge (Cisterna di Latina, Via Aprilia 56). Ciò
era avvenuto – come rilevato nel corpo dello stesso provvedimento impugnato –

3

1.1 E’ innegabile che la giurisprudenza di questa Corte, nell’interpretazione

il 07/03/2014, e nell’occasione risultava allegato al decreto penale di condanna
anche l’atto di nomina del difensore di ufficio dell’imputato; la residenza
anagrafica del Calcabrini, in seguito, non era mai mutata, essendovene conferma
anche nell’incipit del ricorso oggi in esame.
Il Procuratore generale presso questa Corte, sul presupposto – erroneamente
indotto dal contenuto del ricorso – di una prima notifica avvenuta in forme
diverse, segnala che «il giudice avrebbe dovuto e potuto accertare se e quando
sia stato ritirato il plico postale contenente il provvedimento assertivamente mai

funditus la prospettazione difensiva relativa alla mancata conoscenza dell’atto e
valutare altresì, preliminarmente – di qui la necessità di un annullamento con
rinvio – l’ammissibilità della odierna istanza». Accertamenti che, però, debbono
intendersi già effettuati, giacché la data del 07/03/2014, richiamata
nell’ordinanza impugnata, non è quella della maturazione di un termine di
compiuta giacenza, bensì della materiale consegna dell’atto al coniuge
convivente del Calcabrini: la doglianza del ricorrente, che non tiene conto di tale
(per quanto implicito) presupposto del provvedimento, si rivela pertanto
generica.
1.3 Inoltre, e soprattutto, in atti non vi è traccia della presunta, successiva
notifica avvenuta il 06/06/2014, al momento della quale il ricorrente adduce di
essere finalmente giunto a conoscenza del decreto penale di condanna emesso a
suo carico. Gli elementi su detta ulteriore (e non meglio spiegata nelle finalità,
atteso che ve n’era stata un’altra già pienamente rituale) notificazione avrebbero
dovuto essere allegati dal ricorrente, quanto meno al fine di rappresentare la
tempestività della successiva richiesta di restituzione in termini, della quale il Gip
risulta avere correttamente “ritenuto non comprovati i presupposti”.
Gli argomenti sopra evidenziati rendono evidente il difetto di rilevanza, nella
fattispecie concreta, della prospettata questione di legittimità costituzionale.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del Calcabrini al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità,
in quanto riconducibile alla volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del
13/06/2000) – al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma
di € 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

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conosciuto dal ricorrente. Solo in tal modo […] avrebbe potuto esaminare

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 15/05/2015.

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